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Saffo, Alceo e i concorsi di bellezza nell'isola di Lesbo

Una Saffo inedita ed un 'fil rouge tra l'isola di Lesbo ed Erice. La dotta conferenza del dott. Giuseppe Abbita ha appassionato il numeroso pubblico presente che, alla fine, ha applaudito calorosamente il relatore

Relatore: Dott. Giuseppe Abbita

Perchè le donne ericine sono tra le più belle del mondo?

 Il viaggiatore e geografo arabo Al Idrisi così scriveva descrivendo la città di Erice: 'Si dice che le donne di Immagine riferita a: Saffo, Alceo e i concorsi di bellezza nell'isola di LesboImmagine riferita a: Saffo, Alceo e i concorsi di bellezza nell'isola di LesboImmagine riferita a: Saffo, Alceo e i concorsi di bellezza nell'isola di LesboImmagine riferita a: Saffo, Alceo e i concorsi di bellezza nell'isola di LesboImmagine riferita a: Saffo, Alceo e i concorsi di bellezza nell'isola di LesboImmagine riferita a: Saffo, Alceo e i concorsi di bellezza nell'isola di LesboImmagine riferita a: Saffo, Alceo e i concorsi di bellezza nell'isola di Lesboquesto paese siano le più belle dell’isola: che Dio le faccia diventare schiave dei musulmani!' A dire il vero la traduzione è un po’ più esplicita: 'che Dio le faccia ingravidare dai musulmani!' La donna ericina doveva rappresentare, nell’immaginario collettivo, un esempio dei canoni della bellezza femminile! Giovan Giorgio Trissino, umanista e poeta rinascimentale veneto, descrive, nel dialogo Ritratti, i caratteri delle donne più belle d’Italia e si sofferma in particolare su Ericina, la donna più bella di Vicenza, il cui nome però tradisce la sua vera origine siciliana. E ne definisce i caratteri: ' …la testa , nella quale le chiome non troppo folte, né rare, e la misuratissima qualità della fronte, e il lineamento delle ciglia, e parimenti gli occhi alquanto umidi, con quello di allegro, e di grato, ch’entro si vede mescolato con una certa venerabile maestà, ed oltre a ciò la bella giuntura delle morbide braccia alle delicate mani, e le mani altresì, con quelle dita lunghe, e che insensibilmente si assottigliano fino alla sommità loro, da splendidissime unghia raccolte…' Fino alla metà del secolo scorso, quando sul monte Erice viveva ancora un numero apprezzabile di abitanti, non era raro incontrare nelle sue viuzze ragazze di una naturale e semplice bellezza e donne avvolte nel tipico mantello, indossato con rara eleganza, di una bellezza solenne, quasi sacrale. La domanda sorge spontanea: perché le donne ericine erano ritenute le più belle della Sicilia, e tra le più belle del mondo? Ebbene, la storia di Saffo e le vicende politiche dell’isola di Lesbo che sto per raccontarvi, potrebbero darcene una spiegazione e potrebbero suggerirci un 'fil rouge'che fin dall’antichità legava l’isola di Lesbo ad Erice. Di Saffo, Saffo l’immortale, la più famosa poetessa della storia, vi dirò alcune cose che non troverete sui testi di storia della letteratura greca. Alla fine avrete di Saffo un ritratto un po’ diverso da quello col quale ci viene comunemente descritta, ma, a mio parere, più vero, più vivo e, indubbiamente, più intrigante. Noi conosciamo Saffo soprattutto per le sue composizioni amorose, cariche di eros, composizioni che essa rivolge alle sue amate. Il carme più famoso è il 'Carme della gelosia' in cui descrive dettagliatamente la malattia d’amore in tutte le sue manifestazioni corporee. Saffo è colei che, per prima, descrisse la malattia d’amore rendendola attraverso una descrizione fisica dettagliata e concreta. L’'ode della gelosia' ebbe un particolare successo nell’antichità e Catullo la riprese e la trasferì nella lingua latina, usando, per la sua Lesbia, lo stesso metro e la stessa strofe saffica. Saffo nacque attorno al 640/630 a.C. a Ereso, una città dell’isola di Lesbo. L’isola di Lesbo è situata nell’alto Mare Egeo, poco distante dalla Lidia e dalle città di Sardi e di Troia. E non lontana anche dalla città di Focea, patria di abilissimi marinai. Un’area, per intenderci, dove si parlava il dialetto eolico. Ma chi era veramente Saffo? Strabone la definì "una meravigliosa creatura" e per Platone era "la decima musa". Alceo, poeta a lei contemporaneo, e nato anch’esso nell’isola di Lesbo, la chiama "Chioma di viole, veneranda Saffo dal riso di miele". Sono epiteti che rimandano alla dea della bellezza e dell’amore, divinità di tutto ciò che fiorisce e dà frutti. Afrodite è coronata di fiori, è la dea dalle belle corone (εὐστέϕανος) e dal dolce sorriso (ϕιλομμειδής);Ericina Ridens la nomina Orazio. Alceo definisce Saffo 'veneranda', perché il suo ruolo è in primo luogo religioso, e riconosce in lei una sacerdotessa di Afrodite. Sarà stato questo il motivo per il quale il primo componimento, che apriva il primo dei nove libri dell’edizione alessandrina delle sue opere, era proprio l’Inno ad Afrodite. Questo ruolo religioso Saffo lo svolgeva all’interno del tiaso. Il tiaso era un collegio elitario, nel quale confluivano le ragazze delle famiglie bene, delle famiglie aristocratiche dell’isola di Lesbo, ma anche delle isole vicine. Famiglie che avevano comuni ideali, comuni modi di vivere e comuni comportamenti sociali. Era una sorta di collegio femminile esclusivo in cui le fanciulle che ne facevano parte, trascorrevano l’adolescenza, o parte di essa, preparandosi alla vita adulta e al matrimonio. Ma il tiaso che ruotava attorno a Saffo non era soltanto un collegio d’èlite, era anche una confraternita religiosa, che si dedicava al culto di Afrodite. Questa comunità femminile aveva quindi carattere religioso, cultuale e iniziatico. Saffo era una esponente del clan dei Cleanattidi, uno dei clan più influenti dell’isola di Lesbo. Afrodite era il nume tutelare di questo clan e il gruppo guidato da Saffo avrebbe avuto pertanto una funzione istituzionale nel tempio della dea. Alle ragazze del tiaso veniva impartita una istruzione ed una formazione artistica: imparavano la musica, il canto, e la danza. L’educazione di queste fanciulle comprendeva anche la sfera amorosa; venivano infatti ad instaurarsi tra le allieve, così come con la sacerdotessa del tiaso, legami di natura omoerotica. Eros omoerotico, socialmente accettato, in Grecia, solo quando un giovinetto o una fanciulla non erano ancora entrati a pieno titolo nella vita adulta. Questi rapporti omoerotici avevano il compito di trasmettere al giovane il complesso di idee e conoscenze che lo avrebbero introdotto alla successiva età della vita e assolvevano inoltre al compito di favorire la trasmissione di un patrimonio di valori e di comportamenti sociali da una generazione all’altra. In altre parole il rapporto omoerotico o, se volete, pederotico, si configurava anche e soprattutto come rapporto educativo fra maestro e allievo. In un frammento, Saffo, proclama : io amo la raffinatezza, e voi lo sapete. In un altro frammento si rivolge così ad una ragazza del tiaso: una volta eri una ragazza elegante. In un altro ancora: ... i piedi avvolgeva una sgargiante calzatura, bel lavoro lidio. E ancora: ….io su morbidi cuscini voglio distendere le membra….; oppure …in eleganti vesti di lino bene si avvolse. Sono frasi queste che denotano: eleganza, buon gusto, raffinatezza, bellezza. Sono questi infatti i caratteri che contraddistinguevano le fanciulle del tiaso; questa è l’educazione che Saffo impartiva alle sue allieve. Saffo quindi faceva parte del clan aristocratico dei Cleanattidi, protagonisti, assieme ad altre famiglie, di devastanti e sanguinose lotte civili per il predominio politico nell’isola di Lesbo. Questi aristocratici detenevano una enorme ricchezza derivata soprattutto dalle smisurate proprietà terriere, ma anche all’attività imprenditoriale ed armatoriale. Essi vantavano, o millantavano, una discendenza famosa: un dio, un eroe, il fondatore stesso della città, e detenevano il monopolio delle liturgie religiose legate a culti antichi. Ed infine un’altra caratteristica di queste famiglie era il lusso, in qualche modo connesso con le altre due caratteristiche della nobiltà, i privilegi religiosi e la ricchezza. Il lusso veniva ostentato nella vita di tutti i giorni: tuniche di tessuti preziosi, gioielli, calzari finemente lavorati, acconciature ricercate, ecc. Il motivo dell’ostentazione di questo lusso è adombrato nello stesso nome 'àristoi', i migliori. I nobili infatti, in ogni occasione della loro vita sociale, si preoccupavano di aristeuein, cioè di primeggiare, essere i primi, essere i migliori, essere più in vista. Mi potreste chiedere: ma tutto quanto ci stai raccontando cosa ha a che dividere con la bellezza delle donne ericine? Se avrete la pazienza di leggermi fino in fondo lo capirete. Finora Saffo ci è stata presentata come la poetessa dell’amore, come autrice di epitalami e di carmi dal carattere intimistico familiare. Un aspetto poco approfondito, e spesso appena sfiorato, è il ruolo politico di Saffo all’interno della città di Mitilene, capitale di Lesbo. Ebbene, una mia personale ed originale congettura sul 'Carme dei fratelli' ed una rilettura di un altro carme, finora etichettato come un carme intimistico familiare, getterebbe nuova luce sul ruolo politico della poetessa e ce la presenterebbe sotto un profilo inedito e nello stesso tempo affascinante. Alcuni anni fa una scoperta di eccezionale importanza permise di fare conoscere al mondo letterario una poesia di Saffo fino allora sconosciuta. Brothers Poem 'carme dei fratelli' Un anonimo collezionista si presentò infatti ad Oxford al papirologo Dirk Obbink con dei frammenti di papiro chiedendogli di decifrarli. L’eccezionalità del ritrovamento sta soprattutto nel fatto che uno dei frammenti contiene un carme di Saffo quasi completo: una vera e propria rarità. In questo carme Saffo parla dei suoi fratelli Larico e Carasso. La poesia, ormai conosciuta come Brothers Poem, il 'Carme dei fratelli', suscitò, fin dalla sua pubblicazione su una rivista di papirologia tedesca, un dibattito critico e una miriade di saggi , di studi, di interpretazioni, di ipotesi: dibattito critico che dura ancora oggi. La poesia si presenta come un propemptikon, ossia una preghiera per il felice ritorno del fratello Carasso, mercante partito per mare in cerca di guadagni, e assente da casa da lungo tempo. Non starò qui a descrivervi nei particolari il carme. Sappiate che Saffo si rivolge alla madre, o forse alla nutrice, rimproverandola perché va sempre ripetendo blaterando e borbottando che la nave arriverà piena in porto. Ma queste cose le conosce solo Zeus, mentre tu invece mi dovresti mandare al tempio di Era per pregare affinchè la nave ritorni sana e salva, dice la poetessa. Saffo cita quindi il proverbio: 'anche il cielo torna sereno all’improvviso dopo una grande tempesta' e così anche noi, ci libereremo, all’improvviso, dalle nostre angosce, se Larico alza la testa e una buona volta diventa uomo. Larico è il più giovane dei fratelli di Saffo, poco più che adolescente. Larico è rimasto l’unico uomo della famiglia e su di lui, in assenza di Carasso, Saffo ripone le speranze (economiche?) della famiglia. Perché Saffo dedica un’intera poesia alle vicende personali della sua famiglia? Le sue preoccupazioni per la salute del fratello e per le sorti della sua famiglia sono legittime. Ma sono sufficienti a giustificare la composizione di un carme, destinato, tra l’altro, a non rimanere confinato nel suo contesto più intimo, o tuttalpiù in un contesto strettamente familiare? Dobbiamo ricordarci che la lirica greca aveva come presupposto una diretta interazione tra il poeta e il suo pubblico. Il poeta lirico componeva infatti per un ben determinato gruppo di ascoltatori, scandiva con la sua voce i principali momenti della vita sociale: i rituali iniziatici, i matrimoni, i funerali, le feste religiose, e anche le riunioni di amici convenuti al simposio per bere, festeggiare, complottare contro avversari politici. Mi sembra che ci siano buoni argomenti per annoverare il Brothers Poem fra i componimenti di Saffo che erano destinati ad occasioni conviviali affini al simposio maschile in cui il poeta, nel nostro caso la poetessa, era chiamata o si sentiva chiamata ad interpretare i valori della collettività che in modo formale o informale le aveva ‘commissionato’ il canto. Alla luce di tutto ciò quel ‘noi’ che troviamo in fondo all’ultima strofa evocherebbe non la famiglia di Saffo in senso stretto, ma una comunità più ampia unita da medesimi ideali, sentimenti, comportamenti sociali. Tutto ciò che finora era stato detto e scritto, nella vasta letteratura internazionale che avevo consultato, non mi convinceva più di tanto. C’era qualcosa che mi sfuggiva. Avevo la sensazione che Saffo volesse nascondermi qualcosa. Ho elaborato pertanto una mia personale ed originale congettura in grado di soddisfare il mio innato desiderio di chiarezza e in grado di dare un significato più credibile e più logico a tutta la composizione. Il termine ναῦς, nave, lo troviamo due volte nel carme. La prima volta quando il personaggio della seconda persona singolare, il tu, forse la nutrice, le va ripetendo che la nave di Carasso giungerà in porto carica. La seconda volta quando la poetessa si augura invece che la nave possa ritornare sana e salva. Ma siamo proprio sicuri che Saffo stia parlando veramente di una nave? O sta alludendo allegoricamente a qualcosaltro? Alceo nella famosa allegoria nave/stato, ripresa, tra l’altro, da Dante nel VI Canto del Purgatorio, descrive la situazione politica della città di Mitilene. In questo celebre frammento sulla nave in mezzo alla tempesta, ogni elemento della rappresentazione ha il suo correlativo nella condizione politica della città, pressata dai cittadini delle varie fazioni. La nave è lo stato, la città. Essa è assalita dall’azzuffarsi dei venti, cioè dalle diverse fazioni, dalle lotte intestine, che la stanno facendo precipitare a fondo. E i cittadini tutti, fortemente provati, stanno anch’essi per naufragare. Saffo è a conoscenza dell’allegoria nave/stato di Alceo e la riutilizza nei suoi carmi. Mentre in Alceo l’allegoria nave/stato è chiara e facilmente intelligibile, in Saffo è più sfumata e bisogna andare a cercarla. Nel 'Brothers poem' la nave che deve essere condotta sana e salva non è la nave di Carasso, ma la città di Mitilene e il suo governo. La tempesta fa riferimento all’instabilità politica. Il 'noi' della strofa finale non si riferisce alla famiglia di Saffo, ma si riferisce alla comunità di cui Saffo fa parte e di cui rappresenta un autorevole esponente. Larico, o chi per lui, dovrebbe diventare il salvatore della famiglia e della città. La poetessa, in altre parole, si sta rivolgendo ad una comunità di aristoi, ai componenti del suo clan, spronandoli ad agire. La parola vaus, nave, doveva, per questi carbonari, o cospiratori, o come li vogliamo chiamare, risuonare come una parola d’ordine, come una chiamata a raccolta. Saffo, in altre parole, sta facendo rullare i tamburi di guerra! Saffo quindi, esprimendosi in maniera criptica, e prendendo come pretesto il fratello Carasso e i suoi viaggi per mare, potrebbe, in questo carme recentemente riscoperto, alludere alla situazione politica nell’isola di Lesbo. Il carme dei fratelli si connoterebbe pertanto, sotto le spoglie di un componimento intimistico-familiare, come un carme squisitamente politico, esortativo, che ha l’intento di spronare all’azione i componenti aristocratici della sua cerchia. Alla luce di tutto ciò anche l’altro componimento di carattere familiare, quale l’invocazione alle Nereidi, che ha anch’esso per tema il ritorno del fratello Carasso, potrebbero essere inquadrato in questo contesto. Saffo infatti, in questo carme, dopo un cenno iniziale a circostanze legate al suo ambito familiare, nella parte conclusiva, in maniera slegata dal precedente contesto, cambia improvvisamente registro e si lascia andare, inaspettatamente, a commenti dal sapore politico. Nel carme delle Nereidi, l’errore di Carasso, che ha macchiato l’onore della famiglia, e di cui si è reso conto in ritardo, non è stato quello di sperperare denaro, in Egitto, con la cortigiana Rodopi, come ci è stato spiegato finora, ma quello di avere abbandonato la famiglia in un momento politico cruciale, favorendo l’ascesa al potere del clan rivale. Ma, col suo ritorno, potrà rimediare all’errore, ed essere motivo di pena per i suoi nemici. Questi carmi di argomento alquanto banale e personale acquisterebbero così ben altro significato, in quanto espressione di sentimenti che erano condivisi in pieno dalla comunità, dal clan di aristocratici, di cui la poetessa faceva pur parte e della quale comunità rappresentava un autorevole componente. Saffo aveva quindi un ruolo di primo piano nelle vicende politiche della città di Mitilene! Ed era un soggetto pericoloso! E per questo motivo fu mandata in esilio. Pittaco infatti, nominato conciliatore della città dopo l’uccisione del tiranno Mirsilo, la costrinse ad andare in esilio fuori dall’isola. Trattamento estremamente duro se lo confrontiamo con quello riservato ad Alceo, che si tenne lontano dai guai, ma che comunque non si allontanò mai dall’isola. Ci avviciniamo così alla soluzione dell’interrogativo iniziale. Il Marmor Parium, un’iscrizione greca del III secolo a.C., che riporta numerosi avvenimenti della storia greca, ci dice che Saffo sarebbe stata in esilio nella città di Siracusa. Questo è almeno ciò che ci è stato sempre raccontato. Ma se andate a leggere cosa dice il Marmor Parium troverete due genitivi assoluti con valenza temporale: ἄρχο]ντος Ἀθήνησιν μὲν Κριτίου τοῦ προτέρου, ἐν Συρακούσσαις δὲ τῶν γαμόρων κατεχόντων τὴν ἀρχὴν. …quando ad Atene era arconte il primo Crizia e a Siracusa avevano in mano il potere i Gamoroi. L’autore del Marmor parium, volendo inquadrare temporalmente l’esilio di Saffo in Sicilia, ci dice che Saffo fu in Sicilia negli anni in cui ad Atene era arconte Crizia e a Siracusa detenevano il potere i Gamoroi. Ma ciò non ci autorizza ad affermare che Saffo fu a Siracusa! E allora in quale località sarà stata Saffo, negli anni, si pensa cinque, nei quali fu in esilio in Sicilia? Cerchiamo per un po’ di metterci nei panni della poetessa. Dovendo scegliere, Saffo avrà scelto senz’altro un paese dove si parlava la sua lingua, un paese dove abitavano suoi parenti, o almeno cittadini che condividevano con essa costumi, tradizioni e religione. Le sarebbe sicuramente stato più agevole cercare ospitalità nella vicina Grecia, o a Creta, o in un’isola vicina a Lesbo. Perché si avventurò così lontano? Perché scelse proprio la Sicilia? Iniziamo dalla lingua. Nell’isola di Lesbo si parlava il dialetto eolico. E dialetto eolico si parlava nell’area vicina, a Troia, a Sardi, a Focea. A Siracusa si parlava invece un dialetto dorico. Saffo avrà pertanto scelto una località dove si parlava, o comunque era conosciuto il suo dialetto, il dialetto eolico, o, quanto meno, un dialetto molto simile. E in Sicilia, c’era una località dove parlava in dialetto eolico? Qualche secolo prima, nell’estremo lembo della Sicilia occidentale, era avvenuto qualcosa di particolare. Sentiamo cosa ci racconta Tucidide. Nel libro VI delle sue Storie, nelle premesse della spedizione di Sicilia, Tucidide dice che Erice fu fondata dagli esuli troiani che fuggendo nel Mar Mediterraneo, avrebbero trovato qui il posto ideale per insediarvisi. Si stabilirono poi accanto a questi anche alcuni dei Focesi, trascinati dapprima dalla tempesta da Troia in Libia, e poi in Sicilia. Il dialetto eolico, tramite gli esuli da Troia e i marinai focesi, giunse in qualche modo ad Erice e, in qualche modo, vi rimase, lasciandovi una enclave eolica. La lingua parlata da questi troiani e da questi focesi trapiantati in Sicilia doveva essere molto simile a quella parlata nell’isola di Lesbo. Ora le affinità di Lesbo con la Sicilia, e segnatamente con quell’area della Sicilia occidentale di cui ci parla Tucidide, non si limitavano semplicemente alla lingua. Saffo era figlia di Scamandronimo, il cui nome tradisce le origini troiane. Ad Erice probabilmente abitavano lontani parenti da parte del padre o, comunque, troiani suoi concittadini. Il fratello di Saffo, Carasso, era un mercante che si spingeva lontano dalla sua isola, per i commerci sulle rotte del Mediterraneo. E’ probabile quindi che tra l’estrema punta della Sicilia occidentale e l’isola di Lesbo, vuoi per antichi vincoli di parentela, vuoi per affinità di dialetto, si sia instaurata una rotta commerciale abbastanza trafficata: il legame con la madre patria non era stato del tutto troncato. Tutte queste considerazioni avranno spinto pertanto Saffo a scegliere come sede del suo esilio la città di Erice. Ma oltre a queste affinità linguistiche, di antiche parentele, e forse anche di interessi commerciali, c’era un altro motivo, forse il più importante, che aveva fatto pendere la bilancia a favore della città di Erice: quello religioso. Abbiamo visto che Afrodite rivestiva una notevole importanza per i componenti dell’aristocratica famiglia di Saffo. Saffo stessa, come ci tramanda Alceo, era una sacerdotessa di Afrodite, e le fanciulle del tiaso da essa presieduto erano coinvolte in certo qual modo nei riti e nel culto della dea. Per Afrodite Saffo aveva scritto un inno che apriva il primo dei nove libri dell’edizione alessandrina. Sappiamo ancora che sulla vetta di Erice esisteva un santuario dedicato ad Afrodite, conosciutissimo nel mediterraneo. Motivazioni di ordine linguistico, di lontane parentele, possibilità di raggiungere la Sicilia con navi commerciali, e soprattutto motivazioni di ordine religioso, avranno quindi spinto Saffo a scegliere come sede del suo esilio la città di Erice. Ma Saffo non andò in esilio da sola. Il suo destino fu condiviso da altri componenti del clan dei Cleanattidi e di altre famiglie ( in un altro dei suoi frammenti dice che i Cleanattidi furono dispersi in esilio) che condividevano la sue stesse idee politiche e gli stessi ideali, le stesse famiglie che avevano affidato a lei le loro figlie per essere educate. E’ verosimile pertanto che anche queste fanciulle, dedite al culto e ai riti di Afrodite, siano andate in esilio con la poetessa e le loro famiglie, stabilendosi nella città di Erice. Qui avrebbero continuato le loro pratiche religiose e cultuali, qui si sarebbero accasate, e da loro discenderebbero le donne ericine, le più belle dell’isola. Mi chiederete: ma come fai a dire che queste fanciulle erano veramente e particolarmente belle? Nel tiaso, come ho già detto, le ragazze venivano educate al culto dell’eleganza, del buon gusto, della raffinatezza, e della bellezza. Ma prima ancora che nella struttura mentale di Saffo, la sensibilità verso la bellezza femminile era diffusa, quasi geneticamente connaturata, nell’isola di Lesbo. La bellezza delle donne di Lesbo era proverbiale ed è attestata già nell’Iliade. Nel libro IX dell’Iliade, quando Agamennone tenta di riconciliarsi con Achille, si dichiara disposto a restituire Briseide e a fargli doni preziosi, tra i quali sette donne di Lesbo superiori in bellezza a tutte le altre. Nell’isola di Lesbo esisteva poi un vero e proprio culto della bellezza femminile. Alceo, il poeta di Lesbo, contemporaneo di Saffo, ci dà notizia di un concorso di bellezza, Kallisteia, una sorta di Miss Italia, che aveva luogo ogni anno presso il tempio di Era, nell’isola di Lesbo. La giuria, composta da giovani, doveva giudicare non solo la perfezione delle forme fisiche, ma anche l’eleganza, la grazia, la raffinatezza, la nobiltà nel portamento. …e oziando nel bel mezzo di festive adunanze soggiorno tenendo i piedi lontano dai guai, dove in gara di bellezza vergini di Lesbo sfilano tenendo su la veste, e freme d’intorno il suono divino delle donne che levano il sacro ululo annuale Le fanciulle che sfilano durante il concorso di bellezza sono qualificate con l’espressione Λεσβιάδες ἐλκεσίπεπλοι, che alzano, che tengono sollevato il peplo. A Lesbo quindi, le fanciulle che sfilavano durante la Kallisteìa, indossavano un lungo peplo, tenendolo leggermente sollevato sopra le caviglie, mentre le donne adulte levavano un grido rituale. Questo modo di indossare il peplo era un 'modus vestiendi' che denotava raffinatezza ed eleganza. Forse Saffo fa proprio riferimento a questo tipo di portamento quando si scaglia contro la sua nemica Andromeda: una zoticona che non sa tenere sollevati i suoi straccetti sopra le caviglie. Per concludere: alludeva alla situazione politica di Mitilene, la poetessa, accennando alla nave, nel carme dei fratelli? Fu veramente in esilio nella nostra Erice? Chi può dirlo? Gli interrogativi rimangono senza risposta, come tanti altri sulla nostra poetessa e sugli altri lirici dell’età arcaica. Di essi ci sono pervenuti soltanto dei frammenti, talora dei frantumi, che hanno stimolato la nostra fantasia e la nostra immaginazione e ci hanno fatto formulare tante ipotesi, da quelle più verosimili a quelle più stravaganti, come qualcuno potrà giudicare quelle mie di oggi. Di tanto in tanto le sabbie del deserto ci restituiscono nuovi frammenti, più o meno estesi. Si riaccendono in tali occasioni le discussioni, le diatribe, le ricostruzioni, che lungi dal porre la parola fine alle questioni da tempo irrisolte, alimentano gli studi su questi straordinari poeti e su questa loro meravigliosa lingua. Erycina ridens, dal canto suo, continuerà ad ammaliare i viaggiatori col suo sorriso, Erice, esempio nobile e raro di civiltà "antica", continuerà ad incantare i visitatori col suo fascino, e le donne ericine continueranno a farci favoleggiare della loro nobile origine e della loro, geneticamente connaturata, bellezza ed eleganza. *AVVERTENZA Il testo e le immagini, ed in particolare la tesi inedita sul 'Carme dei fratelli', sono proprietà dell’autore Giuseppe Abbita. La riproduzione anche parziale deve essere dallo stesso autorizzata.

Autore Prof-Greco

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Inserito il 16 Novembre 2021 nella categoria Relazioni svolte