Antonino Tobia ha accompagnato il numerosissimo pubblico nel mondo delle tragedie di Euripide
Relatore: Prof. Antonino Tobia
PREMESSA
Le nuove indicazioni didattiche che il ministro della P.I. Valditara intende inserire nel curriculum della scuola primaria, oltre allo studio facoltativo del latino, in seconda media, prevedono la lettura dei passi più significativi della Bibbia, dell’Iliade, dell’Odissea, dell’Eneide e della Divina Commedia, cioè di quelle opere che hanno segnato l’identità della civiltà occidentale. Oltre ad essere un tale approccio alquanto interessante per una prima definizione dei contorni culturali dei nostri allievi, a partire dalla fascia preadolescenziale, un’accurata scelta antologica di tali opere potrà scrivere una pagina di educazione civica, nel sottolineare il ruolo della donna nella storia dell’umanità, fino ad oggi sottaciuto o soffocato da atteggiamenti paternalistici o maschilisti, visto che i volumi di storia sono stati da sempre redatti da scrittori di sesso maschile.
Leggendo la Bibbia, si nota immediatamente che la prima pagina dell’avventura umana sulla Terra fu scritta da Eva, colei che volle andare oltre ogni limite imposto alla conoscenza, servendosi proprio di quel libero arbitrio che il Padre Eterno aveva concesso alla sua creatura prediletta.
Anche il mondo dell’epica occidentale pone in primo piano la funzione della donna, motrice degli eventi:Briseide, costretta a lasciare la tenda di Achille, per soddisfare la tracotanza di Agamennone,causa la furiosa ira di Achille, che si ritira dal campo di battaglia, arrecando perdite e grave sconforto tra le schiere degli Achei, che avevano scatenato una lunga e sanguinosa guerra a seguito del rapimento della bellissima Elena, moglie di Menelao.
Odissea è il poema di Ulisse, l’eroe greco mosso dalle donne, da Circe a Calipso, da Nausicaa a Penelope. Anche nell’Eneide le donne giocano un ruolo fondamentale nelle vicende dell’eroe troiano, Enea. Prima fra tutte sua madre, la dea Venere, che aiuta il figlio nella sua missione di fondare la nuova Ilio. Quindi il ruolo della regina di Cartagine, Didone, che offre ospitalità e protezione all’ospite troiano, di cui si è perdutamente innamorata, fino al tragico epilogo di questo disperato amore. E, infine, Lavinia, la promessa sposa di Turno , re dei Rutuli, che s’innamora di Enea e lo sposa, dando origine alla stirpe dei Romani, attraverso il loro figlio Silvio, fondatore di Albalonga e capostipite dei re latini.
E, per concludere, forse Dante avrebbe potuto scrivere il suo capolavoro se nella sua vita non fosse entrata l’immagine tanto gentile e tanto onestadi Beatrice?
Dopo questo doveroso excursus sull’importante ruolo della donna nel processo storico dell’umanità, è opportuno analizzare l’opera del tragediografo Euripide per tracciare il profilo della donna quale risulta da alcuni volti femminili che troviamo nelle tragedie di Euripide, delle quali ben 12 delle 17 a noi pervenute per intero hanno come protagoniste profili di donne.
Se analizziamo i poemi omerici e la tragedia greca, i personaggi femminili,da Penelope aNausicaa, da Andromaca ad Elena, da Medea ad Alcesti, da Clitemnestra ad Antigone, sembrano disporre di una loro forte personalità, donne dotate di una certa libertà di azione nella vita sociale, anche se in conflitto con la prepotenza e l’arroganza maschili.
Si tratta di convenzioni letterarie, o di comportamenti concessi ad una cerchia limitata di donne aristocratiche, che potevano disporre di una loro indipendenza, come nel caso della nobile Saffo, poetessa dell’isola di Lesbo (VII secolo a. C.), la quale godeva di una notevole libertà artistico-culturale all’interno del suo tiaso?
Sappiamo che nell’Atene democratica i diritti della donna in Grecia erano molto limitati. Non godevano dei diritti politici, il matrimonio veniva organizzato dal padre, non poteva ereditare o possedere beni di proprietà e i suoi interessi erano curati dal genitore,dal fratello o da un tutore. Vivevano isolate in casa, sorvegliate dalle madri e, come annota Senofonte, 'esse potevano vedere, sentire e chiedere il meno possibile'.La donna partecipava alle funzioni religiose, ai funerali, alle feste pubbliche. Venivano date in sposa dal padre all’età di 15 anni ad un uomo maturo, trentenne, e a casa loro governavano i servizi affidati alle schiave, come la filatura, la tessitura, la confezione degli abiti dei familiari. Si prendevano cura della crescita dei bambini, trascorrendo la maggior parte del tempo tra le mura domestiche. Se raramente uscivano, non erano mai sole, ma accompagnate da una schiava. Le vedove senza mezzi lavoravano fuori, per lo più come venditrici di ortaggi, verdure, frutti vari al mercato. I commediografi satireggiavano Euripide, con una battuta che riguardava il fatto che la madre sarebbe stata venditrice di ortaggi al mercato.
Le schiave, le trovatelle, le donne prive di cittadinanza diventavano concubine o etere, cortigiane che godevano di una certa tutela legale, anche se dovevano pagare una tassa. Etere famose, come Aspasia e Frine, divennero compagne di uomini di potere, come Pericle, amante di Aspasia, donna colta e raffinata, artisti come Apelle e Prassitele che furono ispirati dalla straordinaria bellezza di Frine per i loro capolavori: l’uno con il ritratto diAfrodite che emerge dalle acque, l’altro con la statua di Afrodite di Cnido.Nel teatro euripideo troviamo un’ampia nomenclatura di volti femminili. L ‘animo delle donne è oggetto di un’analisi psicologica attenta e approfondita con risvolti ora di severa condanna ora di partecipazione umana, in ogni caso con l’intento di spiegare gli eventi e i sentimenti umani alla luce della ragione. Il poeta scava nella coscienza delle sue protagoniste, lumeggiandone i vizi e le virtù, i pregi e i difetti.La scoperta della coscienza e l’analisi dei moti contradditori dell’animo femminile rappresentano una novità nel teatro greco, ma tale indagine è stata spesso considerata un atteggiamento di severa misoginia da parte del poeta.
Euripide nacque a Salamina forse nel 480 a. C., lo stesso anno, anzi lo stesso giorno, della battaglia che dall’isola natia del poeta prende il nome. La sua famiglia doveva essere benestante, se fu tra i primi nell’antichità a possedere una biblioteca. Una leggenda biografica è quella ripresa dal commediografo Aristofane, che nelle Rane accenna al mestiere della madre di Euripide, che sarebbe stata un’umile venditrice di erbaggi. Ad Atene frequentava i più insigni filosofi contemporanei, da Anassagora, filosofo e scienziato, che visse ad Atene sotto la protezione di Pericle, a Protagora, il padre della sofistica e uno dei primi filosofi relativisti. Amava condurre una vita appartata, immersa nello studio, lontanadalla politica attiva e questo suo atteggiamento pensoso e solitario, schivo di onori, fanno di Euripide un uomo nuovo e diverso nella Atene del V secolo. Nel 408 si allontanò da Atenee si recò a Pella, in Macedonia, presso il re Archelao I, che cercava di modernizzare il suo piccolo stato invitando artisti e intellettuali alla sua corte. A Pella morì l’anno successivo, secondo la leggenda, sbranato da una muta di cani.Gli antichi gli attribuivano 92 drammi, dei quali a noi sono pervenuti 17 e un dramma satiresco. La sua fortuna di tragediografo è testimoniata dal gran numero di papiri contenenti le sue opere, inferiore solo ai papiri che riportano i versi di Omero.
Interprete della psicologia femminile, Euripide è considerato portavoce della ribellione delle donne, in un tempo in cui la condizione di sottomissione sociale femminile cominciava ad essere messa in discussione. Euripide agisce su due fronti. Da un lato riprende il vecchio luogo comune della donna origine di ogni male, a partire da Pandora, responsabile di avere diffuso sulla terra mali e sofferenze prima sconosciuti nell’età dell’oro, fino ad Elena, causa della decennale e sanguinosa guerra di Troia. Dall’altro,svela le profonde ferite e sofferenze causate dagli uomini alle donne, per cui esse appaiono nella loro grandezza tragica, in contrasto con gli uomini, i quali svelano la propria natura vile ed egoista.Nel primo caso, basti riflettere sulle parole di Ippolito, che rifiuta, sdegnoso e superbo, l’amore incestuoso di Fedra, sposa di suo padre, Teseo:
Zeus, perché hai posto tra gli uomini la donna, ambiguo malanno … La donna è un grosso guaio, se il padre che l’ha generata, vuole disfarsene con una ricca dote e collocarla a casa di un altro, per liberarsi di un grosso guaio ! … La cosa migliore è avere a casa una donna stupida. Odio la donna saputa! … non sarò mai sazio di esecrare le donne …esse sono sempre scellerate.
Ippolito non odia Fedra ma prova paura e disgusto per la sfrenata passione della matrigna.
Può sembrare che l’atteggiamento di Ippolito sia mosso da un certo misoginismo, senonché la passione che consuma Fedra trova la sua giustificazione nella vendetta di Afrodite nei confronti del giovane casto e puro, che trascura l’amore e segue la dea Artemide, dedicando la sua vita alla caccia. In tal modo, anche il delirio erotico di Fedra è giustificato dal poeta.
Non c’è traccia di misoginismo, allorquando Euripide crea la dolce personalità diAlcesti.
Alcesti e Admeto
Admeto, re della Tessaglia, ha ottenuto da Apollo il privilegio di sfuggire alla morte se avesse trovato qualcuno disposto a morire in sua vece. Inutili sono le preghiere che Admeto rivolge ai vecchi genitori. Questi nel loro egoismo senile non vogliono rinunciare alla vita per salvare il figlio:
Secondo stasimo, antistrofe II:
La madre il corpo alla terra donare per il suo figlio non volle né il padre vecchio. Eppure, non ne avevano un altroe questo che ad essi era natonon ardivano di trarlo in salvo,ahi tristi, e il capo avevano bianco.
Incontro al triste fato accetta di andare la giovane sposa di Admeto, Alcesti, in nome del suo forte amore per il marito eper non lasciare i figli privi della protezione paterna. Il sentire materno prevalee accresce l’angoscia dell’abbandono:
Alcesti piange, si getta sul letto dove è stata sposa felice, quindi si alza dal talamo per l’estremo addio. I figli le si aggrappano alla sua veste piangendo e or l’uno or l’altra prendendo tra le braccia li baciava, pensando alla sua morte. E singhiozzando, trova la forza di rivolgere un’ultima preghiera al marito:
angosciata dal pensiero che un’altra donna possa prendere il suo posto nel suo talamo e che i suoi figli possano essere affidati ad una matrigna.
Perché tu li ami questi ragazzi,non meno di me.
Se vero che ne hai cuore, sopportache sian essi i padroni della miacasa.
Non ti sposare, non la dareuna matrigna a queste creature.
Che a confronto di me sarà cattiva,e avrà dell’astio e leverà le mani
sui tuoi figli, i miei figli. Tu non devifarlo questo. Son io che te lo chiedo.
Una matrigna è una nemica ai figlidel primo letto, e dolcezza ne ha
quantane ha una vipera…
Figlia mia, sposa non ti farà la madre tua, né all’ora di partorire ti sarà vicina
a rincorarti.Non c’è amoreche valga quello d’una madre….
Euripide penetra nelle pieghe dell’animo femminile, dotandoAlcesti di quella dignità che la colloca al di sopra della debolezza maschile, quanta ne rivela Admeto, un soggettoscialbo, egoista e alquanto meschino.Ugualmente egocentrico e opportunista si rivelaun altro personaggio maschile, Giasone nella Medea. La scena si apre a Corinto col prologo della nutrice di Medea, che riassume con toni drammatici la sventura toccata alla sua padrona:
Oh la nave Argo non fosse mai giunta nella terra della Colchide alla conquista del vello d’oro! Non avrebbe Medea, la mia signora, sofferto tanto, colpita nel cuore dall’amore di Giasone e non sarebbe venuta ad abitare in questa terra di Corinto.Qui, ora tutto è a lei nemico, ed è ferita nei suoi affetti più cari.Traditi ha Giasone i propri figli e ha tradito la sposae signora mia, congiungendosi in nozze regali con la figlia del re Creonte, che è il re di questa terra. E Medea, la infelice Medea richiama a gran voce i giuramenti, protesta la fede violata, invoca gli dei. E non prende cibo, si strugge in pianto, si abbandona al dolore, rimpiange il caro padre, il fratello da lei ucciso per salvare il suo amor. Odia i figli né mai di riguardarli gioisce. Tremenda donna è, e certo non facilmente, chi si scontri con lei nemica, potrà riportarne vittoria.
Il prologo espositivo, cui ricorre Euripide, obbedisce ad un’esigenza pratica, quella di introdurre lo spettatore preventivamente nella atmosfera drammatica delle vicende che stanno per essere rappresentate.Dopo il prologo, entrano in scena i due bambini, i figli di Medea e di Giasone. Essi ritornano dai giochi accompagnati dal pedagogo, né conoscono la disperazione che sta sconvolgendo la mente della madre:il cuore dei bambini non conosce sofferenza. Medea è ancora dentro casa. La nutrice vorrebbe che i piccoli non andassero incontro alla madre, di cui conosce la natura selvaggia e l’animo ostile. Ma lei li vede e col cuore gonfio d’ira lancia grida di violento furore:Oh … figli maledetti, di madre maledetta, possiate perire insieme col padre, e tutta la casa rovini!Il suo volto è pallido e cupo. Si apre la porta di casa. Medea esce e si rivolge alle donne di Corinto, per evitare che esse possano giudicarla male senza aver conosciuto il suo dramma:
Non è giusto, chiunque tu abbia appena veduto,disprezzarlo senza averne pima sperimentato l’animo chiaramente e senza averne ricevuto offesa. Deve l’ospite sapersi adeguare allacittà che lo ospita; né è lodabile il cittadino che mostri arroganza e tracotanza, per difetto di conoscenza, verso un’altra persona che non ha ancora conosciuto.
L’odio di Medea per Giasone finisce con l’estendersi a tutti gli uomini con accenti
tipici di una femminista ante litteramche denuncia l’assenza di parità di diritti sociali e politici dei due sessi:L’uomo, se si stanca di stare insieme alla gente di casa, esce e vince la noia. Ma per noi non c’è che fare: c’è un’anima sola a cui guardare. Dicono che noi viviamo un’esistenza senza rischi, dentro casa, e che loro invece vanno a combattere. Errore! Accetterei di stare in campo, là, sotto le armi, per tre volte, piuttosto che figliare solo una volta.
Si tratta di una protesta rivoluzionaria per quei tempi, se ancora, un secolo dopo Euripide, Aristotele sosteneva che la donna era un essere inferiore rispetto all’uomo, soggetta agli impulsi e alle passioni, quindi un peso e un danno per lo Stato. Nessuno aveva denunciato le ingiustizie e difficoltà della donna greca, sia nel suo ruolo familiare sia nei rapporti sociali.
Abbandonata e umiliata, Medea architetta la vendetta estrema, che possa concepire una madre: uccidere i propri figli per punire il loro padre. Medea ha il petto gonfio di furore e la mente offuscata dall’ira, perché è consapevole non solo di essere stata tradita, ma di aver commesso atroci delitti per amore di Giasone: per aiutare Giasone nella conquista del vello d’oro era stata infedele verso il padre Eete, re della Colchide, figlio di Elios e fratello della maga Circe , e, orribile dictu,aveva fatto a pezzi il fratellino per arrestare l’inseguimento della nave del padre, costretto a fermarsi per raccogliere le membra del figlioletto gettate da Medea in mare durante la fuga.
Anche Arianna, figlia di Minosse, innamoratasi di Teseo, che s’era recato a Creta per uccidere il Minotauro, aveva aiutato l’eroe ateniese ad orientarsi nel Labirinto, donandogli un gomitolo di filo per orientarsi all’interno del Labirinto di Cnosso. Compiuta l’impresa, Teseo fuggì con Arianna.Ma raggiunta l’isola di Nasso, abbandonò la fanciulla immersa nel sonno.Rispetto a Medea, Arianna è una donna fragile, non aveva avuto figli da Teseo, e il suo innamoramento era stato una sorta di infatuazione adolescenziale, che supererà con un nuovo amore, quello del dio Dioniso, che le porse il suo aiuto, il suo amore e la rese immortale nel mondo degli dei.
Medea è diversa da Arianna.Si sente ferita nel suo orgoglio smisurato, che mette a tacere anche i sentimenti più profondi. Chiede vendetta e le sue arti magiche l’aiuteranno a realizzare il suo tremendo piano diabolico:La donna ha paura delle armi, ma quando le accade di essere offesa nei diritti del suo letto, non esiste altro essere più micidiale. Medea non parla quindi solo di sé, ma nella sua affermazione definisce un atteggiamento che considera comune a tutte le donne.
Medea è subdola e vuole godersi fino in fondo il suo micidiale progetto, allo scopo di affondare il coltello nel cuore dello sposo: Giasone ti prego, di ciò che prima ti dissi, perdonami! … Perché questo malanimocontro i sovrani di questa terra e contro lo sposo mio che fa per me ciò che a me più giova, sposando la figlia del re e generando fratelli ai miei figli? … E dunque io ti lodo e dico che tu operi con senno procurando a te e anche a me questo nuovo parentado e dissennata sono io che anzi dovevo condividere i tuoi propositi e favorirli e assistere alle tue nozze, e compiacermi di cure e di premure intorno alla tua giovane sposa. Ma no … siamo quel che siamo, e cioè, per non dire di peggio, donne. … Figli, figli miei, lasciate la casa, uscite, venite, salutate vostro padre, parlategli, e insieme con me deponete ogni forma di rancore.
Medea ha gli occhi gonfi di pianto. Per un attimo l’amore materno prevale sull’ira abilmente dissimulata e, alla fine, completa il suo piano:
Parve bene al re di mandarmi in esilio da questo paese, ma, ti prego, fai in modo che i miei figli non seguano la mia sorte e siano allevati qui da te. … Persuaderai la tua giovane sposa e in questo io ti aiuterò. Le manderò doni bellissimi, e i figli a lei porteranno, il peplo e la corona. E sarà felice la sposa, mille e mille volte felice, non solo di avere per marito un eccellente uomo come te, ma anche di possedere oggetti preziosi, che un giorno Elio, il Sole, padre di mio padre, lasciò in eredità ai suoi discendenti.
La tragedia volge ormai verso la catastrofe. Glauce, che ha ricevuto il peplo dai bambini, lo indossa e dinanzi allo specchio scintillante, postasi intorno alla chioma l’aurea corona, si acconcia sorridendo dinanzi all’immagine muta della sua persona, intenta ad osservare come le cada la veste. Medea ha raggiunto il suo atroce obiettivo di provocare la morte all’innocente giovane sposa, che muore di morte atroce, avvelenata dai filtri nefasti di cui è intriso il peplo bellamente ricamato, ricevuto in dono da Medea: La dolce e delicata Glauce è irriconoscibile; non si distingue più la forma dei suoi occhi, né il suo elegante volto. Dal capo grondano gocce di sangue e le carni, aggredite dal tossico, colavano giù lungo le ossa come lacrime di pino. Con lei muore anche il padre Creonte, accorso a portare aiuto alla figlia, attaccato alle sottili vesti di lei come l’edera ad un ramo di alloro.
Quindi Medea completa la sua vendetta trafiggendo con la spada i suoi due figli e neppure consente al padre di dare degna sepoltura ai piccoli innocenti. Lei fugge con i cadaveri dei figli sul carro tirato da draghi alati, mentre disperato Giasone invoca maledizioni contro una tale leonessa che gli ha impedito di toccare per l’ultima volta le sue creature.Euripide non poteva tratteggiare una natura femminile più selvaggia e violenta di quella riservata a Medea. Tuttavia il tragediografo cerca di calarsi nella psicologia malata, ferita, devastata di Medea, la quale trova una giustificazione per sé: Tu, Giasone, non dovevi spregiare il mio letto; non dovevate, tu e la figlia del re, godere alle mie spalle schernendomi; non doveva Creonte ordinarmi l’esilio da questa terra; era giusto che tutti di tutto pagaste la pena.
È il letto la forza capace di provocare la ribellione nelle donne. E letto è la parola chiave nelle tragedie euripidee, per intendere come il poeta e il suo pubblico concepiscono il rapporto uomo-donna: come conferma, chiaramente, un’altra tragedia euripidea che ha per protagoniste due donne, vale a dire l’Andromaca. (Eva Cantarella, L’ambiguo malanno, MI, p.107).
L’Andromaca, come le Ecuba e le Troiane, trae ispirazione dal triste destino toccato alle nobildonne di ilio dopo la distruzione della loro città ad opera dei greci. Donne infelici, costrette a lasciare i loro fastosi palazzi, inceneriti dalla furia nemica, private del loro status aristocratico e condotte schiave dai guerrieri vincitori. In genere, Euripide vuol far emergere la compassione per i vinti e, in senso più ampio, mira a rappresentare l’ineluttabile infelicità umana.
Le donne Troiane uccise e violentate dagli eroi greci conquistatori
La protagonista della tragedia, Andromaca, è stata la cara sposa dell’eroe troiano, Ettore, ucciso in singolar tenzone da Achille. L’eroe acheo ha infierito con violenza sul cadavere del nemico, per vendicare la morte dell’amico Patroclo,precedentemente ucciso dal figlio di Priamo, l’eroe troiano Ettore.
Ora la vedova Andromaca è schiava di Neottolemo, che su suggerimento di Ulisse, aveva gettato il figlio di lei e di Ettore, Astianatte, dalle mura di Troia, per stroncare ogni generazione futura che potesse vendicare la caduta della città. Andromaca è soggetta alle voglie del vincitore ed ha un figlio da lui, Molosso. Come concubina, Neottòlemo la conduce nel suo palazzo, dove lo attende Ermione, sua sposa, figlia di Menelao e di Elena.
Lo status sociale della concubina (pallaké) era ufficialmente riconosciuto in Grecia. Questa non aveva lo stesso status sociale della moglie (gyné), legata all’uomo dal vincolo matrimoniale con diritti e doveri definiti. Era spesso una schiava straniera o una donna di ceto sociale inferiore. Viveva nella casa del compagno, col quale aveva rapporti sessuali stabili, aveva l’obbligo della fedeltà, poteva avere figli, cui erano riconosciuti alcuni diritti successori, anche se subordinati a quelli dei figli legittimi.
La società ateniese era oltremodo maschilista, anche se Atene è stata riconosciutanei secoli come la culla della democrazia. Infatti, oltre alla moglie e alla concubina l’uomo ateniese poteva trarre ulteriore piacere, frequentando una etéra, una compagna aggraziata, colta, brillante, capace di cantare, danzare, conversare, che lo accompagnava negli incontri fra gli amici, ai quali la moglie e la concubina non potevano partecipare.L’etéra dell’antica Grecia non dovrebbe essere lontana dalla moderna escort, che si accompagnano oggi agli uomini di successo come belle statuine o come sostegno psicologico tale da alleviare la fatica dei loro gravosi impegni sociali e politici. L’oratore Demostene concludeva che l’uomo ateniese poteva disporre di tre donne, non per soddisfare gli appetiti maschili ma perché si desiderava aumentare la popolazione. Per tale fine demografico, la legge consentiva di sposare una donna ateniese e avere figli da altre. Una schiava, fedele ad Andromaca l’avverte che in quella dimora lei corre seri pericoli: Signora, non rifuggo dal chiamarti così, perché era il tuo giusto nome laggiù, quando si era a Troia, e mi eri cara come lo sposo tuo, quando viveva. Vengo ancora a portarti le notizie. Ho gran spavento che i padroni mi sentano. Ma ho tanta compassione! Menelao pensa cose terribili per te e per tuo figlio. Devi stare attenta. … Tuo figlio, sventurata,tuo figlio che hai nascosto, stanno per ucciderlo! Ermione è invidiosa di Andromaca perché è sterile.Anzi, è convinta che la moglie di Ettore abbia fatto uso di male arti, che l’hanno resa infeconda. Pertanto, decide di approfittare dell’assenza del marito, che si trova a Delfi, per liberarsi della sua rivale e del bimbo, figlio di Neottolemo, con l’aiuto del padre Menelao.
Andromaca è disperata e spera che il vecchio Peleo possa soccorrerla. Ha nascosto il piccolo e lei si è rifugiata nel tempietto di Teti, la dea, sposa di Peleo e madre di Achille. Quindi, sollecita la schiava ad andare di nascosto a cercare il vecchio saggio, nonno di Neottolemo:
Corri! E gli eterni pianti ed i lamenti e le mie grida arriverannoal cielo! … Oh, non dire mai felice nessuno prima che abbia conosciuto l’ultimogiorno e scenda tra i morti!
L’ira vendicatrice del talamo occupato da una schiava straniera e soprattutto la sua condizione di donna sterile non lascia spazio alla pietà:
E tu, la schiava, bottino di guerra, aspiri a diventare la padrona, mi vuoi scacciare. È per i tuoi veleni che il mio sposo mi odia e questo ventre non concepisce, come fosse morto. Lo debbo a te … qui non c’è più il tuo Ettore né l’oro di Priamo: questa è una città dei greci. Sventurata, al tal punto sprovveduta da trovare il coraggio di dormire col figlio di chi ha ucciso tuo marito. … Non è bello che un uomo abbia due donne. Ama una donna sola e ne è felice chi non vuole coprirsi di vergogna. La femmina è gelosa per natura. È assai cattiva con le sue rivali.
Per di più, il padre Menelao si pone al fianco della figlia, deciso ad aiutarla nell’impresa di liberarsi di Andromaca e del figlio di Neottolemo. Se per il rapimento di Elena egli aveva combattuto dieci anni, per lavare l’offesa ricevuta dal troiano Paride, a maggior ragione è disposto a compiere il crimine più efferato per amore della figlia. Convince, quindi, la disperata madre a lasciare il suo rifugio con la promessa vana di non usare la sua violenza anche sul suo bambino.
A questo punto, come un deus ex machina, sulla scena compare il vecchio Peleo claudicante, accompagnato dal servo e dalla schiava di Andromaca che lo ha messo al corrente del piano omicida di Ermione e del padre Menelao. Il vecchio è il simbolo della giustizia e della pietà. Si stupisce nel vedere Andromaca e il figlio con le mani legate e intima a Menelaoche ai due prigionieri vengano slegate le mani con tono minaccioso e lo scettro alzato:
Sei venuto a governare la mia casa? … ma sei un uomo tu? Un Troiano ti rubò la donna – già, lasciavi la tua casa senza servi e serrature, come se la tua fosse una donna onesta, saggia, mica la peggiore di tutte. Una di Sparta del resto, anche se lo volesse, onesta non l potrebbe diventare certo: vanno coi giovanotti fuori casa, frequentano gli stadi e le palestre, le cosce nude e i mantelli al vento, usi che non sopporto. È da stupirsi se non crescono oneste? A lei domandalo, ad Elena che abbandona il tetto coniugale e se ne va in compagnia di un giovanotto all’estero. Ma tu per lei raduni tutti i greci e con una armata muovi contro Troia, per cercare quella che ti ha tradito, anziché sputarla via, lasciarla laggiù dov’era, invece di pagare perché non ti tornasse in casa mai. … Tu hai costretto tuo fratello Agamennone a immolare in sacrificio sua figlia Ifigenia. Che paura aveva di non averla più la brava moglie! … Tu sei, tu qui, il vero assassino di Achille. Sei tornato solo tu senza un graffio e dopo aver conquistato Troia, non ammazzi la donna fedifraga e ti lasci baciare dalla tua cagna che ti scodinzola davanti! … Ora mi vieni in casa, approfitti dell’assenza di mio figlio e vuoi uccidere questa donna sventurata e suo figlio: dove hai l’onore?
È evidente che questa apostrofe tanto violenta contro Sparta e i suoi corrotti costumi risenta del clima di accesa ostilità tra Atene e Sparta nei primi anni della guerra del Peloponneso (431 a.C. – 401 a.C.). La tragedia fu scritta da Euripide probabilmente tra il 427 e il 425 a.C., e riflette gli eventi e le tensioni del tempo.
A questo punto, avviene un repentino capovolgimento degli avvenimenti: Menelao, offeso da Peleo lascia l’sola di Ftia e abbandona la figlia al suo destino. Ermione, rimasta senza la protezione del padre, disperata vuole suicidarsi perché teme la punizione del marito al suo arrivo. Ma, ecco un nuovo colpo di scena. Viene annunciato l’arrivo nell’isola del cugino Oreste, figlio di Agamennone, esule dalla patria per avere ucciso la madre Clitennestra e il di lei amante Egisto, colpevoli di avere ucciso suo padre, Agamennone, appena tornato dalla guerra di Troia. Ad Oreste Menelao aveva promesso la figlia Ermione, ma prima che cadesse la città di ilio la promise a Neottolemo per assicurarsi l’aiuto suo e di suo padre Achille. Oreste, tornato Neottolemo dalla guerra, lo aveva scongiurato invano di concedergli Ermione, della quale era profondamente innamorato da tanti anni. Così, Oreste porta via con sé la cuginae trama contro la vita di Neottolemo, che viene ucciso a Delfi. Peleo piange la morte del nipote, ma ex machina gli appare Teti, la sua divina sposa, che gli predice lieti eventi: Andromaca diverrà sposa di Eleno, uno dei figli di Priamo e il figlioletto Molosso, natole da Neottolemo, sarà il capostipitedella stirpe reale dei Molossi, popolo forte e indipendente, che si stanzierà tra l’Albania e la Grecia settentrionale. Il vecchio Peleo sarà reso immortale e potrà rivedere e vivere accanto al suo Achille, anch’eglidivenuto immortale.
La tragedia, oltre ad essere un’esplorazione profonda del dolore e della sofferenza causati dalla perdita dei propri cari, in un tempo in cui la donna era sotto la protezione del padre prima, del marito dopo, e non godeva dei diritti civili, offre anche uno spaccato della conseguenza della guerra e della sofferenza che essa infligge soprattutto sulle donne, costrette ad essere schiavizzate dal popolo vincitore, come Euripide approfondirà ancor di più in Ecuba e nelle Troiane.
Euripide esprime un universo già diverso da quello descritto dagli altri due grandi tragediografi, Eschilo e Sofocle. Nel teatro di Eschilo, gli dei sono una presenza costante, il motore delle vicende, pronti a punire la tracotanza umana per ristabilire l’ordine cosmico e le leggi divine. Sofocle pone la divinità sullo sfondo e presenta gli uomini come dovrebbero essere, pronti a lottare contro il loro destino. I suoi personaggi presentano un’eccezionale potenza drammatica, come Antigone che si oppone coraggiosamente all’editto di Creonte, re di Tebe che vieta la sepoltura di suo fratello Polinice, facendo prevalere la legge naturale della pietas verso i morti sul diritto positivo imposto dallo stato.
Così pure, Edipo che trova a scontrarsi contro Giocasta e l’indovino Tiresia. Edipo è l’uomo razionale, sicuro di sé e non può accettare la verità terribile scopertagli dal vecchio indovino Tiresia, che coniuga il reale con il non visibile, mettendo in crisi la razionalità del mondo fenomenico, chiarendo, egli cieco, quelle atroci verità che ai più sfuggono- Euripide è il tragediografo più innovativo della triade, educato alla nuova paideia della sofistica, che oppone il logos alla religione tradizionale. L’uomo, come insegnava il filosofo Protagoranel V secolo a.C., è misura di tutte le cose,protagonista assoluto delle sue azioni. Nulla ha valore assoluto ma tutto è relativo, condizionato dalle relazioni sociali e da punto di vista di ciascun individuo. Era quella di Protagora l’Atene governata da una democrazia diretta, in cui ogni cittadino poteva partecipare attivamente alla vita politica, contesto storico che influenzò profondamente la ricerca sulla natura dell’uomo. Euripide è un profondo indagatore deli sentimenti umani, mise in discussione la presenza della divinità nella storia umana e, con un approccio di acuto psicologo, esplora l’animo femminile, assoggettato ancore a pesanti forme di patriarcato e di maschilismoAlcesti, Medea, Ermione, Andromaca subiscono la loro condizione di essere nate donne. Sanno che avere un compagno significa ricevere protezione per se stesse e per i figli da loro generati. Alcesti s’immola per amore verso ilo sposo, soprattutto perché i loro figli non rimangano orfani senza la protezione paterna. Medea punisce Giasone, non solo perché le impedisce di acquisire lo status sociale di sposa, ma anche per non lasciare i propri figli alla mercè di una matrigna. Ermione odia Andromaca, nontanto perché suo marito la costringe a tenere nel suo palazzo una concubina, ma perché lei è sterile e teme che Neottolemo riconosca la sua discendenza solo in Molosso il figlio che Andromaca gli ha dato. Insomma, Euripide si cala nella sensibilità comune a tutti gli uomini e, in particolare, esplora i dubbi, le emozioni, i conflitti interiori delle donne, che si rivelano decise, forti, determinate, capaci di vivere e di saper morire.
Euripide era troppo nuovo e moderno per essere apprezzato dai suoi contemporanei, perché si scontrava con il sentire comune e tradizionale.
Da un papiro trovato ad Ossirinco nei primi anni del XX secolo ci è pervenuto un frammento della Vita di Euripide, redatta dal filosofo peripatetico Satiro di Callati (III sec. a.C.). In questo frammento si legge che Euripide: «Venne in odio a tutti: agli uomini per la poca socievolezza, alle donne per le accuse contenute nei suoi drammi. E corse grave pericolo, sia a causa degli uni che delle altre (...) le donne poi fecero un complotto contro di lui in occasione delle Tesmoforie, e in massa si recarono nel luogo dove stava».Secondo il biografo, il tragediografo odiava le donne, perché sua moglie lo aveva tradito con il suo giovane schiavo. Il tema della misoginia di Euripide era stato portato sulla scena dal commediografo Aristofane con la commedia Tesmoforiazuse : Le tesmoforie era una festa di tre giorni in onore di Demetra, a cui potevano partecipare solo le donne e ne erano escluse le vergini. Euripide ha saputo che le donne avevano deciso di approfittare di questo loro rituale per vendicarsi di lui, perché nelle tragedie aveva parlato male di loro. Decide quindi di infiltrare nell’assemblea delle Tesmoforie un suo infiltrato travestito da donna. Fallisce il tentativo di convincere il femmineo poeta Agatonead accettare il travestimento e così decide di depilare e travestire l’anziano parente che lo accompagnava, forse lo stesso suocero, a confondersi tra le donne e a sostenere che era falsa l’accusa di odiatore delle donne mossa contro il tragediografo. Ma, il povero vecchio viene scoperto ed Euripide deve accorrere a salvarlo. Euripide, alla fine, viene a patti con le donne, promette che non le calunnierà più se lasceranno libero il suo parente.
Si può concludere, concedendo la piena assoluzione ad Euripide, non odiatore delle donne, ma piuttosto loro difensore, da intendere come il tragediografo che denunciò le condizioni di prevaricazione dell’uomo sulle donne pur in una società che per prima aveva coniato il nome di democrazia.
Inserito il 24 Gennaio 2025 nella categoria Relazioni svolte
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