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Anita Garibaldi e il suo mito

Lectio magistralis della prof.ssa Annita Garibaldi Jallet

Relatore: Prof.ssa Annita Garibaldi - Università di Bordeaux

A. Garibaldi

Immagine riferita a: Anita Garibaldi e il suo mito

  Ana Maria de Jesus Ribeiro appartiene ad una famiglia portoghese, delle tante emigrate in America Latina. Molte si sono concentrate nello Stato di San Paolo, dove arriva la famiglia del padre, Bento Ribeiro. Altre famiglie arrivano dalle Azzorre direttamente nel Sud del Brasile. Questa popolazioni azzoriane sono considerate particolarmente adatte  alla vita in territori poco popolati ed ancora in buona parte inesplorati che vanno dal Santa Caterina alla incerta frontiera con la Banda Orientale, futuro Uruguay,  perché già abituate alla ingrata vita nelle isole portoghesi. L’Impero offre delle possibilità a chi decide di trasportarsi a sud, e probabilmente per questo la famiglia di Bento arriva, lungo la strada dei mercati, fino a Lajes, mentre la famiglia di Maria Antonia De Jesus Antunes vi si reca per qualche commercio. Dall’unione di Maria e di Bento nasce, dopo altri figli, la piccola Ana Maria, nel 1821, ad una data non nota, ma che verrà individuata dal Comune di Laguna nel 30 agosto di quell’anno. Il luogo esattamente è Morrinhos, adesso parte di Laguna, dove il terreno paludoso ospita piccole case su palafitte. Si pesca molto, si caccia molto e vi sono disponibili le mandrie ed il grege già addomesticato dagli indios, i quali vengono respinti all’interno delle terre.  In giovane età Ana sposa Manuel Duarte, un bravo calzolaio. La storia dell’incontro con Garibaldi è nota. I giovani hanno diverse settimane per cercarsi ed incontrarsi. Quando la nave di Garibaldi riparte, Anita è a bordo. Il suo destino si compie. La parte più drammatica, per quanto riguarda il Sud America,  è certamente la guerra dei farrapos, che poco ha in verità di una rivoluzoine ma permette a Garibaldi di formarsi come soldato e comandante. Una volta terminata  con l’accordo tra gli insorti e l’Impero ( il trattato di Poncho Verde) lascia Garibaldi ed Anita esposti alla vendetta delle truppe dell’Impero. Garibaldi, Anita fugono verso sud, si fermano nei pressi di Mostardas dove Anita da la vita al primo figlio, Menotti, e si ritrova a dovere fuggire per nascondersi in foresta quando, Garibaldi assente, si avvicinano al suo rifugio gli Imperiali. E’ questa scena che è immortalata nel monumento al Gianicolo.
 

Immagine riferita a: Anita Garibaldi e il suo mito

Gli anni dell’Uruguay sono più sereni, Anita abita una vera casa, nascono Rosa, Teresita e Ricciotti, ma Garibaldi è quasi sempre assente, e Anita rimpiange la vita avventurosa avuta con lui in Brasile. Viene poi l’ora del ritorno in Italia, a fine dicembre 1847, che per Anita vuole dire tagliare con tutte le sue radici. Con la famiglia non ha mai più avuto contatti, ma intanto, arrivato a Montevideo il certificato di morte di Duarte, lei è diventata moglie di Garibaldi, e potrebbe essere fiduciosa. Se non che il cambiamento di vita, con l’arrivo a Nizza in casa della madre di Garibaldi, è forte,  ed anche la famiglia, borghese ormai,  di Garibaldi, non recepisce bene la giovane donna ed i suoi figli. Anita soffre di malaria, accutizzata dal cambiamento di clima, e anche Garibaldi che, giunto anch’esso in Italia, è immediatamente preso dai suoi impegni, nei quali non è più tempo di coinvolgere Anita. In quei frangenti Anita è diventata Annita, derivazione italiana, questa volta, dell’Anna italiana, mentre Anita lo era dell’Ana portoghese, ed Annita si firma, sola breve scritta che le si conosca, essendo lei analfabeta.  Lei  soffre tanto della separazione dal marito che quando lui, dopo i giorni di Macerata che lo hanno visto eletto deputato alla Costituente, si ferma per qualche settimana a Rieti ad organizzare le sue truppe, Anita lo raggiunge: sono i loro ultimi giorni felici .Poi Anita torna a Nizza, ma saputo delle difficoltà insorte per la Repubblica Romana, parte per Roma e si unisce a Garibaldi negli ultimi combattimenti, partecipa alla cura dei feriti, e lascia Roma al suo fianco per l’ultimo viaggio, che dovrebbe condurli a Venezia. Il lungo corteo compostosi alla uscita di Roma si assottiglia lungo il cammino, Anita non vuole lasciare Garibaldi, ne a Cetona, ne a San Marino. Muore nella fattoria Guiccioli, di malaria e di stenti, assieme al bimbo che porta in grembo,  nei pressi di Ravenna, ed è sepolta dopo pochi giorni vicino alla Chiesa delle Mandriole poi all’interno della Chiesa dove rimarrà fino al 1859, per poi essere trasportata a Nizza.
Negli anni che seguono la sua morte, non si sviluppa un mito, anzi, lei viene ricordata quasi soltanto in Romagna, sia perché Garibaldi ha altre compagne, sia perché vieta che si scrivano sue biografie durante la sua vita, sia perché forse il dolore per la perdita della compagna perfetta non lo lascierà mai. Con la morte di Garibaldi nascono le prime grandi biografie, e la figura di Anita riappare, sempre sulla base della testimonianza del primo vero biografo di Garibaldi, Giovanni Battista Cunoe ( 1848 ). Ma è soprattutto l’accesso alla indipendenza del Brasile che vede il giovane Stato buttarsi alla ricerca della sua identità, e la figura di Anita appare nel Pantheon Letterario alla fine del XIX° secolo, quale parte dell’identità di un paese fatto di tante identità, in particolare di quella italiana, quella della immigrazione che sta arrivando in massa nel sud con Garibaldi tra le sue icone. Cresce il numero delle opere dedicate ad Anita, ma in Italia la reticenza è soprattutto della famiglia che si preocupa di non vedere svelato il fatto che lei fosse stata sposata prima dell’incontro con Garibaldi, di non sminuire lui con lei. Per evitare altre ricerche, Ricciotti Garibaldi, ultimo figlio vivente di Anita dopo il 1903, si oppone al fatto che sia eretto il monumento abbozzato da Mario Rutelli sul Gianicolo nel 1907, primo centenario della nascita di Garibaldi. Una figlia di Ricciotti, Annita Italia ( 1878-1962) compie un viaggio  in Brasile e sostiene di non avere trovato conferma delle nozze presunte di sua nonna,  ma il certificato è poi trovato. Oggi importa poco
 Fu in verità il 1932, conquantenario della morte di Garibaldi, a risvegliare l’interesse verso la sua consorte. Il Regime diede grande visibilità alla sua figura inaugurando lo splendido monumento di Rutelli al Gianicolo, nel quale furono portate le ceneri, prelevate a Nizza di Ana Maria de Jesus ( destinate a Caprera ma poi dirottate su Roma in seguito alla protesta di Clelia Garibaldi, ultima figlia del Generale e di Francesca Armosino, sepolta vicino a lui a Caprera). Garibaldi era pericoloso per il Regime, troppo simbolo, specialmente tra gli emigrati, di democrazia e di libertà. D’altra parte il dittatore brasiliano, il riograndese Getulio Vargas, reclamava le ceneri della lagunense, e bisognava trovare qualche ragione di rifiutarne il rimpatrio con un omaggio italiano, che si completò con l’opera del prof. Curatolo, tutta di Regime, che arrivò a proporre per Anita il riconoscimento della santità. Mentre nel 1933,il prof. Sacerdote stese una biografia più libera, e diede della vita di Garibaldi e di Anita una narrazione razionale.
Così il 1932 diventò l’anno della strumentalizzazione del mito che si era creato attorno ad Anita, e non fu l’ultima come non lo fu per il Generale stesso. La famiglia di Ricciotti si era divisa davanti a questi fatti, ma la presenza vicino al Duce di Ezio Garibaldi, uno dei figli di Ricciotti, dotato di importanti posizioni politiche, bastò a legittimare anche da questo punto di vista le decisioni del Duce.
Così, con qualche eccesso, si è arrivati alla valutazione positiva della presenza della coraggiosa donna accanto all’eroe due Due Mondi, valutazione voluta per esaltare  il ruolo delle donne da parte del Regime ma indipendentemente da questo meritata. Forse oggi un’altra valutazione potrebbe essere data, considerando in Anita l’archetipo della donna in emigrazione, sofferente per i disagi della vita in movimento, per essere spesso a seguito del marito senza potere avere una posizione propria. Nei tempi eroici dell’emigrazione europea ed oggi dell’emigrazione del terzo mondo, nei tempi terribili delle guerre, delle Resistenza al nemico,  le donne hanno vissuto sofferenze immani, ed Anita in qualche modo le riassume tutte, fino alla morte che la colpì a soli 28 anni, con in cuore il pensiero disperato dei figli. La condanna ad un altro esilio di Giuseppe Garibaldi li avrebbe infatti costretti a crescere senza ambedue i genitori.

                                                                                                                     Immagine riferita a: Anita Garibaldi e il suo mito    Annita Garibaldi Jallet   
 

Autore Prof-Greco

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Inserito il 23 Ottobre 2010 nella categoria Relazioni svolte