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Chiese medievali dell'agro ericino - Un patrimonio da tutelare

Un importante contributo del dott. Giuseppe Abbita sul retaggio culturale ericino da salvagurdare

Relatore: Dott. Giuseppe Abbita

INTRODUZIONE DELL’AUTOREQueste brevi note su alcune chiese ericine nascono dalla raccolta di singole schede da me elaborate in queste ultime settimane. Esse non hanno alcun intento scientifico, anche perché non ne avrei nè il titolo nè la preparazione necessaria. Sono dettate invece dell’espressione del desiderio di un appassionato di arte e di tutto ciò che è bello, di condividere alcune considerazioni e immagini, quasi tutte inedite, che riguardano alcune chiese ericine. Ed è anche atto di gratitudine nei riguardi di una città che, pur non avendomi dato i natali, ho sempre amato con spirito filiale: città alla quale mi legano indimenticabili ricordi della fanciullezza e della gioventù e amicizie tra le più durature e sincere.Inizierò queste mie note interessandomi di due chiese che, pur trovandosi all’interno della cerchia muraria di Erice, sono tra le meno conosciute, soprattutto per le obiettive difficoltà o impossibilità di visitarle: mi riferisco in particolare alle chiese di S.Antonio Abate e di Santa Caterina d’Alessandria.

CHIESA DI S. ANTONIO ABATE

 La Chiesa di Sant’Antonio Abate è tra gli edifici religiosi più antichi in assoluto nella città di Erice. Essa è ubicata in una zona periferica di Erice, a ridosso del cimitero ebraico, lungo la strada che da porta Spada raggiunge il Quartiere spagnolo. Si ritiene che la chiesa originaria sia stata edificata nel XIII secolo. Essa viene infatti citata in due atti (1298) del notaio Giovanni Maiorana. Durante l’epidemia di peste del 1625 fu adibita a lazzaretto. Nel 1541, all’unica, originale navata, ne fu aggiunta una seconda, delimitata dalla primada colonne tuscaniche.Rappresentava una delle quattro parrocchie di Erice, ma,venuto meno l’afflusso di parrocchiani, per l’abbandono del quartiere circostante, venne chiusa al culto nei primi anni del XX secolo. Sciaguratamente, negli anni 50, fu adibita a sede di colonia estiva e venne sopraelevato un piano che snaturò l’aspetto esterno dell’edificio e mutò totalmente quello interno, dalla rara pianta a due navate. E’stata di recente oggetto di un attento restauro che le ha restituito, per quanto possibile, le linee originarie. Assieme alla chiesa di S. Caterina di Alessandria, rappresenta (o meglio rappresenterebbe se fossero sempre fruibili) quanto più di emblematico e fascinoso può offrire Erice ai suoi visitatori.Nel novembre 1955, un affresco (ancora altri frammenti mi ricordo di avere visto in loco  cinquanta anni fa) raffigurante un santo, che originariamente adornava uno dei piedritti dell’arco ogivale che separa le campate dell’aula, fu staccato per essere ricomposto  presso il Museo Regionale Pepoli di Trapani, dove tuttora si trova esposto. Sicuramente legato ad un ambito artistico schiettamente bizantino, l’opera dovrebbe collocarsi tra la fine del XII secolo e gli inizi del successivo, per quanto la particolare foggia del copricapo abbia suggerito l’ipotesi (più probabile) di una sua realizzazione intorno alla fine del XIV secolo. Significativamente lacunosa e con alcune parti trattate a rigatino, l’immagine mostra un Santo Benedicente con la mano destra, mentre con la sinistra regge l’impugnatura di una spada o, più probabilmente, un rotolo. Benché il volto e, parzialmente, le mani siano rifatti, egli mantiene la compostezza tipica dell’iconografia bizantina. La vistosa lacuna evidente al centro nella parte bassa può spiegarsi probabilmente con la collocazione, nel XVI secolo, di un’acquasantiera. Questo affresco presenta una intensa vivacità cromatica ed una fluidità della linea di contorno che lasciano supporre un’origine 'colta', opera di un ignoto pittore di formazione bizantina, appartenente a quella schiera di artisti la cui circolazione presso i monasteri italo-greci di Sicilia e Calabria è stata ampiamente comprovata.

CHIESA DI S. CATERINA D’ALESSANDRIA

 Giovanni Maiorana, miles, non doveva passarsela male, economicamente parlando, e doveva possedere anche una buona istruzione giuridica.Il 2 Agosto 1339 scrisse' manu mea propria', di suo pugno, il suo testamento, una copia del quale è conservata oggi nell’Archivio Pepoli.Egli lasciò legati a tutte le chieseericine e alla chiesa dell’Annunziata di Trapani, lasciò legati per l’opera di redenzione degli schiavi cristiani caduti nelle mani dei saraceni, per la riparazione delle vie e delle fortificazioni cittadine, per i poveri della città, e non si dimenticò delle fanciulle povere alle quali destinò cinque doti matrimoniali.Infine emancipò due schiavi e lasciò i suoi libri all’edificanda chiesa di S. Caterina.E non mancano, nel testamento, le indicazioni per il lutto che avrebbero dovuto portare i suoi familiari.Ma è all’edificanda chiesa di S. Caterina che il milite lasciò la maggior parte dei suoi beni.La chiesa di S.Caterina, da lui iniziata mentre era ancora in vita, doveva essere completata in tre anni e ad essa doveva essere annesso un ospedale.Ad opera ultimata, il suo corpo saebbedovuto essere traslato e sepolto in detta chiesa con una solenne cerimonia: con messe cantate e con ceri in abbondanza.E infine legò alla chiesa di S. Caterina anche quattro tazze d’argento, e la sua spada, anch’ essa guarnita di argento, per farne un calice e una patena.La chiesa di S. Caterina di Alessandria esiste ancora.Essa presenta una navata unica con archi alle pareti, leggermente ogivali. La copertura è a botte spezzata ed è sostenuta da archi doubleaux.Sui grandi pilastri rettangolari aggettano semipilastri poligonali sui quali si attaccano e si incontrano i nascimenti degli archi longitudinali e di quelli trasversali.Pilastri e fondali delle grandi nicchie furono ornati da figure di Madonne e Santi, anche se ciò che ci rimane sembra di epoca più tarda rispetto alla data di fondazione della chiesa.Indescrivibile è l’emozione che provai entrando per la prima volta in questa chiesa!Mi sembrò di venire catapultato indietro nel tempo, sette secoli prima.La chiesa era intatta: aveva subito pochissime modifiche nel corso dei secoli e, nonostante l’incuria degli uomini, si era conservata, tutto sommato, in buone condizioni: maestosa nella sua semplicità.Alle pareti delle piccole navate erano ancora presenti degli affreschi (anche se ulteriormente deteriorati rispetto alla descrizione fattane da Vincenzo Scuderi alcuni decenni fa) e sembrava quasi che aleggiasse intorno lo spirito del milite Giovanni Maiorana.La chiesa fu utilizzata in passato come magazzino di vini ed oggi è di proprietà privata.E’auspicabile (non credo che ci sia bisogno di grosse somme di denaro) che il Comune di Erice, o la Curia vescovile, o ancora la Regione Siciliana, tramite i BBCC,) si adoperi affinchè questo scrigno ritorni alla fruizione dei cittadini e vengano urgentemente messi in opera i necessari interventi di restauro.

CHIESA DI SANTA MARIA MADDALENA

 Coi suoi diciassette metri di lunghezza per cinque e trenta di larghezza si può considerare la più grande delle cosiddette 'chiese extramoenia', accomunate, ahimè, dal medesimo misero destino. Di esse infatti rimane in piedi, non si sa per quanto ancora, soltanto la chiesetta d S. Ippolito.Sorgeva a mezza costa, su di un pianoro delle pendici sud-orientali del monte, in collegamento visivo con S.Ippolito, S.Barnaba, S.Maria Maggiore e S.Maria della Neve.Fa parte di un itinerario storico,naturalistico e devozionale. Vi si giunge infatti attraverso un sentiero che, partendo dai resti della porta di Castellammare, antica via d’accesso, dal lato sud orientale, alla città fortificata, si snoda attraverso quelli che una volta furono i 'runzi'. Lucio Anneo Seneca, nella sua Medea, evocava: 'quaecumquegeneratinviussaxisEryx… ' (Medea- v.707) - tutti quelli che genera, tra le sue rupi, l’Erice inaccessibile- riferendosi alle erbe velenose che crescono sul Monte Erice. Ma Erice non genera soltanto piante velenose. In primavera è possibile, lungo il sentiero, osservare una impressionante varietà di bellissime orchidee spontanee, tra cui la rara Ophrys lunulata, definita "vulnerabile" sulla Lista Rossa delle specie a rischio e da proteggere. Ma abbiamo detto anche itinerario devozionale, se è vero che il primo giorno di Quaresima, i venerdì di Quaresima e la notte precedente la Pasqua gli ericini si recavano in pellegrinaggio alla chiesa extramoenia di S. Maria Maddalena per testimoniare la loro fede, sotto lo sguardo attento e compiaciuto dei santi dell’abside (affreschi del sec. XIV).La chiesa è oggi in completa rovina. Tentai di raggiungerla alcuni anni fa ma fui impedito dalla folta vegetazione di rovi e di sommacco. L’ultima volta che la visitai fu negli anni 60 e, nonostante il degrado e la mancanza di copertura, era ancora perfettamente visibile la struttura originaria.La chiesa subì certamente un primo intervento manutentivo nella prima metà del XIV secolo ed un altro nel XVIII secolo.Nell’abside semicilindrica, sotto un largo strato di intonaco, sono venuti alla luce una piccola monofora a strombo e ampi resti di un' apostolato' affrescato in basso, lungo il perimetro absidale.Purtroppo ho solamente una foto in bianco e nero scattata molti anni fa che non rende il dovuto merito ai dipinti.Vi posso assicurare che, quando vidi, ragazzino, questa processione di santi con i nomi in caratteri gotici sopra le loro teste, mi si riempì il cuore di gioia ed emozione!Ecco come ce li descrive Vincenzo Scuderi: 'Le figure degli apostoli, quasi pietosamente superstiti alle rovine della chiesa cenobitica di Santa Maria Maddalena di Erice, hanno un contenuto di ieraticità, ricca ed aulica negli ornati panneggi, quasi presagi di gotico fiorito. Ho sempre notato in questi resti pittorici, in questi apostoli eretti, dai volti pieni, dalle barbe appuntite e dagli occhi acuti, quasi di contadini o pastori orientali, ma dalle mani raffinate e dai mantelli ampi, solenni, e quasi preziosi, qualcosa di ibrido e stimolante.' In effetti   è possibile notare, in questi dipinti, l’incontro di due stili, di due mondi, di due mentalità: da un lato il mondo 'bizantino', rispecchiante il mondo popolare orientale con la sua fede elementare, dall’altro i segni di un gotico già avanzato.Questi affreschi si trovavano ancora in loco durante la mia visita.Sul finire degli anni 70 gli affreschi furono staccati e riportati su tavole. Ricordo di averli visti esposti inizialmente nella chiesa di S. Martino e poi nella chiesa di S. Giovanni. Penso che sarebbe il caso di renderli fruibili. Perché non esporli, se già non lo si è pensato, presso il Museo di Erice? 

CHIESA DI SANT’IPPOLITO

La chiesetta medievale di S. Ippolito si trova sul fianco orientale del monte Erice, lungo la strada provinciale che da Valderice porta alla vetta, a circa un chilometro dalla vetta. Già proprietà privata della famiglia Barresi, alla fine degli anni 90 è stata acquistata dalla Provincia Regionale di Trapani. La chiesa ha subito, nel corso dei secoli, numerosi rifacimenti e restauri, probabilmente per le condizioni del terreno, non perfettamente pianeggiante, su cui è costruita. L’attuale ingresso alla chiesa è stato ricavato tagliando l’abside della chiesa originaria che era rivolto ad est. Pertanto l’orientamento attuale si deve immaginare ruotato di 180° rispetto a quello originario.Ad un livello più basso rispetto a quello della chiesa è presente un’ampia grotta, oggetto di interventi dell’uomo, il cui ingresso è segnalato da un arco a pieno centro in conci di tufo stuccati. Dovrebbe con tutta probabilità trattarsi di una grotta, almeno all’inizio, eremitica, rifugio di monaci basiliani trasferitisi in Sicilia in età altomedievale. Questa grotta, decorata con affreschi di cui sono rimaste alcune tracce, continuò ad avere importanza devozionale anche dopo la costruzione della prima chiesa, verosimilmente in periodo normanno.Del complesso fanno poi parte due strutture residenziali, una ad est ed una a sud della chiesa.Notevoli sono gli affreschi delle pareti laterali che si estendono per circa 60 mq. Di recente non mi è stato possibile rivederli e quindi non vi posso riferire sul loro stato di conservazione. Ma sembrerebbe che non tutta la superficie pittorica sia stata finora scoperta e quindisi spera che quest’ultima si sia meglio conservata. La lettura degli affreschi ha rivelato due figure di cavalieri non ben identificabili: (forse un S.Giorgio e un soldato poste nelle nicchie laterali all’altare). Nei fianchi superstiti dell’abside, il motivo iconografico è quello della processione di santi: a destra le figure maschili e a sinistra quelle femminili, mentre sono stati ancora individuati una Santa Lucia con gli occhi in una ciotola, due figure di santi vestiti con sciarpe e tunica con ai piedi la facciata di un edifico a due ordini e una figura di una santa o di una Madonna.Anche per S. Ippolito vale lo stesso discorso. E’stato acquisito al patrimonio pubblico, ma per farne che cosa? Aspettare che il tempo, o l’incuria, cancellino questo gioiello patrimonio della nostra comunità?

CHIESA DI S. BARNABA

 Alle spalle del centro abitato di Valderice, su una verde collinetta dove insiste una pineta, al di fuori dei percorsi storico naturalistici più battuti, si ergono i ruderi della chiesetta e dell’eremo di S. Barnaba, un’oasi di quiete e di pace quasi surreali.Anche questa chiesa, come quella di S. Ippolito, è da correlare alla nuova ventata di monachesimo, favorita e incoraggiata dai sovrani normanni.La chiesa fu fondata, secondo la tradizione, nel 1160, in epoca tardonormanna, ai tempi di Guglielmo il Buono.Anche in questo caso i monaci cistercensi sfruttarono una costruzione preesistente, riutilizzando una chiesetta arcaica, che riattivarono e modificarono, riadattando anche un attiguo complesso per la loro dimora.Storicamente fa parte di quel gruppo di consorelle, chiesette medievali extramoenia di Erice, con le quali mantiene un contatto visivo- S. Maria Maddalena, S. Maria Maggiore, Sant’Ippolito… e quelle che un tempo furono S. Maria della Neve e S. Matteo.Questa piccola chiesa presenta (o meglio presentava) una conformazione sui generis. La chiusura absidale al fondo dell’unica navata era rettilinea con altare addossato e rialzato di un gradino rispetto al pavimento. La copertura del tetto era realizzata mediante arcate multiple trasversali sostenute da pilastri ravvicinati e lastroni di tavolette di tufo, copertura e chiusura absidale che ricordano da vicino soluzioni simili adottate in Siria, nell’ambito dell’architettura protocristiana.Nel 1678 era ancora frequentata da sei eremiti consacrati e da un laico.Già nel 1919 il canonico Antonino Amico ne annotava il penoso degrado per la caduta del tetto e per la distruzione dell’altare. Oggi (le foto sono di questo pomeriggio) rimane ben poco: alcuni resti di mura perimetrali, i pilastri di sostegno delle arcate trasversali ed un accenno della volta che lascia immaginare l’originaria copertura a botte spezzata.Dell’abside, insolitamente rettilinea, si intuisce la serie più bassa di conci, ricoperti ancora da tracce di intonaco. Tutto quanto è sovrastato da una fitta vegetazione che ne rende difficoltosa la lettura. Sul lato sud della chiesa una porticina immette in un vano residenziale, tutto sommato meglio conservato della chiesa. Di questa costruzione attigua alla chiesa rimangono i resti di una maestosa volta ogivale.

ADDENDUM

 Anche se non collegata al territorio ericino, ho ritenuto di includere in queste note la chiesa di S. Simone di Marettimo perché accomunata alle chiese extramoenia dell’agro ericino da assonanze architettoniche e perché legata al monachesimo che si sviluppò in Sicilia dopo la cacciata degli arabi e l’avvento dei re normanni. 

CHIESETTA DI S. SIMONE A MARETTIMO

 La chiesetta di Marettimo, ipoteticamente dedicata a S. Simone, ci ricorda da vicino, da molto vicino, la chiesa di S. Ippolito, ad Erice.Anche essa fu edificata, almeno nella versione definitiva, in epoca normanna (XI-XII secolo), ed anch’essa è legata al monachesimo eremita basiliano di rito greco.La chiesetta sorge su un pianoro a circa 250 m. slm, nei pressi di una sorgente d’acqua, in una zona panoramica, altamente suggestiva, da dove si dominano le isole di Favignana e Levanzo e la costa, da Marsala fino al monte di Erice. I monaci scelsero probabilmente questa parte dell’isola perché offriva loro la possibilità di riutilizzare dei manufatti già esistenti. La zona infatti è da sempre appellata 'Case Romane' a causa di un insediamento romano, quasi sicuramente una guarnigione militare, di stanza in questo punto strategico per il controllo delle rotte che dal Sud davano accesso al Tirreno.I Romani avevano costruito a Marettimo, Marìtima, così nominata in una carta imperiale del III secolo d.C., un presidio militare, un castrum, le cui rovine fanno parte oggi del complesso denominato Case Romane.  La costruzione di epoca romana presenta dei tipici tratti che ricordano l'opusreticulatum', anche se irregolare, ed ha subito nel corso dei secoli diversi rimaneggiamenti.I monaci, per esempio, trasformarono il castrum romano in cenobio e riadattarono i  grandi locali esistenti ricavandovi delle celle.Accanto ai ruderi del complesso romano i monaci ebbero inoltre a disposizione una chiesa di epoca protobizantina (V-VI sec. d.C. ) ed un fonte battesimale ad immersione di epoca paleocristiana, unico battistero in Sicilia, di questo periodo, assieme a quello di Selinunte.Modificarono quindi la chiesa nella sua originaria struttura e la trasformarono in quella che noi vediamo oggi.Una rilettura, abbastanza completa e fedele, di tutta l’area, è stata possibile grazie ad un gruppo di archeologi e studiosi d’arte, davvero in gambache, alcuni anni fa, hanno effettuato uno spietramento e degli scavi nell’area circostante la chiesa.Abbiamo detto che la chiesa è da riferire al primo periodo normanno e da connettere alle esperienze del monachesimo basiliano.Il tipo di impianto della chiesa di S. Simone, totalmente inedito in Sicilia, è largamente documentato nel mondo greco per tutto il periodo tardo bizantino, ed è largamente diffuso nelle isole greche, in un contesto extraurbano.L’impressione del visitatore che giunge a S.Simone è infatti quella di trovarsi su una isola greca.L’edificio di Marettimo rappresenta quindi un raro esempio siciliano di un piccolo cenobio del quale sia ancora leggibile l’impianto originario, espressione genuina della 'strana fioritura del monachesimo siculo'.La chiesa, di forma rettangolare, a croce contratta, è perfettamente orientata verso est, è lunga circa 10 metri e presenta un ingresso laterale, essendo stato, l’ingresso ad ovest, trasformato in una finestra. La chiesetta, con volta a botte e quattro pilastri centrali, ha un’unica navata divisa in tre campate di cui quella centrale è la più alta e termina con una volta emisferica.L’edificio rappresenta un unicum, in quanto inserisce, al centro della piccola nave, col sostegno di due archi parietali e di due trasversali, una cupola a sesto rialzato, raccordata da nicchie 'a scuffia'.La soluzione a nicchie d’angolo, per il raccordo della cupola, è una soluzione architettonica propria dell’area islamica, ripresa dalla cultura architettonica della Sicilia normanna e adottata, per esempio, nella cappella Palatina di Palermo.In seguito ai lavori di spietramento dell’area sono emersi cinque massi posti in verticale e simmetricamente rispetto a un masso centrale di maggiore altezza. I massi, allineati tra la chiesetta basiliana e i resti romani, di cui non è ancora chiaro il significato, hanno dato vita ad affascinanti ipotesi sulle quali non mi dilungherò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immagine riferita a: Chiese medievali dell'agro ericino - Un patrimonio da tutelare

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 Auspico che questa mia piccola fatica possa essere da stimolo alla promozione, alla salvaguardia e alla fruizione di questi veri gioielli, patrimonio della nostra comunità.Giuseppe AbbitaImmagine riferita a: Chiese medievali dell'agro ericino - Un patrimonio da tutelare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Inserito il 21 Aprile 2021 nella categoria Relazioni svolte