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Le due forme del pensare: tra razionalità e immaginale

Dott.ssa Rosa Rita Ingrassia: 'Riflessioni in itinere sull'essere psichico'

Relatore: dott.ssa Rosa Rita Ingrassi a - Psicologa

 Si riporta qui, di seguito la relazione della dott.ssa Ingrassia."La riflessione che porto stasera prende spunto da un saggio di C.G. Jung – analista zurighese nato e vissuto tra la fine dell’800 e la prima metà del 900- fondatoredellaPsicologia Analitica. Siamo nel panorama storico-culturale della psicoanalisi freudiana incuil’interesse perla psiche e l’invisibile non è soltanto  ad appannaggio della medicina, ma anche della Immagine riferita a: Le due forme del pensare: tra razionalità e immaginaleletteratura, della filosofia  e dell’arte in senso più ampio. L’illusione che il positivismo, con il suo pensiero causalistico, possa dare spiegazioni anche alla sofferenza esistenziale, cede il passo al travaglio introspettivo dell’essere umano che deve cercare strade altre per accedere al senso del profondo.  L’angoscia del vivere è ben rappresentata nella poetica dei poeti maledetti francesi, così come nella letteratura di un certo decadentismo italiano e d’oltralpe e nella pittura le forme di Picasso mettono in primo piano una frammentazione del corpo e dell’identità che ha radici più profonde di quelle visibili. Jung,  da intellettuale qual  era, respira il travaglio della sua epoca sebbene studi correlati hanno dimostrato che l’interesse per l’esplorazione del profondo non nasce dall’humus in cui si muoveva, ma questo diventa corollario della passione e della curiosità per l’indagine della psiche  iniziata sin da quando era poco più che bambino. Il paziente per eccellenza che gli consentì di avviare delle riflessioni profonde sull’accadere psichico fu egli stesso;  Jung difatti dedicò molti anni di lavoro su di sé prima di operare la scrittura delle sue opere che divennero in seguito le basi teoriche della psicologia analitica. Non voglio addentrarmi nell’ambito della teoresi junghiana, non è questo lo scopo del mio intervento, bensì voglio servirmi di alcune riflessioni di Jung per focalizzare una modalità funzionale della psiche, e quindi dell’esistere, che appartiene a tutti noi; voglio cioè partire da lui (Jung) per mettere in evidenza qualcosa Immagine riferita a: Le due forme del pensare: tra razionalità e immaginaleche ci tocca da vicino. Riprendo quindi le fila  cercando di intrecciarli in una trama narrativa che, spero, possa risuonare dentro ciascuno di voi;  dicevamo che il primo paziente di Jung fu se stesso ed è proprio da questo lunghissimo processo di auto osservazione che egli evidenziò due modi diversi di procedere del pensiero:Uno è il pensiero indirizzato; questo appartiene alla coscienza e risponde prevalentemente a criteri di adattamento. Lo possiamo riconoscere da come lo esponiamo verbalmente perché è un pensiero prevalentemente concettuale, causali stico, razionale, impregnato delle regole e delle conformità del collettivo, tendenzialmente fondato sull’interpretazione e spesso anche sul giudizio. E’ il pensiero del 'quindi' dell’ 'o –o ' che rischia, nei suoi estremismi, di determinare contrapposizioni, di negare il senso delle cose che accadono. In contrapposizione ad esso vi è il pensiero non indirizzato; questo affonda le radici nelle profondità dell’inconscio; si esprime per immagini, per simboli e risponde prevalentemente ad un pensiero trasversale che integra ed unisce oggetti e soggetti tra loro diversi. E’ il pensiero del sogno, dell’intuizione, delle pre-cognizioni. E il pensiero dell’'e-e', del 'come se…' .  Lontano dalle pastoie sociali e culturali del collettivo, coglie l’essenza di ciò che siamo autenticamente poiché in esso risiede la nostra storia e quella dei nostri antenati. E il pensiero che ci sorprende quando meno lo aspettiamo, nei rari momenti di silenzio interiore, nelle disattenzioni della coscienza o nei conflitti con essa; in contrapposizione alle pretese dell’Io, l’immagine del  pensiero non indirizzato raccoglie ed accoglie l’espressione personale, il nucleo specifico dell’individualità esprimendone i desideri, i progetti, le potenzialità di trasformazione e cambiamento.All’immagine e all’immaginare attiene la libertà individuale e collettiva; bene lo esprime l’arte nelle sue variegate accezioni ed altrettanto bene lo sanno i poteri totalitari che per gestire e controllare le masse aboliscono per prima il potere dell’immaginazione attraverso la censura culturale. Il pensiero indirizzato della coscienza e il pensiero non indirizzato dell’immaginale  mette in scena l’ antica e ancestrale contrapposizione fra 'chi sono' o 'chi sono stato' e 'chi vorrei essere' o 'chi  volevo essere', fra la maschera sociale e le aspirazioni individuali, fra l’idealizzazione dell’Io  e  sé; dall’ integrazione di queste due modalità discende e dipende il colore dell’esistenza di ognuno di noi.In che misura quanto detto sinora ci appartiene?  Perché parlare dell’importanza dell’immaginale?    Proviamo per un attimo a pensare, ad esempio,  al colore della nostra vita in questo momento. E’ rosso, arancio, marrone, nero… E il colore che in questo momento stiamo immaginando è sempre stato questo? Come è cambiato nel tempo?  Riusciamo ancora ad accogliere i sussurri delle flebili voci interiori?Se ci guardiamo intorno, se guardiamo alle nostre città troppo urbanizzate e sempre più luride, all’aggressività e all’arroganza che pervade le relazioni interpersonali, ai figli che uccidono i padri e le madri, ai padri e alle madri che vendono i propri figli al guadagno  facile e sporco,  possiamo dire che abbiamo perduto le nostre immagini interiori che  le abbiamo assassinate, che abbiamo smarrito l’Anima. Già… perché esse – le immagini – provengono dai  luoghi dell’Anima. Questa parola, complessa ed aperta a molteplici definizioni la intendiamo in questo contesto come l’istanza di connessione fra il dentro ed il fuori, tra  il nucleo profondo della personalità ed il  collettivo, ma anche connessione fra sé e l’alterità; Anima come istanza che ci connette al fluire dell’esistenza, alle cose del mondo, alla nostra storia e alla storia dei nostri avi , perché l’Anima include il mondo e tutto è psichico poiché  tutto è Anima.Nella Grecia antica si faceva a volte riferimento all’anima con il termine psyche, da collegare con psychein, che analogamente ad anemos significa «respirare», «soffiare». Il respirare così come il soffiare – procedendo per amplificazioni – è connesso alla vita. Il primo respiro ne segna l’inizio così come 'esalare l’ultimo respiro' indica la sua fine.Abbiamo ucciso l’Anima – dicevamo - ; abbiamo perduto la capacità di parlare con le piante che adornavano i nostri balconi; di contemplare il mare in tempesta o il sole al tramonto emozionandoci del grande potere della natura; di sognare che il mondo può essere migliore; abbiamo annegato migliaia di uomini, donne e bambini e discusso politicamente  se e chi deve dare soccorso. 'Ragazzi di paranza' li ha definiti Roberto Saviano. Sono i giovani dei sobborghi napoletani reclutati dalla camorra per le attività a delinquere. Ragazzi consapevoli dei rischi, ma sedotti dal potere del possesso, del denaro e dell’investitura. Per non parlare delle guerre in nord Africa e delle immagini delle migliaia di persone trucidate barbaramente.Hillman ha scritto che l’orrore del mondo è lo specchio dei nostri volti,  di ciò che l’umanità è diventata. Baumann ha definito la nostra società come 'società liquida' evidenziando in essa l’assenza dei legami affettivi delle relazioni interpersonali. Parole come condivisione, reciprocità, altruismo sembrano essere diventate parole vuote poiché l’esperienza che dà loro il senso della parola piena è venuta meno. Che ruolo abbiamo e cosa possiamo fare nella nostra quotidianità? Esiste un 'peso' dell’individuo capace di incidere sul collettivo? Esiste una cura?Nel 400 una donna fiorentina  a soli 18 anni fu stuprata dall’amico del padre con l’assenso tacito di quest’ultimo. Il suo nome è Artemisia Gentileschi. Per l’epoca storica la vita di quella donna sembrava segnata. La salvò l’amore per la pittura nella quale seppe trasmutare il dolore individuale di una donna in una rappresentazione collettiva del femminile.Nelle sue memorie scrive: - 'non voglio essere ricordata come la donna stuprata, ma come la pittora – così si definiva- che seppe compararsi con il Caravaggio'.Il quadro in oggetto è 'La decapitazione di Oloferne.'Se il potere dell’immagine orienta alla trasformazione perdere ciò significa soccombere agli eventi; non è la crudeltà dell’esperienza che uccide l’uomo, ma l’impossibilità dell’uomo di immaginare che le esperienze sono trasformabili.’impossibilità di accedere alla trasformazione degli accadimenti ci porta inesorabilmente alla confusione e all’ azione. Attingo ancora al pensiero di Jung che così scrive:Il nostro atteggiamento razionalistico ci porta a credere di poter operare meraviglie con organizzazioni internazionali, legislazioni e altri sistemi ben congegnati. Ma in realtà solo un cambiamento dell’atteggiamento individuale potrà portare con sé un rinnovamento dello spirito delle nazioni. Tutto comincia con l’individuo-'L’uomo – citazione dall’introduzione di Lo zen e il tiro con l’arco' -è un essere pensante, ma le sue grandi opere vengono compiute quando non calcola e non pensa. Dobbiamo ridiventare come bambini attraverso lunghi anni di esercizio nell’arte di dimenticare se stessi. Quando questo è raggiunto, l’uomo pensa oppure non pensa. Pensa come la pioggia che cade dal cielo; pensa come le onde che corrono sul mare; pensa come le stelle che illuminano il cielo notturno; come le foglie verdi che germogliano nella brezza primaverile. E’ lui stesso la pioggia, il mare, le stelle, il verde. Quando l’uomo ha raggiunto questo grado di sviluppo 'spirituale' è un maestro Zen della vita. Non ha bisogno come il pittore di tela, pennello e colori. Non ha bisogno come l’arciere di arco, freccia e bersaglio o di  altri accessori. Ha le sue membra, il suo corpo, la testa e così via. La sua vita nella poesia dell’esserci si esprime attraverso tutti questi strumenti che sono importanti come forma della sua manifestazione. Le sue mani e i suoi piedi sono pennelli e il mondo intero è la tela su cui dipingere la sua vita per settanta, ottanta, novant’anni. Tale quadro si chiama 'Storia', tale storia si chiama 'Esistenza', tale esistenza si chiama 'Vita', si chiama morte.'Allora – e concludo – penso che ognuno di noi può essere portatore di Anima attraverso la propria azione quotidiana ricercando costantemente quel dialogo profondo e necessario fra le esigenze della coscienza – e quindi del pensiero indirizzato – e il sentimento – il pensiero non indirizzato.  E’ nella possibilità di sognare un sogno che possiamo cambiare noi ed il mondo.Voglio a tal proposito chiudere con una lirica di Nazim Hikmet composta per la moglie tanto amata durante la detenzione per sovversione politica; è un inno alla speranza e alla scoperta.Così recita:Il più bello dei mari è quello che non navigammo.Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto.I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti."

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Inserito il 24 Gennaio 2017 nella categoria Relazioni svolte