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Giovanni Pascoli: la poesia del convito

Nel centenario della morte del Poeta, il prof. Antonino Tobia ha illustrato la vita e la poetica del grande discepolo di Giosuč Carducci

Relatore: Prof: Antonino Tobia - Letterato

.Poetica e poesia nell'opera del Pascoli

Il ruolo e il significato dell'opera pascoliana nella lette¬ratura italiana vanno ricercati nel rapporto che il poeta di Castelvecchio ebbe col deca¬dentismo europeo e soprattutto nella modernità delle sue scelte poetiche che rappresentarono una svolta decisiva ri¬spetto alla tradizione e indicarono ai poeti delle future ge¬nerazioni nuove vie da percorrere. Eppure apparentemente la poesia del Pascoli sembra collocarsi da sé in un'area tutta paesana, appartata, di gusto piccolo borghese, lonta¬na da qualsiasi orientamento culturale ed artistico europeo. Può sembrare anzi che l'unico maestro del Pascoli sia stato il poeta delle Georgiche di cui riproduce qua e là suoni, colori e sentimenti, e che in fondo l'unica esperienza pa¬scoliana sia legata alla tradizione e al culto del mondo classico.
La verità è invece che il Pascoli, pur servendosi con tan¬ta perizia della lingua latina e pur richiamando nella sua poetica temi e miti del mondo classico, volle creare una poesia nuova, decisamente simbolica ed impres¬sionistica, di contro alla compostezza, all'armonia, all'equi¬librio della lirica tradizionale. Si esamini la sua concezio¬ne poetica alla luce di quanto scrisse nella prosa  Il Fan¬ciullino : « È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi... ma lagrime ancora e tripudi suoi... Noi cresciamo, ed egli resta piccolo; ...noi ingrossiamo la voce ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello... egli è quello che ha paura nel buio perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle, che popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride, senza perché, di cose che sfug¬gono ai nostri sensi e alla nostra ragione ». Questo fan¬ciullino, che si identifica con la voce della poesia, è in tutti gli uomini e costituisce la fase aurorale della nostra esistenza, quella in cui l'ingenuità predomina assoluta e l'esperienza delle cose terrene è tenue ed evanescente. Vie¬ne a simboleggiare insomma una sorta di condizione ideale che perdura nell'anima del poeta, anche quando il mondo esterno con la sua violenza, il suo odio, le sue miserie, impedisce agli uomini comuni di porgere l'orecchio in « quel¬l'angolo d'anima » donde la voce del fanciullino risuona. Anzi, proprio qui sta la differenza tra il poeta e il resto degli uomini: questi, resi insensibili dai loro interessi ma¬teriali, finiscono con lo smarrire la via che porta dritta alla loro coscienza; il poeta, invece, vive solo dell'auscultazione della voce del « fanciullino » che segue come l'unica gui¬da per penetrare il mistero che avvolge la nostra esistenza e il mondo intero, prescindendo da ogni strumento cono¬scitivo estraneo alla vita dello spirito. La poesia, pertanto, supera ogni processo intellettuale e ricorre ad immagini impressionistiche, ad accostamenti analogici e alle «  somiglianze e le relazioni più ingegnose » per tradurre il mondo misterioso dell'anima, cogliendo i nessi tra l'io, la natura e l'ani¬ma mundi. Il ruolo del poeta non è quindi quello di indicare scelte morali, di proporre ideali, di rivolgere mes¬saggi, « il poeta è poeta e non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o dema¬gogo, non uomo di stato o di corte ».
Tale poetica del disimpegno è la conseguenza dell'ama¬rezza, della delusione, dello sconforto dinanzi al male che sconvolge la vita umana; un male contro cui è vano lottare perché è insito nella vita stessa degli uomini, ai quali, pertanto, non resta che sentirsi affratellati con i loro simi¬li da un comune sentimento di pietà, in cui persecutori e perseguitati, oppressi ed oppressori si riconoscono vittime di una assoluta forza misteriosa che domina il mondo. Questo senso del mistero è il motivo di fondo della poesia pa¬scoliana che si ripete spesso con monotonia dalle prime alle ultime raccolte di liriche.
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855, quarto di otto figli. Aveva dodici anni e frequentava il collegio dei padri Scolopi ad Urbino con i fratelli Luigi e Giacomo, quando il 10 agosto del 1867 suo padre Ruggero, sovrintendente di una vasta tenuta agricola dei principi Torlonia, fu assassinato forse da alcuni contrabbandieri o da chi aspirava a subentrargli nell’incarico di amministratore. Il delitto comunque rimase impunito. Alla morte del padre, a distanza di un anno, seguì quella della madre e della sorella maggiore, Margherita. Dopo gli studi ginnasiali, Giovanni frequentò il liceo a Rimini, vivacissimo centro della sinistra rivoluzionaria ed anarchica, che indusse il giovane poeta ad accostarsi alle idee socialiste. Nel 1873 Giovanni conseguì a Cesena la maturità, e lo stesso anno concorse a Bologna ad una borsa di studi che il comune elargiva per sei studenti che avessero voluto frequentare l’università. Fu esaminato dal latinista Gandino e dal Carducci. Risultò primo e si iscrisse alla facoltà di lettere. Nel 1875 gli studenti dell’università felsinea organizzarono una manifestazione di protesta nei confronti del ministro della Pubblica Istruzione Ruggero Bonghi, in visita all’Università. Giovanni venne individuato tra i dimostranti e gli venne sospeso il sussidio del comune. Seguono anni di miseria, aggravati dalla morte del fratello Giacomo (12 maggio 1876), che era rimasto l’unico sostegno della famiglia. Giovanni interruppe gli studi, strinse rapporti di amicizia con l’anarchico Andrea Costa, si iscrisse all’Internazionale e svolse un’intensa attività di propaganda politica, a sostegno delle ideologie internazionaliste. Nel 1878 l’anarchico repubblicano Giovanni Passanante fallì nel tentativo di uccidere il re Umberto I di Savoia. La condanna a morte, poi commutata in ergastolo, provocò manifestazioni di piazza negli ambienti anarchici e vicini all’Internazionale. Il Pascoli venne arrestato per aver partecipato ad una manifestazione in favore degli Internazionalisti imolesi (7 settembre 1879). Dopo tre mesi e mezzo di carcere, venne prosciolto dall’accusa e da allora decise di interessarsi sempre meno di politica, di riprendere gli studi. Conseguita la laurea (1882), grazie all’aiuto del Carducci, sollecitato dall’amico comune Severino Ferrari, ottenne un incarico d’insegnamento al liceo di Matera prima, poi  Massa, dove lo raggiunsero le sorelle Ida e Maria, e successivamente a Livorno. Nella città toscana, il poeta cominciò a prendere le distanze dalle idee che aveva testimoniato durante il periodo socialista-anarchico e a  maturare un concetto di socialismo umanitaristico, intriso di accenti evangelici, lontano dai principi della lotta di classe. Il problema dell’emigrazione di centinaia di miglia di lavoratori e la pressione delle masse contadine aspiranti alla terra indirizzarono il pensiero del Pascoli verso la necessità di un’espansione coloniale e  quindi verso un nazionalismo, che egli considerava non offensivo ma difensivo per la stessa patria.

La produzione poetica

Nelle Myricae, la prima raccolta poetica del Pascoli pub¬blicata nel 1891, il motivo del mistero e del destino ignoto che incombe sugli uomini è ancora una sensazione che affio¬ra qua e là nel frammento, tra visioni di scarno e desolato realismo e sfumate immagini impressionistiche. Ma la più grande novità di questa raccolta è rappresentata dal lin¬guaggio, un linguaggio diverso, col quale, come nota il Sapegno, il poeta « spezza il movimento ampio e decoroso, cerca una musica più moderna, rotta, tormentata alle sue strofe e ai suoi versi ». Il Pascoli vuole respingere ogni schema tradizionale, innovare forme e contenuti, scoprire una diversa unità ritmica che, attraverso gli effetti musicali delle onomatopee, traduca il palpito breve e pur ca¬rico di tensione del suo animo. Il titolo dato alla raccolta vorrebbe indicare la scelta di temi georgici, come se il poeta mirasse ad una poesia dell'idillio di tradizione vir¬giliana. Sennonché in tante poesie di ambiente agreste raramente il quadretto idillico si compone in una sua unità organica, e mai il poeta indulge alla descrizione dei partico¬lari: ciò che conta è il frammento, l'impressione di un atti¬mo, la suggestione di un'immagine evanescente. Si leggano i versi di Arano, Carrettiere, Lavandare, Galline e poi al¬cune poesie che rievocano ricordi e memorie lontane come il X Agosto, Patria, Scalpitio, Il pesco. I temi possono non apparire originali, ma è estremamente originale il modo in cui tali motivi rivivono nella lirica pascoliana ed è nuova quel¬l'umiltà tutta francescana con la quale il poeta si avvicina alle cose più umili per renderle poetiche.
La sua seconda raccolta di poesie il Pascoli la pubblicò nel 1897 col titolo di Poemetti, che nell'edizione del 1904 apparve col titolo di Primi poemetti, seguiti a di¬stanza di cinque anni dai Nuovi poemetti. Nella prima edi¬zione il Pascoli aveva fatto precedere una prefazione, nella quale i motivi delle sue liriche, l'amore della famiglia e del nidietto, erano proposti come l'unica alternativa ai mali del mondo.
Il « nido » è uno dei simboli più ricorrenti nella poesia pascoliana, col quale il poeta identifica il calore degli affet¬ti, ma anche la piccola proprietà contadina che consente all'agricoltore di vivere un'esistenza semplice e beata, senza invidia e senza ambizione. Proprio l'elogio di tale medio¬crità sociale costituisce il centro dei Poemetti, in cui il Pascoli s'impegna a cantare argomenti « paulo maiora », atti a tessere l'epopea dell'umile mondo contadino. In quattro poemetti distinti il poeta segue la vita di una famiglia con¬tadina attraverso i vari momenti dei lavori dei campi e dei lavori domestici. Le Georgiche virgiliane costituiscono il modello fondamentale di quest'opera, anche se il suo pregio maggiore è da ricercarsi ancora una volta nell'originalità del suo linguaggio che ad espressioni di tipo ome¬rico avvicina un lessico in apparenza umile, tratto in mas¬sima parte dal dialetto garfagnano, per sperimentare in « Ita¬Iv » una sorta di gergo anglo-italiano.
Tra le liriche meglio riuscite sono da segnalare, oltre a L'aquilone e I due fanciulli, anche Il libro, Digitale purpurea e Suor Virginia, nelle quali il mistero della vita, l'amore col¬to nel suo primo apparire, l'attesa serena della morte sono ritratti con l'impiego di determinati simboli che, se da un lato si concretizzano nell'evidenza dell'immagine, dall'altro, grazie alla condizione analogica e musicale della parola, non restano privi di levità e delicatezza.
Nel 1895 il matrimonio della sorella Ida lo sconvolse. Il poeta si trovava a Roma per un incarico ricevuto dal Ministero della Pubblica Istruzione. Da Roma scrisse alla sorella Maria: 'Questo è l’anno terribile, dell’anno terribile questo è il mese più terribile. Non sono sereno: sono disperato. Io amo disperatamente angosciosamente la mia famigliola che da tredici anni, virtualmente, mi sono fatta e che ora si disfà, per sempre. Io resto attaccato a voi, a voi due, a tutte e due: a volte sono preso da accesi furori d’ira, nel pensare che l’una freddamente se ne va strappandomi il cuore, se ne va lasciandomi mezzo morto in mezzo alla distruzione de’ miei interessi, della mia gloria, del mio avvenire, di tutto!'
Nel 1903 il Pascoli pubblicava i Canti di Castelvecchio, nuove ' myrícae autunnali ', come il poeta indicava nella prefazione, 'che crescano e fioriscano intorno all'antica tomba' della madre.
1 Canti di Castelvecchio con la semplicità e genuinità della prima raccolta vogliono infatti rievocare ricordi del¬l'infanzia, emozioni e sensazioni suggerite dai molteplici aspetti che la natura assume nei diversi periodi dell'anno e del giorno, ma anche ispirare un ' più acuto ribrezzo del male'. La raccolta si apre con la lirica « La poesia », in cui il Pascoli riprende alcuni temi della sua poetica già esposti nella prosa Il Fan¬ciullino, ponendo l'accento soprattutto sul carattere conso¬latorio della poesia: Io sono la lampada ch'arde / soave! ,/ nell'ore più sole e più tarde, / nell'ombra più mesta, più grave, / più buona, o fratello!
I Canti di Castelvecchio, più di quanto non avvenga in altre raccolte, suggeriscono al lettore la qualità e la misu¬ra dell'impressionismo dell'arte pascoliana: tanti metri, un metro per ogni argomento, tutti rispondenti all'ondeggiare delle immagini, che spontaneamente affluiscono all'animo del poeta nell'immediata comunicazione con quel mondo infinitamente piccolo che egli però sa elevare ad una dimen¬sione cosmica, senza tempo. Nella raccolta i motivi auto¬biografici relativi alla sua infanzia e alla tragedia che colpì la sua famiglia sono espressi con tono raccolto per smorza¬re la sonorità che priverebbe le liriche del sentimento reli¬gioso che vi aleggia. Si ricordino La voce, Un ricordo, La ca¬valla storna. Il nido di « farlottí » e ancora La mia sera e L'ora di Barga, considerato dal Pompeati 'uno dei canti più veramente cantati fra quelli del Pascoli ', dove neppure è possibile parlare di simbolismo, dal momento che "il passaggio dal concreto all'irreale è ottenuto senza il mi¬nimo appiglio logico'. Accanto a questi canti si collocano quadretti di gente umile: Valentino, La canzone del girar¬rosto, La servetta di monte; scorci paesaggistici: La fonte di Castelvecchio; e temi simbolici, che vivono talvolta in una dimensione onirico-sessuale: La nebbia, La tessitrice, Il sogno della vergine.
Nel 1904 il Pascoli pubblicò i Poemi conviviali. Il tito¬lo della raccolta derivava in parte dal fatto che alcuni di essi erano stati pubblicati nella rivista del De Bosis Convito, ma anche dall'intenzione del poeta che, novello aedo omerico, accompagnava col canto i simposi.
In questi « poemi », il Pascoli continua la sua opera di disgre¬gazione dei miti del mondo classico, attribuendo a personaggi del mito o della storia antica una sensibilità tipicamente deca¬dente o per meglio dire pascoliana. Achille, Ulisse, Elena, Solone, Alessandro Magno ed ancora le Sirene, i Ciclopi, la maga Circe altro non sono infatti che simboli privi di una loro vita autonoma, che vivono solo come proiezione delle angosce, delle paure, del senso del mistero che in¬combono nell'animo pascoliano. Così Solone ribadisce l'e¬saltazione della poesia, considerata soprattutto nella sua fun¬zione consolatrice e rasserenatrice dell'animo umano. Ulisse nell'« Ultimo viaggio » è un vecchio eroe che vuole riper¬correre le tappe del suo lungo peregrinare per rivisitare i luoghi della sua esperienza passata. Ma non ritrova né le Sirene né la maga Circe né i Ciclopi, anzi scopre che questi non sono mai esistiti tranne che nel suo subcosciente. Al¬l'eroe greco, quindi, non resta che l'angoscia di una vana ricerca della propria identità e del senso e del fine della vita
Anche in « Alessandro », il famoso condottiero macedo¬ne è ridotto a simbolo e pertanto sottratto a qualsiasi va¬lutazione storica: dopo aver conquistato tutto il mondo Alessandro Magno si rende conto che l'ambizione umana è superiore a quanto la stessa realtà possa offrire.
Le liriche latine raccolte in Carmina traggono pure ispi¬razione dal inondo antico, precisamente dalla storia di Roma, di cui il Pascoli intendeva ritrarre gli aspetti più significativi della vita in pace e in guerra, dal paganesimo fino alle origini del cristianesimo; del. Carmina, infatti, sette sono intitolati Poemata Christiana ispirati al sorgere della nuova fede. Anche la lingua latina è dal poeta adattata alle esigenze del suo impressionismo musicale, anzi essa appare quanto mai lontana dalla tradizione e proiettata in una di¬mensione astorica dove è possibile qualsiasi innovazione grammaticale e linguistica.
Nelle ultime raccolte Odi ed Inni, La canzone di re Enzio, Poemi italici, Poemi del Risorgimento, il poeta rinuncia all’auscultazione del fanciullino e alle scelte poetiche che ne erano derivate, per impegnarsi nel ruolo di vate. Si fa quindi celebratore delle glorie nazionali, emulo del suo maestro Carducci e del suo rivale D’Annunzio. Il poeta, propugnatore della pace sociale, inventa una sua originale ideologia: il « socialismo patriottico », che, di per sé è una contraddizione, se è vero che il socialismo nasce come ideologia sovranazionale, lontana da ogni forma di nazionalismo e di aspirazione colonialista, presenti entrambi nel famoso discorso La grande proletaria s’è mossa, che il Pascoli scrisse e divulgò con grande successo un anno prima di morire, a sostegno della guerra di Libia del 1911. Si trattava di una forma di nazionalismo mascherato di sentimenti umanitari, probabilmente in buona fede. Il nuovo 'nido'  al quale il poeta guardava erano i confini stessi dell’intera nazione. Si trattava di portare a termine il processo risorgimentale, conferendo alla nuova Italia la dignità di patria, capace di dare benessere, lavoro e una coscienza civile ai suoi figli. L’Italia, grande per la sua memoria storica, ma povera, disprezzata e vilipesa dalle potenze capitalistiche, verso le quali erano costretti ad emigrare tanti suoi figli, aveva il diritto di ricorrere alla forza per assicurare il possesso della terra ai tanti contadini che vivevano nell’indigenza. Non è certo la soluzione che ci si aspetterebbe da chi da giovane aveva militato tra i socialisti e gli anarchici, ma era questo il nuovo clima ideologico che si andava diffondendo anche attraverso le riviste del tempo. Un clima foriero della catastrofe che sfocerà nella Prima Guerra Mondiale.

BREVE NOTA BIBLIOGRAFICA

Tutte le opere di G. Pascoli: 6 volumi, Mondadori, Milano.
B. Croce, La letteratura della nuova Italia, Vol. IV, Laterza, Bari, 1915.
E. Cecchi, La poesia di G. Pascoli, Garzanti, Milano, 1968.
A. Leone de Castris, Il decadentismo pascoliano e la poetica delreale, in Decadentismo e realismo, Adriatica, Bari, 1960.
U. Bosco, Il Pascoli fra Ottocento e Novecento, in Realismo romantico, Sciascia, Caltanissetta-Roma, 1967.
P. Mazzamuto, Pascoli, Palumbo, Palermo, 1966,
G. Barberi, Squarotti: Simboli e strutture nella poesia del Pascoli, D'Anna, Firenze-Messina, 1966.
G. Getto, Carducci e Pascoli, ESI, Napoli, 1965.

 

Autore Prof-Greco

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Inserito il 30 Ottobre 2012 nella categoria Relazioni svolte