Logo generale del sito:Libera Università 'Tito Marrone' Trapani

Libera Università Tito Marrone > Relazioni svolte > Il favoloso Prete Gianni

Il logo della sezione del sito denominata  Il favoloso Prete Gianni

Il favoloso Prete Gianni

La leggenda del Prete Gianni ha le pecularietà di un mito ed è collegata alla difficile tenuta degli stati cristiani rispetto alle minacce dell'Islam. Ne ha parlato con dovizia di particolari il dott. Enzo Guzzo

Relatore: Dott. Enzo Guzzo

 [b]Il mito del Prete Gianni tra leggenda e storia  [/b]

 Quella del Prete Gianni è una leggenda seducente che può avere, in molti suoi aspetti, pure le caratteristiche di un mito, con un mitologema di fondo caratterizzato da aure di sacralità, con molteplici irradiazioni tra Oriente e Occidente, con profonde diversità nei vari sviluppi, ma con tratti unitari essenziali e significativi.

 Possiamo pure considerarla una creazione tipicamente medievale, di grandissimo valore simbolico, che ebbe vasta diffusione anche se fu povera di consistenti riscontri storici.

 Moltissimi sono i documenti che ne parlano ma uno è quello che ha attratto maggiormente l’attenzione degli studiosi tra cui Carla Amirante Romagnoli, l’Autrice del volume: Il Prete Gianni tra storia e leggenda (Ed. Carlo Saladino) che consiglio vivamente a chi volesse approfondire il tema).

 Il documento in questione è esistente in varie versioni. Si tratta di una lettera firmata Prete Gianni [b]ricevuta nel 1165 dall’imperatore bizantino Manuele I Comneno e da questi spedita, per la sua importanza, sia al papa Alessandro III, sia all’imperatore del Sacro Romano Impero, Federico detto il Barbarossa. [/b]

 Questa lettera, che esiste in numerose copie diverse tra loro ma unitarie nel significato essenziale, fu considerata, nella sua versione originale, come autentica, ed era cosa nuova e del tutto straordinaria perché  proveniva da uno sconosciuto sedicente potentissimo re orientale che pure si definiva cristiano (le varie fonti ci suggeriscono una probabile formazione di tipo nestoriano), e si tratta di un documento scritto in latino molto colto ed elegante, cosa che poteva prestare il fianco a qualche fondato dubbio di autenticità considerata la profonda diversità culturale dei contesti da cui proveniva.

 Inoltre, gli studiosi ritengono che l’edizione più completa che possediamo non sia stata composta di getto, ma poi [b]elaborata lungo un periodo che va dal 1165 al 1300 e, man mano che ne aumentava la fama, venne variamente interpolata e spedita in tutto l’Occidente (come diremmo oggi). Fu anche tradotta in varie lingue e non senza modifiche e, come già detto, oltre ad essa ne esistono pure altre versioni. [/b]

  Anche dalla rete assumo qualche notizia su questo leggendario monarca dell’Oriente cristiano, questo Prete Gianni, che appare nelle tradizioni storico-geografiche del Medioevo. Il suo nome in latino è Presbyter IohannesPrester Iohannes; in italiano Prete Gianni. Questo nome ha ricevuto differenti spiegazioni a seconda dell’interpretazione che si è data a questo mito. Il primo elemento del nome è stato messo in relazione (secondo Yule) con l’epiteto di πρεσβύτερος lo stesso che assunse S. Giovanni Evangelista nella seconda e terza delle sue epistole; un cronista medievale, (Giovanni di Hildesheim, afferma che  Presbyter  fosse un titolo assunto dal sovrano in quanto egli era superiore a tutti gli altri monarchi, come gli ecclesiastici sono superiori ai laici; altri hanno visto nel titolo di Presbyter  un’allusione ai re cristiani di Nubia celebranti la messa sugli altari, altri invece alla dignità di diacono che aveva effettivamente il sovrano dell’Etiopia. Anche la seconda parte del nome del P. G. e cioè appunto Gianni o Giovanni ha avuto molte interpretazioni: chi l’ha voluta mettere in relazione col titolo di khān dei principi mongoli, altri con giān, che è il titolo dei sovrani dell’Etiopia; altri col nome Giovanni in onore sia dell’Apostolo che del Battista.

Caratteristiche del Prete Gianni nella tradizione medievale sono:                                    - 1) il fatto che egli professa la religione cristiana e che, pur non essendo cattolico, desidera istruirsi nella dottrina della Chiesa romana (cosa attestata anche dalla lettera di risposta  al Prete  Gianni, del papa Alessandro III;          - 2) la sua dichiarata immensa ricchezza in metalli preziosi e gemme,  e oro, argento e pietre preziose superiori a quelli di ogni altro uomo al mondo, rimasta in piedi sino all’epopea cavalleresca e alla descrizione ariostesca del castello "più ricco assai che forte - Ove ha dimora d’Etiopia il capo";                                                               - 3) il fatto che il suo paese si trovi a presunti estremi confini del mondo che l’epopea cavalleresca porrà ai margini del Paradiso Terrestre, elemento accolto dallo stesso Ariosto;                                                                         -           - 4) l’inimicizia con i musulmani e quindi la possibilità di un’alleanza con gli stati cristiani di Occidente. Cosa che avrà poi importanza fondamentale in quanto provocherà [b]storicamente i tentativi di varî stati europei (specialmente italiani) di mettersi in relazione e stabilire un’alleanza militare col P.G.[/b]

 Ci si chiede se tutta questa tradizione sia soltanto frutto di fantasia o non sia piuttosto il pur vago ricordo di un sovrano orientale che potrebbe essere effettivamente esistito da qualche parte. Oggi si tende a credere appunto che a base della leggenda potrebbero esserci anche vaghi elementi storici. La difficoltà maggiore è quella geografica. Ci si chiedeva allora se fosse più conveniente ricercare il P. G. storico tra i sovrani asiatici o fra quelli africani. Questa indecisione fu favorita anche dal significato ambiguo delle denominazioni di India ed Etiopia nella geografia medievale.  Gli studiosi che hanno accettato l’origine asiatica della leggenda, divenuta mito, hanno in vari modi identificato il P. G. con questo o con quell’altro principe asiatico e alcuni trovarono anche una concordanza cronologica con un fatto realmente avvenuto nel [b]1141 per cui identificarono il P. G. con un capo mongolo Yelutasc; e del resto gli stessi viaggiatori e scrittori medievali del sec. XIII lo identificarono addirittura con Genghiz Khān o con un imperatore delle Indie nemico di Genghiz Khān, o con un principe tartaro ucciso da Genghiz Khān,  come scrive Marco Polo, che venne a conoscenza della pregressa esistenza di un Prete sovrano dei Tartari, vinto e ucciso da Genghiz Khān e di un suo discendente di nome Giorgio, regnante a Tenduc, e vassallo del Gran Khān. [/b]

Alcuni studiosi spiegavano queste incertezze ricordando che, quando la conquista mongola aprì l’Asia ai viaggiatori europei nella seconda metà del sec. XIII, in Europa si era già ampiamente diffusa la leggenda del P. G., ed era quindi naturale che i viaggiatori cercassero "un rappresentante adeguato" ai contenuti della leggenda e non trovandone alcuno pienamente conforme ai dati leggendarî, tentassero di seguirne le tracce in varie direzioni. Non diversamente da questi, coloro che cercarono il P. G. in Africa giunsero a identificarlo con qualche principe della Nubia cristiana o con il sovrano dell’Etiopia. Quest’ultima identificazione divenne prevalente nei [b]secoli XIV e XV, e iniziatisi i contatti diretti fra l’Etiopia e il mondo occidentale, la figura del P. G. fu identificata con quella del monarca etiope che risultava però di gran lunga inferiore alle aspettative che la lettera aveva alimentato.[/b]

  È venuto spontaneo, a me, il raffronto tra le narrazioni e i documenti relativi al Prete Gianni ed il mito di Ermete Trismegisto. Si tratta di personaggi mitici molto diversi che sono divenuti paradigmatici nel corso del Medioevo e del Rinascimento; il Trismegisto (si veda il mio libro: Aurora dal manto di Croco, ed. Carlo Saladino), mai esistito, ma considerato per più di mille anni maestro d’immensa sapienza e di sincretistica spiritualità e sotto il cui nome ci restano numerosi e pregnanti scritti, anche se di autori diversi, ma quel poderoso corpus di scritti e di precisi principi spirituali e morali ebbe un trainante valore simbolico, e cioè unificante, tale da attrarre l’attenzione anche di pensatori di provenienza ebraica e islamica. Tutto ciò fu fondamentale per lo sviluppo soprattutto del pensiero rinascimentale, e favorì una connessione tra l’Ermetismo (la vasta dottrina attribuita ad Ermete), la tradizione neoplatonica e il Cristianesimo.

Invece, il Prete Gianni, con le varie possibili identità a lui attribuibili, fu considerato sostanzialmente come ipotesi necessaria o speranza di una presenza fortemente desiderata relativa ad una civiltà d’ispirazione cristiana nel lontano Oriente, caratterizzato, invece, nel corso degli anni, dall’espansione di altre e varie potenze etniche, politiche e religiose.

 Si sperava dunque che qualcuno potesse garantire in quei vasti luoghi ad oriente dell’Impero Bizantino, l’affermazione della visione cristiana del mondo. In tal senso possiamo dire che l’intenzione custodiva un netto sostrato di sacralità che può trarre fuori dalla mera dimensione leggendaria l’insieme delle storie sul Prete Gianni e consegnarle al mito, che per sua natura si riferisce al sacro. Ricordiamoci infatti che il mito, alle sue origini, mise in forte connessione il divino e l’umano.


 La diffusione verso Oriente del Cristianesimo, a prescindere da questa leggenda e passando per un attimo la parola alla storia, fu gloriosissimo agli inizi, si consideri che l’iconologia sacra cristiana originaria ebbe le sue più lontane anticipazioni estetiche addirittura in Egitto (nell’oasi del Fayum), si pensi che l’innodia sacra si sviluppò in Siria (esempio luminoso sono le numerose composizioni  di inni di vari autori tra cui il più famoso fu Efrem il Siro) e così via, sino a conseguire anche altri immensi successi come la conversione al Cristianesimo, verso la fine del primo millennio, della città di Kiev e degli altri territori governati dal principe Vladimir il Grande. Conversione che conobbe poi una progressiva diffusione  verso gli immensi territori della Russia che fu cristianizzata.

 Il Cristianesimo, però, divenne sempre meno presente, nel corso del tempo, sia nel Vicino che nel Medio Oriente sino all’India per il rapidissimo diffondersi, con la spada, della fede islamica.

 Non a caso era forte la speranza dell’esistenza di un regno cristiano molto potente in Oriente che potesse costituire argine all’affermarsi dell’Islam in quelle aree. Proprio questa fu la vera spinta d’anima a sostegno del mito-leggenda del Prete Gianni, ossia la speranza di un concreto aiuto delle comunità e degli stati cristiani, realmente preoccupati non solo di perdere il Santo Sepolcro ma anche di essere invasi dal dilagare delle armate islamiche in ogni direzione.

 Ed è proprio questo l’aspetto che mi ha colpito maggiormente, e cioè il grande valore psicologico di questi racconti e di questa lettera del Prete Gianni, in ordine a veri problemi di coscienza che coinvolsero le istituzioni religiose, politiche, militari e gli stessi popoli cristiani di quel tempo.

 Infatti, osserviamo ora per grandi linee la situazione geopolitica di quel tempo. Le medievali lotte di potere tra papato e impero, gli smodati appetiti delle varie Repubbliche Marinare e l’infame tradimento, dettato da mera cupidigia e da delirio di potere, perpetrato dal doge Dandolo che utilizzò le truppe della [b]Quarta Crociata, nel 1203, non per liberare il Santo Sepolcro dalla dominazione islamica, ma solo per assediare, conquistare e saccheggiare la ricchissima Costantinopoli, cosa che determinò una scellerata parcellizzazione dell’Impero cristiano d’Oriente in più parti, e indebolì tutto il fronte orientale e meridionale di quel contesto. Situazione che favorì la progressiva e virulenta espansione islamica nei territori di quello che era stato il grande Impero Bizantino.[/b]

 Una responsabilità storica immensa assieme a tante altre responsabilità che non staremo ad elencare, ma basti pensare alla reciproca rigidità delle posizioni teologiche in ordine al conflitto tra cattolicesimo e ortodossia che, ad un certo momento divenne, in Oriente, persino rigidità popolare autolesionistica, di fronte agli accordi positivi raggiunti, non senza travaglio, nel Concilio cosiddetto 'di Basilea, Ferrara, Firenze e Roma' che si protrasse per 14 anni, [b]dal 1431 al 1445! Questo Concilio ebbe il suo culmine spirituale e culturale a Firenze grazie all’iniziativa di Cosimo de’Medici che, riuscendo a far trasferire da Ferrara a Firenze la sede dei lavori conciliari, accolse anche i numerosi e preziosi scritti che aveva condotto con sé Giorgio Gemisto Pletone, sommo maestro della scuola di Mistras, cittadina mistica vicina all’antica città di Sparta. Si tratta delle preziosissime opere d Platone, Plotino, degli scritti attribuiti al Trismegisto, il cosiddetto e vastissimo Corpus Hermeticum, degli oracoli caldaici e di tanti altri. [/b]

 La traduzione di queste opere affidata da Cosimo a Marsilio Ficino segna, sul piano sapienziale e culturale, la nascita del nostro Rinascimento e dell’arte in particolare. Immaginiamoci cosa potrebbe essere la storia senza il ritorno della grecità in Occidente e a Firenze, in particolare! 

 Durante quella fase conciliare le posizioni tra Chiesa d’Oriente e Chiesa Cattolica si erano avvicinate di molto. La pace tra chiesa d’Oriente e chiesa d’Occidente era ad un passo, doveva solo essere ratificata dai popoli d’Oriente. Ma venne respinta dalla base ortodossa a dispetto degli sforzi di pacificazione compiuti, oltre che dal Papa, anche dal Patriarca ortodosso di Costantinopoli Giuseppe e dall’Imperatore d’Oriente, Giovanni VIII Paleologo (si veda il mio libro: La Primavera di Botticelli, mistero cosmico dell’Anima Mundi, ed. Tipheret) .

 Perché questa digressione storica? Ma perché la leggenda del Prete Gianni, anche se più antica rispetto ai fatti relativi al Concilio di Firenze, è connessa, possiamo dire ab initio, alla difficile tenuta degli stati cristiani rispetto alle minacce politico militari di forze esterne e dell’Islam in particolare.

 Vero è che, tra i potenti di allora, la lettera del Prete Gianni, non ebbe forte credibilità tra chi era più avveduto dal punto di vista del pragmatismo politico, come diremmo oggi, e infatti non suscitò, tra i potenti, interessi e aspettative tali da procedere a congrue e continue iniziative di ricerca di questo favoloso regno e gli stati cristiani, a tutti i livelli, continuarono a confliggere tra loro, incuranti anche delle minacce più gravi. L’esito stesso delle Crociate ne è testimone.      

  Dal punto di vista spirituale, pur non divenendo mai un forte mito mistico  d’ispirazione cristiana, come fu, ad esempio, quello del Santo Graal, tuttavia il mito del Prete Gianni riuscì a dare, per un paio di secoli, la speranza che la  difesa nei confronti del dilagante islamismo avrebbe potuto avere un esito positivo se solo si fosse stati capaci di creare non una lettera ma una vera e propria unità intorno a comportamenti più virtuosi, da parte di tutte la realtà cristiane, a tutela stessa dei valori condivisi.

 Sul piano culturale possiamo dire che la vicenda del Prete misterioso richiamava tuttavia anche i vari racconti sul Santo Graal e, per certi versi, il mito di Lohengrin poteva rappresentare un modello parallelo tra la ricerca del Prete Gianni da un lato e quella prevalentemente spirituale del Santo Graal dall’altro.   

 Sappiamo dunque che per quasi tre secoli rimase in vita l’ipotesi di un regno potente e bellissimo d’ispirazione cristiana e il Prete Gianni assunse un aspetto quasi archetipico di un certo valore, ma ciò non riuscì a far coagulare nel corso del tempo, nessun vero progetto spirituale e neanche nulla di concretamente positivo nel percorso politico e militare dei paesi cristiani e pertanto restò solo una fascinosa leggenda che spostava sul piano dell’utopia la resistenza a quella grande minaccia che forse a livello inconscio si percepiva già come inarrestabile.

  E tuttavia non posso fare a meno di riferirmi anche al racconto relativo alla liberazione del Santo Sepolcro, durante gli eventi della Quinta Crociata, nel [b]1221, quando le truppe cristiane avrebbero prestato ingenuamente fede ad una profezia che assicurava la fine della religione maomettana nel giorno di Pasqua. Si disse infatti che stavano per giungere dall’Oriente tre eserciti comandati da un certo re chiamato Davide e identificato con il mitico Prete Gianni, il quale avendo già sconfitto i mussulmani ad Oriente (così affermava la famosa lettera) marciava ora verso la Terra Santa in soccorso dei crociati i quali galvanizzati da questa (inconsistente) notizia intrapresero sconsiderate iniziative militari che si risolsero in una sconfitta. Una modalità tipica di certe cronache medievali fu quella di leggere gli eventi e i destini militari, politici, sociali anche in modo magico, ed i fatti allora ebbero uno svolgimento ben più infausto, come ci raccontano anche gli storici delle Crociate. [/b]

 Di grande suggestione e di spessore degno del mito è soprattutto, a mio avviso, quel racconto della fine del XIV secolo che coinvolge i tre Re Magi della tradizione cristiana, figure di grande spessore spirituale e dalla bella ed intensa simbologia.

 I tre Re Magi avrebbero anche costruito la 'nobilissima e grandissima' città di Seuva, ritenuta la più ricca città d’Oriente e dimora del signore degli indiani, il Prete Gianni.

 Vi è anche una palese analogia con quanto riferì Marco Polo in ordine ad una città chiamata da lui Sava ma collocata in ambito iranico. Notevole è infatti, come abbiamo constatato, il problema dell’individuazione dei luoghi del dominio del Prete Gianni!

 Questa leggenda che favoleggiava di un impero di cui per secoli non si trovarono riscontri concreti, lascia una intrigante eredità letteraria, che ha coniugato molte leggende e poca storia, in un tempo in cui gli stessi viaggiatori reali e meticolosi come Marco Polo, avevano immense difficoltà a cogliere la natura profonda dei contesti che visitavano o di cui sentivano parlare, e a distinguere le vere storie dalle tante favole di cui l’uomo ha sempre avuto bisogno per rappresentarsi la migliore realizzazione dei propri desiderata, o per il gusto di ipotizzare eccelse bellezze per sublimare la proprie miserie, o per catturare il consenso dei sudditi o per emendare, in qualche modo, le cose inconfessabili o semplicemente irrealizzate del proprio presente, e così via.  

 Dato che sul piano storico si sono trovati elementi molto deboli e ben lontani dalle affermazioni della lettera all’imperatore bizantino, saremmo portati ad affermare che si era trattato solo di un incantevole sogno collettivo che agì con la forza di un mito e noi, opportunamente, ne coltiviamo le aure e lo riponiamo con cura in quella che W.A. Mozart chiamava: la stanzetta del cuore. 

                                                                         Vincenzo Guzzo

Autore Prof-Greco

social bookmarking

  • Relazioni svolte in Facebook
  • Relazioni svolte in Twitter
  • Relazioni svolte in Google Bookmarks
  • Relazioni svolte in del.icio.us
  • Relazioni svolte in Technorati

Inserito il 03 Maggio 2019 nella categoria Relazioni svolte