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Europa: le ripetute crisi hanno messo in pericolo gli obiettivi originari?

Un grazie particolare all'avv. Aurelio Pappalardo che, sensibile al richiamo della sua nativa città, da Bruxelles è venuto a Trapani per relazionare sugli ipotetici sviluppi dell'Unione europea, alla luce degli ultimi avvenimenti politici

Relatore: Prof. Avv. Aurelio Pappalardo

Si riporta qui di seguito la relazione integrale dell'avv. Aurelio Pappalardo 

Immagine riferita a: Europa: le ripetute crisi hanno messo in pericolo gli obiettivi originari?

Premessa

L’oggetto della nostra odierna chiacchierata si presterebbe ad almeno quattro distinte conferenze: quando, diversi mesi fa, l’avevo proposto a Leonardo, almeno tre dei quattro temi che evocherò brevemente, non avevano raggiunto la gravità e complessità che hanno oggi.

Quattro crisi stanno infatti scuotendo seriamente – e forse mettendo in pericolo – le strutture dell’Unione Europea (UE):

a)      La prima, in ordine cronologico, consiste nel fatto che – nonostante i segnali, ripetutamente e ottimisticamente inviati da più parti – la ripresa, dopo il disastro economico-finanziario iniziato nel 2008, non si è ancora verificata.  Questa crisi, che, per limitarci al nostro Paese, è costata dieci punti di PIL (prodotto interno lordo), pesa gravemente non solo, com’è naturale, sull’economia, ma anche sul morale dei cittadini; ed una parte dello scoraggiamento si ritorce, inevitabilmente, contro l’UE, contro l’Euro, contro le istituzioni europee, portando nuova acqua al mulino degli euroscettici.

b)      La seconda crisi, latente da tempo, ma accelerata da numerosi fattori di politica interna, concerne la posizione del Regno Unito: il referendum sulla sua permanenza nell’UE, originariamente previsto per l’anno venturo, si terrà fra poche settimane, il 23 giugno 2016 e, come cercherò di spiegare fra breve, porrà – quale che ne sia l’esito – nuove difficoltà alla costruzione europea.

c)      A differenza di queste due crisi, che hanno in comune un legame diretto con l’Europa, le altre due, diversissime fra loro, sono, se mi consentite l’espressione, prodotti (sgraditi) d’importazione: mi riferisco da un canto all’enorme ondata di profughi, o rifugiati, dal Medio Oriente e da vari altri Paesi dell’Est; dall’altro all’acuirsi del terrorismo: due fenomeni di incommensurabile gravità, quotidianamente, o quasi, sotto gli occhi di tutti.  La prima non è nuova: ne abbiamo parlato anche, in questa sede, in altra occasione.  Ma nuove ne sono l’intensità e, soprattutto, dal punto di vista del tema di stasera, le catastrofiche conseguenze che ha già provocato sulle strutture, anzi, bisogna dire, su uno dei principî fondamentali dell’UE, quello della libera circolazione delle persone.

d)      Anche il terrorismo, infine, è un fenomeno ben noto: nessuno ha dimenticato l’attentato alle torri gemelle di New York, l’11 settembre 2001; ma nessuno poteva immaginare, anche solo pochi mesi fa, quali sviluppi avrebbe avuto nel cuore dell’Europa; e, come brevemente cercherò di spiegare, nessuno poteva immaginare che il fenomeno avrebbe drammaticamente evidenziato le debolezze strutturali e politiche dell’UE.

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Delle quattro crisi – e specie delle ultime due – parlerò solo sotto il profilo delle conseguenze che rischiano di avere sull’esistenza stessa dell’UE. Un’analisi intrinseca di ciascuna di esse richiederebbe – tempo a parte – competenze specifiche che non possiedo: basti pensare, per fare solo due esempi, alla complessità della problematica islamica, sottesa alle attività dell’ISIS, e alle cause profonde delle lacerazioni verificatesi in Siria, le quali costituiscono forse la fonte principale del drammatico esodo, prima verso le coste della Sicilia e, più di recente, anche quelle della Grecia.

Meriterebbero certamente una trattazione ad opera di specialisti.Aggiungo che – nel mondo globalizzato in cui viviamo – ogni vicenda che non abbia carattere strettamente locale è sempre inestricabilmente legata a tante altre: prendo due esempi fra i molti sui quali ha riferito la stampa negli ultimi giorni. Si è appena tenuto in Olanda un referendum (meramente consultivo) sull’approvazione di un accordo per una più stretta collaborazione fra l’UE e l’Ucraina; accordo praticamente già in corso di applicazione, essendo stato ratificato da 27 Stati membri. Ma il leader euroscettico olandese, Wilders, è riuscito a organizzare il referendum, che, pur se con scarsa partecipazione (32% degli elettori) si è pronunciato contro l’accordo, che, secondo Wilders, non è nell’interesse degli olandesi.  Risultato: poiché l’accordo ha il sostegno dell’UE, la posizione di Wilders assume una valenza antieuropeistica, come ha ammesso il presidente della Commissione Europea, Junker, secondo cui esso può provocare una crisi continentale, chiamando a raccolta i partiti anti-UE. E non è un caso che ad uno dei comizi in Olanda abbia partecipato il capo del partito britannico anti-UE, Farage, il quale senza alcun dubbio ne trarrà ulteriori argomenti a favore dell’uscita del suo Paese dall’Unione. Come se non bastasse, è certo che un accordo a favore dell’Ucraina è di per sé contrario agli interessi della Russia, la quale cerca di mantenere l’Ucraina nella sua zona d’influenza.  E’ facile prevedere che le nuove critiche degli euroscettici saranno sfruttate da Putin per gettare benzina sul fuoco delle relazioni fra la Russia e l’Ucraina.

Immagine riferita a: Europa: le ripetute crisi hanno messo in pericolo gli obiettivi originari?

L’altro esempio concerne il 'caso Panama', cioè le rivelazioni sui conti e sulle società off-shore di un bel po’ di gente, fra cui illustri personaggi. Una testa è già caduta: quella del primo ministro islandese. Un’altra, addirittura quella di Cameron, primo ministro britannico, sembra in pericolo. Io non so nulla di più di quanto stanno scrivendo i giornali; ma una cosa è certa: anche questo incidente aizzerà ulteriormente gli euroscettici, fautori dell’uscita del R.U. dall’UE.

 

E veniamo ai nostri quattro argomenti.

 

1) La crisi economica nell’UE non è stata ancora superata

Qualche cifra essenziale, tratta dalle recentissime previsioni della Commissione Europea, che commenterò brevemente.

Nella zona Euro la crescita dovrebbe raggiungere quest’anno l’1,7% rispetto all’1,6% del 2015, e aumentare leggermente – fino all’1,9% - nel 2017. Un po’ migliore è la previsione per l’UE nel suo insieme: l’1,9% nel 2016; il 2% l’anno venturo.  Siamo ben lontani, come si vede, dai ritmi di crescita pre-crisi (cioè precedenti al 2008).

Dalle cifre relative ai singoli Paesi ho estratto quelle relative a tre parametri particolarmente significativi – PIL (prodotto interno lordo), inflazione e disoccupazione, limitandomi all’Italia, alla Germania e alla Francia e, per la zona non Euro, al Regno Unito.

Le tre cifre si riferiscono al 2015, al 2016 e al 2017:

PIL

Italia:              0,8   1,4   1,3

Germania:                   1,7   1,8   1,8

Francia:                       1,1   1,3   1,7

R.U.                             2,3   2,1   2,

(notevole, ma eccezionale, il caso dell’Irlanda: 6,9/4,5 e 3,5)

 

INFLAZIONE

Italia:              0,1   0,3   1,8

Germania:                   0,1   0,5   1,5

Francia:                       0,1   0,6   1,3

R.U.:                            0,0   0,8   1,6

 

TASSO DI DISOCCUPAZIONE

Italia:              11,9   11,4   11,3

Germania:                     4,8      4,9     5,2

Francia:                       10,5   10,5   10,3

R.U.:                              5,2     5,0     4,9

(notevoli, non lodevoli, i tassi 2016 di Spagna:20,4 e Grecia: 24)

Qualche commento, su queste cifre e su un punto che sta assumendo, proprio in questi giorni, particolare rilievo: il conflitto, ormai aperto, fra la BCE (Banca Centrale Europea), presieduta da Draghi e la Germania.

 

2) Brexit o non Brexit?

Con questa curiosa abbreviazione si indica, come sapete, l’uscita, o meno, del R.U (Gran Bretagna) dall’UE, che sarà decisa il 23 giugno prossimo, con un referendum di cui tanto si è parlato di recente e di cui molto di più si parlerà nelle prossime settimane.

Le richieste del R.U. – avanzate nel novembre 2015 all’UE con l’evidente obiettivo di rafforzare la posizione di coloro che desiderano restare nell’UE (fra cui lo stesso Cameron, apparentemente almeno) – possono riassumersi come segue:

a)      Sull’immigrazione: concessione dei vantaggi sociali agli immigrati (specie: sgravi fiscali, case popolari e assegni familiari) solo agli stranieri che risiedono nel Paese da almeno quattro anni;

b)      Libertà di circolazione in seno all’UE: nel caso di adesione di un nuovo Paese all’UE, i cittadini non devono aver diritto alla libera circolazione finché l’economia del Paese non sia allineata con quella del resto dell’UE;

c)      sulla sovranità nazionale: i Parlamenti dei Paesi membri dell’UE devono avere, coalizzandosi, il diritto di bloccare norme decise dall’UE; va inoltre rafforzato il principio di sussidiarietà: ciò significa, secondo una frase a effetto, divenuta popolare: 'decisioni nazionali in primo luogo; decisioni dell’UE quando appaia necessario';

d)      sull’Eurozona, si chiede un meccanismo che impedisca ai Paesi che hanno adottato l’Euro di cambiare le regole anche per gli altri, oppure l’adozione di un 'freno di emergenza', che permetta al R.U. di sospendere iniziative del genere; e si chiede anche che i Paesi non Euro possano decidere di non aderire a riforme del settore bancario;

e)      sulla competitività, infine, si chiede di rimuovere le norme che possono frenare lo sviluppo dell’economia e di rendere più facile la circolazione di merci, capitali e servizi.

Allo stato delle cose, l’accoglimento delle due prime richieste consoliderebbe formalmente la trasformazione – in corso da tempo – dell’UE da organizzazione integrata (e teoricamente sovranazionale), in un’organizzazione intergovernativa. In parole povere: la fine di quello che resta della speranza di realizzare l’integrazione politica (o quel che ne resta). La terza richiesta è difficile da capire (salvo che a fini propagandistici), dato che il R.U. si è sempre tenuto fuori non solo dall’Euro, ma anche da tutti i principali meccanismi finanziari. La quarta è risultata, nella sua vaghezza, quasi incomprensibile.

Le richieste sono state discusse in sede europea nel febbraio scorso ed accolte solo parzialmente. Ma è stato respinto il punto relativo alla sovranità nazionale.

Ora non resta che attendere l’esito del referendum. Dal punto di vista degli effetti sull’Unione, le previsioni, purtroppo, non sono rosee. Se l’esito sarà nel senso dell’uscita del R.U., è certo che una parte della pressione che l’Unione subisce da parte britannica sarà diminuita; ma è inevitabile che l’UE ne esca indebolita, ed esposta al rischio di 'contagi'. Se l’esito sarà nel senso della permanenza, sarebbe, forse ancora peggio, perché il R.U. resterebbe come membro scontento e quindi con ulteriori pressioni, dagli esiti  imprevedibili.

 

3) Il problema dei rifugiati

Del problema dei rifugiati, come ho accennato e com’è evidente, potremmo parlare per ore.

Non mi pare utile citare dati e cifre, di cui sono pieni i giornali da mesi.

L’aspetto più grave, ovviamente, è l’aumento caotico delle quantità di sciagurati che cercano disperatamente rifugio in Europa.

Ma, per restare nei limiti del nostro tema, mi soffermo brevemente a rilevare gli effetti negativi, anzi disastrosi, che il fenomeno – se così possiamo definire questa tragedia – ha avuto e certamente avrà ancora sull’UE.

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E ne vorrei evidenziare due, strettamente connessi. Uno è l’incapacità degli Stati membri dell’UE, emersa drammaticamente, di mettere a punto una strategia comune. Mai, forse, come in questo caso, è apparso chiaramente quanto pesi l’assenza di una politica estera comune. Anzitutto, in mancanza di tale politica, l’Europa che, storicamente e geograficamente, dovrebbe essere l’interlocutore più naturale e immediato del Medio Oriente, non ha nemmeno potuto tentare di intervenire per evitare (non parliamo di mettere fine) alla guerra civile siriana, che è probabilmente la causa principale della tragedia.  Ad aggravare il problema si sono aggiunte le misure unilaterali – penso ad esempio all’intervento francese in Libia – che oggi rendono praticamente impossibile il ristabilimento dell’ordine. In secondo luogo, ed è il punto che più specificamente concerne il nostro tema, una combinazione di obiettive difficoltà e di egoismi nazionali ha provocato il risorgere di barriere interne.  L’Europa, nel senso di Unione Europea – non di zona geografica – è stata colpita al cuore, dato che l’essenza stessa dell’Europa è la libertà di circolazione sia delle merci e dei capitali, che ne costituisce l’aspetto prevalentemente economico, sia delle persone, che ne costituisce l’aspetto umano, senza il quale non si può parlare di Unione Europea. Forse è la fine del trattato di Schengen. La mia è una constatazione obiettiva: non ho – e non credo che nessuno abbia – la soluzione del problema; né ho titolo per lanciare accuse: ma al quesito posto – se questa crisi abbia danneggiato la costruzione europea, non posso che rispondere affermativamente.  Non soltanto, ripeto, la crisi umanitaria ha evidenziato le lacune della costruzione europea; essa ha, inoltre e soprattutto, dimostrato apertamente che la parziale integrazione sul piano umano che si era faticosamente raggiunta – cioè il trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone in seno all’UE, poteva essere – ed è stata – rimessa in discussione.  Temo che, al di là dell’obiettiva difficoltà di ripristinare la situazione preesistente, due fattori contribuiscano ormai ad aumentare la difficoltà: la generale sfiducia dei cittadini che come sola difesa vedono la costruzione di nuove barriere, al fine di proteggersi; e il fatto che coloro, e sono numerosi, che già erano scettici, gettino benzina sul fuoco.

E così, mentre l’unico rimedio, anche se parziale e fragile, è evidentemente, più solidarietà europea, assistiamo ad un movimento crescente nel senso contrario. Mentre scrivo queste note, la stampa informa sulla costruzione di un muro o comunque di un controllo al Brennero (non è un caso che fra poche settimane si terranno in Austria le elezioni politiche…).

 4) Il terrorismo

Anche a questo riguardo, non credo di dover indugiare sui fatti: da alcuni mesi non è possibile aprire un giornale o guardare un telegiornale senza essere assaliti da ondate di informazioni drammatiche: dagli attentati a sedi di giornali, ristoranti, teatri, aeroporti o stazioni della metropolitana, con le conseguenti carneficine, alla caccia ai responsabili…

Per il terrorismo valgono, in parte almeno, considerazioni analoghe a quelle che ho esposto per il punto precedente. Ma con una differenza importante: mentre il rifugiato è, nella maggior parte dei casi, un disgraziato ben visibile che, quando non annega nelle acque del mediterraneo o dell’Egeo, tutt’al più lancia sassi alla polizia che lo tiene chiuso in un recinto di filo spinato, il terrorista è un assassino e, per di più un nemico subdolo, che dispone di un’arma a noi sconosciuta: la disponibilità al suicidio.

Che può fare l’Europa? Molto poco: ma una cosa importante sarebbe la solidarietà europea in materia di informazioni. I recenti eventi, in Francia e in Belgio soprattutto, hanno drammaticamente evidenziato che anche in materia di cd intelligence – eufemismo che significa, in sostanza, controspionaggio – bi di dati sugli individui sospetti di terrorismo, manca la solidarietà, che sarebbe indispensabile per la messa in comune di dati sui sospetti autori di atti terroristici. 

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Qualche conclusione

La mia conclusione è che le crisi sommariamente descritte hanno accentuato le debolezze di fondo di cui l’UE soffre a causa degli errori commessi nel corso dei successivi ampliamenti, tramite l’adesione di nuovi Paesi membri, a cominciare dal Regno Unito (1973), ma seriamente aggravatisi in seguito.

Il presidente Delors, a mio avviso il più illuminato e lungimirante che la Commissione europea abbia mai avuto, aveva a suo tempo messo in guardia gli europei contro il rischio di allargamenti intempestivi e aveva raccomandato: prima consolidare, poi allargare la Comunità (che oggi – impropriamente purtroppo – si denomina Unione).

A Delors era chiaro ciò che molti fra i principali responsabili, cioè fra i politici degli Stati membri, non avevano capito all’epoca degli allargamenti, e, temo, non hanno capito neanche oggi: quando nell’UE entrarono i tre Paesi baltici, la Repubblica ceca, la Slovacchia, la Polonia ed altri, si creò una pericolosa commistione: il nucleo originale della Comunità era composto da Paesi consci dei danni devastanti provocati dai loro nazionalismi nella prima metà del Novecento. Alla base dell’idea d’Europa c’era, negli anni ’50, la riconciliazione fra i due nemici storici: la Germania e la Francia.  L’Europa doveva servire a garantire la pace: e c’è riuscita.

Alla base dell’ideologia dei principali nuovi Paesi – specie Polonia, Ungheria e Paesi baltici – c’era una tutt’altra visione: volevano liberarsi del giogo sovietico e riconquistare una patria. Per tali Paesi, il nazionalismo era un valore fondamentale, perché costituiva la premessa del recupero dell’indipendenza.

È ormai chiaro (o dovrebbe esserlo) che è stato un errore mettere insieme alla garibaldina, cioè senza adeguata preparazione, i Paesi fondatori e quelli che non condividono, per le ragioni storiche cui ho accennato, il concetto originario di Europa.

Per non parlare delle profonde differenze economiche, che esigerebbe un più lungo discorso, per il quale non abbiamo il tempo stasera.

Secondo me, la risposta al quesito che ci siamo posti – se le ripetute crisi che hanno investito la costruzione europea ne abbiano messo in forse l’esistenza – è che è in corso, sotto i nostri occhi, ma in modo quasi impercettibile, un lento e inarrestabile processo di modificazione delle caratteristiche e delle finalità dell’UE. 

Il nucleo centrale dell’idea di Europa era la rinuncia ad una parte della sovranità: gli Stati si dichiaravano d’accordo per conferire a istituzioni comuni il potere di adottare decisioni valide per tutti. Questo meccanismo, entrato in crisi fin dal 1973, cioè da quando il R.U. è entrato a far parte della Comunità Europea, come si chiamava allora, si è progressivamente deteriorato per far posto a quella che si può definire, cinicamente, l’Europa à la carte: una collaborazione nella quale ciascuno Stato è libero di respingere l’imposizione di una  norma, o di un vincolo, che non ritenga compatibile con i propri obiettivi essenziali.  Si è cioè messo in moto, e non credo che sia possibile arrestarlo, un processo di progressivo indebolimento dell’integrazione politica, per far posto alla creazione di una forma di cooperazione intergovernativa: ciò comporta il rigetto dell’imposizione di meccanismi atti ad assoggettare tutti gli Stati a vincoli validi per tutti nella stessa misura. In un certo senso, parafrasando una celebre espressione, a suo tempo applicata alla Polonia, direi finis Europae. La fine dell’Europa come concepita da Spinelli ed altri durante il soggiorno obbligato nell’isola di Ventotene. Aurelio Pappalardo

 

Autore Prof-Greco

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Parliamo di: aurelio pappalardo

Inserito il 19 Aprile 2016 nella categoria Relazioni svolte