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Il medico imperfetto

Antonino Tobia e Giuseppe Abbita hanno presentato 'Il medico imperfetto' del prof. Riccardo Ascoli

Relatore: Prof. Riccardo Ascoli - Università di Palermo

         Alla presenza dell’autore è stato presentato "Il medico imperfetto", raccolta di memorie, racconti e anedotti del prof. Riccardo Ascoli, professore emerito di urologia dell’Università di Palermo.

Hanno introdotto Antonino Tobia e Giuseppe Abbita di cui si riportano le relazioni.

Prof. Antonino Tobia:

Immagine riferita a: Il medico imperfettoLa medicina è una scienza? Il medico quindi è uno scienziato? Nel dizionario della lingua italiana di Devoto-Oli si legge la seguente definizione del lessema medicina: ' la scienza che ha per oggetto lo studio delle malattie, la loro cura e la loro prevenzione'. Pe Riccardo Ascoli la medicina è piuttosto l’insieme dei rimedi, spesso di carattere empirico, rivolti a prevenire o a curare fatti morbosi. L’empiria medica, tuttavia, ha come base la conoscenza analitica del corpo umano, una conoscenza che per essere scienza dovrebbe dare sempre i medesimi risultati in laboratorio o in sala operatoria.
Fatta tale premessa, l’esperienza quotidiana e la conoscenza scientifica, prese entrambe nella loro massima espressione, sono sufficienti a fare un medico perfetto? Questa è la domanda che ha spinto Riccardo Ascoli a darsi una risposta con la pubblicazione del  volume Il medico imperfetto, di recente dato alle stampe per i tipi  della casa editrice Pungitopo. E la risposta l’ha trovata leggendo il trattato di Seneca De beneficiis (VI, XVI), dove il filosofo stoico così scrive : ' Se il medico non fa altro che tastarmi il polso e considerarmi uno dei tanti pazienti, prescrivendomi freddamente ciò che devo fare o evitare, io non gli sono debitore di nulla, poiché egli non vede in me un amico, ma solo un cliente … Se invece il medico si è preoccupato per me più di quanto fosse necessario alla sua attività professionale: è stato in ansia non per la sua reputazione ma per me; non si è limitato ad indicarmi i rimedi, ma me li ha applicato con le sue stesse mani; è stato fra quelli che ansiosamente mi assistevano; è accorso nei momenti difficili; nessuna prestazione gli ha arrecato noia o fastidio; si è commosso ai miei gemiti, io sono in obbligo ad un uomo simile non come medico, ma come amico'. Perciò, conclude Seneca, al medico si paga il prezzo delle sue prestazioni, ma si resta debitori per ciò che riguarda la sua disposizione d’animo. Il medico, verso cui il paziente resta obbligato, è quello che aggiunge coscienza a scienza, umanità alla tékne . Coscienza e non obiezione di coscienza, in quanto il medico che lavora in una struttura pubblica ha il dovere di rispettare, insieme con la sua deontologia professionale, le norme relative al ruolo sociale e umano che la collettività gli ha assegnato. 
Ascoli rivela una concezione bio-psico-spirituale dell’uomo, che ripropone nel suo rapporto col paziente, la cui radice greca indica sofferenza e sopportazione. Il medico è decisamente 'imperfetto' se non aggiunge alla cura del corpo anche la carezza dell’anima, che fa sentire meno solo chi soffre. Ciò va ben oltre il codice deontologico, che richiede al medico 'diligenza, perizia e prudenza'. Ciò rientra nella sfera individuale e ha a che fare con l’umanità e la sensibilità di chi sente il malato il suo prossimo da aiutare, rispettare, sostenere. ' Il dottore Lo Verso, costretto a fare il malato per via del suo calcolo renale, una volta non riuscì a vivere bene il colloquio col medico interpellato. Rainaldi era entrato nella stanza dove lui sedeva con la mano sul fianco per il fastidio che sentiva … Aspettava il medico che l’aveva in cura. Arrivò però la dottoressa Di Salvo … - Che mi dice dottoressa del calcolo? … Non si vuole rompere - 
- Non so dirle nulla … adesso mi scusi ma devo fare altre cose –
Lo Verso si alzò dolorante. Prima di uscire provò ancora a rivolgersi alla dottoressa che con obbligata compiacenza lo prese sottobraccio e l’accompagnò nell’altra stanza. Però non riuscì a trattenere l’ultima imbecillità: - Ma questo chi è – bisbigliò con la mano sulla bocca, - lo conosce nessuno'-
Questo è il dottore Lo Verso, un nostro collega, lo conosco io …E se non fosse un medico, sarebbe la stessa cosa! – Rainaldi protestava … , e pure lui senza alzare la voce … Lo Verso  però non poteva essere lasciato vagare. – Ma dove stai andando? -, gli fece Rainaldi, - Dai, vieni di là da me!'.
Sicuramente apprezzabile il tratto umano di Maurizio Rainaldi , il protagonista dei racconti. Eppure questi era considerato un medico imperfetto perché non era un puro camice bianco. Non convinceva tra i colleghi chi lo vedeva interessarsi, con risultati di alta espressione artistica,  di fotografia, poesia, teatro, prosa. Era difficile per i più immaginare che tali diverse forme di linguaggio costituissero tessere altrettanto significative della sua personalità, che da esse traeva quella linfa di umanità e quel grado di sensibilità che riscaldavano il gelo dei corridoi d’ospedale. È ipotizzabile che da tali interessi e non dagli studi di anatomia sgorgasse quella gradevole vena ironica che scorre tra le righe dei tanti racconti. Il sorriso, la battuta ironica, lo strascico vernacolare romanesco umanizzavano la figura del medico-professore e lo rendevano meno accademico, sempre pronto ad aggiungere qualche goccia d’olio nella lucerna della speranza.
Il testo si articola in 35 fotogrammi, in cui l’autore focalizza i ricordi di una vita ricca di molteplici esperienze.
Nel racconto Il principe dei paparazzi l’autore fa rivivere al lettore un breve spaccato della 'dolce vita' romana di felliniana memoria, accenna al suo incontro con i registi Daniele Ciprì e Franco Maresco che stavano girando il film Totò che visse due volte e, quindi, introduce il famoso paparazzo romano, Tazio Secchiaroli, impegnato a riprendere i comportamenti stravaganti degli attori e della borghesia romana e internazionale, che passava per il salotto di via Veneto. Sacchiaroli doveva apparire molto strano a Maurizio, per come una sera lo aveva accolto a casa sua: ' Una sera capitò a casa sua. Lo colpirono le tre stufe accese e le due tute che il fotografo aveva indosso: per il caldo che c’era sembrava di stare in un’incubatrice! – Che ce vòi fà, sò freddoloso … - si scusava. Pure all’aeroporto era arrivato pesantemente ingiacchettato quel giorno di prima estate che Rainaldi era andato a prenderlo per condurlo a uno degli annuali Festival italiani della Fotografia coordinato da lui stesso. E si stupì ancora quando vide che con tutto quel caldo Tazio andava a letto con la maglia e il pigiama di lana. Questi poi gli raccontò che mentre la troupe di Bertolucci girava, nel deserto, stremata dalla calura, lui fotografava, freschissimo, con un giubbetto e un maglioncino sotto'.  Artisticamente Secchiaroli, che abitava in via dei Platani 129, vicinissimo al 121 della casa di Rainaldi, sapeva ben usare l’arte della fotografia al punto da entrare nel sodalizio formato da Fellini, dalla Loren, da Marcello Mastroianni. Al grande interprete della Dolce vita Rainaldi somigliava tantissimo non solo a detta di sua madre ma anche dei suoi amici e conoscenti, soprattutto per la decisa asserzione del collega di sua madre, un tal Pace, che si vantava di conoscere bene Mastroianni per essere stato suo compagno di scuola.
Il racconto Il difettuccio ripropone il tema del medico amico, che si aggrappa alla sua benevola ironia per restituire il senso della femminilità a Lorena, un suo grande amore dei suoi anni trenta, che si fa viva con Maurizio per comunicargli telefonicamente: 'M’hanno portato via qualche muscolo del torace … e pure il seno sinistro'.  Un altro interlocutore probabilmente non avrebbe trovato le parole adatte e nel tentativo di commiserare l’inferma le avrebbe dato il colpo di grazia. Rainaldi no! Dopo essersi accertato che il cancro non faceva temere recidività, esclama con quell’impeto sfacciatamente romanesco, che può apparire  strafottenza e  invece suona come il trionfo della vita sulla precarietà dell’esistenza: 'E allora ridi! … con me l’hai sempre fatto .. E poi lo sai che, per quel che mi riguarda, un seno che prorompe, che appare di meno o non appare è cosa che mi lascia indifferente … Di voi,  come sai, mi piace di più tutto il resto'. Il difettuccio è immediatamente scomparso, travolto dalla generosa dichiarazione di Maurizio. L’amica è restituita alla sua dimensione femminile che può farla sentire ancora donna. L’autore ci informa che Il difettuccio divenne un testo teatrale e fu rappresentato per la prima volta in un teatro cittadino ai margini di un convegno sulle malattie del seno. Ancora una volta i medici perfetti avevano considerato Rainaldi un medico imperfetto, un estraneo, diverso da loro perché esplorava campi diversi da quelli tracciati dall’arte medica.. Ciò fece provare pure a lui un senso di estraneità.
Le fate sull’albero è un racconto soffuso di amara elegia. Tratta degli ultimi giorni della madre di Rainaldi trascorsi in una casa di cura, quella che ogni degente nel suo drammatico silenzio non urlato considera l’anticamera del trapasso. 'Se ne andò di sera, quasi di nascosto, e il rimpianto del figlio fu quello di non poter conoscere più nulla dalle sue parole, lei che era stata la storia e il fondamento stesso della sua vita. Si sentì staccato dal secondo cordone ombelicale'.  Ma, qualche giorno prima di morire quella donna che 'guardava le compagne di stanza con dolcezza, quasi meravigliata che ad aver bisogno di quell’assistenza, donata sempre agli altri, ora ci fosse lei', aveva avvicinato il figlio a sé e gli aveva detto: 'Guarda … lassù la sera sui rami di quel pino ci vedo le fate'. La madre ripeté due volte la medesima frase, guardando prima Maurizio, poi l’albero, forse per indicargli dove se ne stava andando.
Turi Vasile, che ha scritto la prefazione al testo, dichiara la sua difficoltà ad inserire in un genere letterario l’opera di Ascoli, rivelandosi ora biografia, ora saggio, ora antologia di racconti. In effetti, il lavoro sfugge ai canoni e alla precettistica dei generi letterari. L’originalità del libro va ricercata nell’abilità dello scrittore, che è riuscito a trasferire un soggetto autobiografico in un pamphlet etico-deontologico senza indignatio, in un appello fatto di carità nel senso cristiano, in un invito discreto ai colleghi più giovani, affinché essi umanizzino la loro scienza con la coscienza e sappiano operare una vera rivoluzione copernicana, che collochi al centro del sistema sanitario l’uomo-paziente, l’uomo che soffre e invoca aiuto al medico, tanto meglio se imperfetto, perché lo vuole sentire amico e suo prossimo.    Antonino Tobia  

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Dott. Giuseppe Abbita:

Immagine riferita a: Il medico imperfetto'…….lo trovò a letto, impossibilitato a muoversi per le metastasi ossee che l’angustiavano. Rainaldi tentò di rincuorarlo, e soprattutto, l’ascoltò tenendogli la mano.'
Con queste parole si conclude il libro 'Il medico imperfetto': memorie, aneddoti, testimonianze, del medico Maurizio Rainaldi, personaggio autobiografico, che non è difficile identificare con l’autore, il professor Riccardo Ascoli.
Alberto Malliani, indimenticato presidente della Società di Medicina Interna, con il quale ho avuto l’onore di condividere alcune scelte di questa società scientifica, grande clinico, uomo di cultura e benefattore, diceva: 'Il malato è un solitario, poiché nessuno potrà mai condividere fino in fondo i suoi bisogni e il suo destino. La sua compagnia è l’ascolto, ossia il cuore stesso del mestiere del medico.'
Umanizzare la medicina significa anche che per essa è essenziale il tempo dedicato all’ascolto del malato.
Ma oggi è irreale immaginare un medico che ascolti il paziente senza fremere per la fretta.
18 secondi! Questo è il tempo che, secondo una recente indagine, il medico dedica, mediamente, all’ascolto di un paziente.
Non meno essenziale, in medicina, è la capacità, del medico, di parlare, di comunicare con il malato.
Oggi però, il medico, non ha più questa capacità.
Spesso non sa dire la cosa giusta, né sa quando è il momento di dirla, né, soprattutto, in che maniera dirla.
Spesso, piuttosto che dare certezze, la parola del medico genera, nel malato, ulteriori incertezze ed ulteriori apprensioni.
Per secoli l’arte medica si è costituita all’interno di un rapporto fiduciario tra medico e paziente: curare qualcuno significava 'prendersi cura' di qualcuno, cioè preoccuparsi per lui, averne a cuore la situazione all’interno di una relazione personale.
Il tempo del 'prendersi cura' dell’altro sembra, oggi, un tempo sprecato.
Il dialogo interpersonale non è un lusso per chi ha tempo, è una componente necessaria dell’arte medica.
Alcmeone, medico e filosofo della Magna Grecia, auspicava una alleanza tra il medico e il malato per sconfiggere insieme la malattia.
Questa alleanza tra il medico e il paziente è un fatto che va al di là di un semplice contratto d’opera, per quanto tecnicamente qualificata essa possa essere.
Il malato è infatti prima di tutto un uomo e pertanto non potrà mai essere solo 'un caso, un numero, un cliente'.
Seneca nei Benefici dice '…. se il medico non fa altro che tastarmi il polso e considerarmi uno dei tanti pazienti, prescrivendomi freddamente ciò che debbo fare o evitare, io non gli sono debitore di nulla, poiché egli in me non vede un amico ma solo un cliente…'
In altre parole il medico non può essere un freddo e distaccato prescrittore di farmaci ed esami ed un cinico esecutore di pratiche mediche.
Alberto Malliani, da me in precedenza citato, diceva che il mestiere del medico è solo in parte scientifico.
La techne, il sapere scientifico, non può bastare a riempire il cuore di un uomo, ma solo può colmarlo l’uso che se ne fa. I Greci chiamavano la medicina iatrikè téchne, in  contrapposizione a epistéme, considerandola come una specie di attività artigianale che opera la sintesi tra scienza, tecnica e arte.
A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso abbiamo assistito ad un progresso vertiginoso della medicina scientifica e tecnologica che ha portato a traguardi ritenuti, fino a qualche anno prima, irraggiungibili.
Nel traghettare la medicina da una forma per così dire tradizionale ad una medicina altamente tecnologica sono stati abbandonati i bagagli ritenuti ingombranti, ormai superati ed obsoleti, è subentrata una nuova visione della medicina, fatta di budget, vincoli economici, linee guida, protocolli, e sono entrati nel linguaggio sanitario termini aziendali , quali stabilimento, prodotto, profitto, fatturato, concorrenza. Ed in questo traghettamento, alla ricerca, talora spasmodica, di tecniche sempre più raffinate, di macchinari sempre più sofisticati e di una sempre maggiore competitività, è stato spesso dimenticato a terra il passeggero, il malato; e vittima di questa deriva è stato il comune senso di solidarietà umana, civile e sociale, radice dell’etica e della deontologia medica.
Oggi, spesso, il malato è diventato un incidente di percorso.
Quella del malato, nella medicina di oggi, non è più una collocazione centrale, ma marginale.
Il malato, spesso, non rappresenta più il fine della medicina, ma è diventato un mezzo per raggiungere altre finalità: benessere economico, potere, successo, carriera.
E’ stato dimostrato che un contributo alla formazione di un medico e ad una pratica più completa della medicina può venire dalla letteratura e dalle arti espressive.
Riccado Ascoli è un uomo di scienza e non è solo un medico: egli possiede una pregnante sensibilità artistica: e’un fotografo, un poeta, uno scrittore. E queste altre attività, che svolge magistralmente, lungi dal togliere qualcosa alla sua attività di medico, la hanno invece ulteriormente arricchita: egli ha saputo trasferire la sua sensibilità artistica nell’arte medica.
Si, perché la medicina, checchè se ne dica, è un’arte.
La medicina non è una scienza esatta. La medicina non è mai stata e non è neppure oggi una scienza. La clinica non può essere raffrontata alla sperimentazione fisica, è qualcosa di molto più complesso, in cui intervengono elementi oggettivi e soggettivi. La medicina esiste non perché esistono le malattie, ma perché gli uomini si sentono malati. E ogni malato è diverso dall’altro: ognuno ha la sua storia, i suoi problemi,- familiari, economici, esistenziali-.
In medicina, ogni caso, anche se semplice nell’apparenza, è, in realtà, quasi sempre complesso, perché riguarda un essere vivente unico e irripetibile, il cui stato di salute è il risultato di una serie di condizioni apparentemente infinita.
La medicina oggi sta riconoscendo la necessità di un approccio integrale alla persona umana, sia del paziente, ma anche del medico. Ne è testimonianza l’iniziativa di Lancet, una delle più autorevoli riviste scientifiche, che a partire dal gennaio 2008 ha dato il via a una 'rubrica' settimanale intitolata 'The art of medicine'. Nell’editoriale di presentazione si afferma: 'La maggior parte delle pagine di Lancet sono naturalmente dedicate alla ricerca scientifica e ai fondamenti tecnici che sostengono il progresso medico. Ma la medicina è influenzata da una serie di fattori che hanno poco a che fare con la scienza. Essa è un processo anche sociale e culturale, ed è condizionata da un inevitabile legame con la storia, la letteratura, l’etica, la religione e la filosofia: in breve, essa ha un’implicazione umanistica'.
Claude Bernard, grande scienziato del XIX secolo, che può essere senz’altro considerato come il padre della medicina moderna, scientifica, analitica, quantitativa, sperimentale, in vita sua non curò mai un malato.
Nonostante ciò si rese conto che la medicina non può essere solamente ricerca, scoperte scientifiche e progresso tecnologico.
Ed ammoniva : 'il materialismo uccide l’arte e la poesia, il sentimento. E in medicina occorrono due cose: la scienza e l’arte, la ragione e il sentimento.'
Riccardo Ascoli è un medico imperfetto. E non potrebbe essere diversamente: la medicina non è una scienza esatta e il medico è pur sempre un uomo!
Ma Riccardo è un medico che ha interpretato in modo perfetto il ruolo e il mestiere, mi piace definirlo così, del medico.
Egli è stato sempre un amico del malato, lo ha saputo ascoltare, lo ha saputo consigliare, lo ha saputo confortare. Non ha mai dimenticato che al centro del suo operare c’è, innanzitutto il malato, ognuno diverso dall’altro, ognuno con la sua storia.
Riccardo Ascoli ha una concezione sacra, direi sacerdotale della medicina.
Come i vecchi capitani di un tempo non ha mai abbandonato l’ammalato al suo destino: lo ha ascoltato, gli ha parlato e tante volte, in silenzio , lo ha confortato con la sua presenza.
Mi sovvengono, a proposito, le parole di questo breve componimento di Giorgio Mannacio: Amore e medicina.
'Un gesto breve:accostò la sua tempia alla mia,per sentire
se avessi la febbre e fui subito certo
che in quel momento non potevo morire.
La medicina è questa:una pazienza
insonne,trepida,quieta
vicino a chi ha perduto la speranza
di rivedere ancora la cometa'
Riccardo Ascoli è un medico dalla profonda umanità, difensore dei diritti dei più deboli, dei discriminati, degli emarginati, dei meno fortunati.
Vi leggo un altro passo del suo libro.
Una ragazza, già provata da un lutto familiare e preoccupata per la sua salute e per il futuro della sua esistenza, vaga spaesata alla ricerca di qualcuno che possa indirizzarla dove potere eseguire un importante esame diagnostico prescrittole in maniera fredda e burocratica, senza averle dato ulteriori spiegazioni e ragguagli.
…..'Col velo nero attorno all’ovale del volto una ragazza non sapeva a chi chiedere dove, quando e come avrebbe potuto eseguire l’indagine prescrittole.
Stancano i viaggi con le mete incerte. Meglio è allora accucciarsi su un pezzo di tavola in attesa del destino.
La ragazza , confusa, s’era seduta senza aspettare nessuno. Davanti a sé teneva il foglietto della prescrizione, quasi una richiesta d’elemosina. Uno la lesse, la inviò dove sapeva che qualche animo solidale le avrebbe fatto presto l’esame. La donna non tolse mai, fermi sul soccorritore, gli occhi nerissimi che luccicavano d’una riconoscenza incontenibile, sentimento fra i suoi più pigri per le discriminazioni magari sottili, magari invisibili, che la sua umanità subiva.
Il benefattore, con un dito, volle sfiorare la guancia della ragazza e il frantume di mondo che rappresentava'.
Grazie Riccardo, anche a nome dei tanti malati che nell’arco della tua vita professionale hai amichevolmente aiutato e sorretto.
Sarai stato pure un medico imperfetto, ma hai rappresentato per tutti loro ciò che dovrebbe essere un perfetto medico!   Giuseppe Abbita

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 Si riporta qui di seguito la presentazione di Turi Vasile

     Riccardo Ascoli è un medico in servizio permanente effettivo nel senso che non fa parte di quei laureati in medicina che non hanno mai, o quasi mai, esercitato la professione e si sono occupati di altro. Ne ho conosciuti tanti nel campo dello spettacolo che poi è il mio. Tra i più lontani nel tempo ricordo un valente regista teatrale, Giulio Pacuvio, che credo non avesse mai curato un paziente nonostante la sua brillante laurea in medicina e chirurgia. E, soprattutti, Enrico Fulchignoni, figura eminente della rivoluzione della scena italiana, che era medico psichiatra ma lavorò esclusivamente nello spettacolo meritando a tal punto da essere nominato direttore della Sezione Audiovisivi dell’Unesco, a Parigi. Tra i più recenti annovero Dino Risi, il noto regista cinematografico, che non ha mai esercitato la professione del medico, a somiglianza del fratello Nelo, finissimo poeta e cineasta, anche lui laureato nell’arte di Esculapio, e Antonio Pietrangeli, felice ritrattista, sullo schermo, di personaggi femminili.
Ho inoltre il sospetto di averne incontrati altri che mi hanno taciuto i loro effettivi titoli (tanto, in Italia, chi legittimamente e chi assai meno ci facciamo tutti chiamare dottori). Il loro ritegno era forse suggerito dal timore che sembrasse ingombrante una laurea in medicina e dintorni tanto da far supporre, la loro attività cinematografica o teatrale, come il rifugio da un fallimento. Per non restare nel campo dello spettacolo numerosissimi  sono insospettabilmente medici in tutte le attività professionali: per esempio Navarro, che fu portavoce del Papa.
Molti autori, poi anche importanti sul piano internazionale, sono invece dichiaratamente medici; vengono riportati, del recente passato, Axel Munthe, Anton Cecov, Archibald Cronin... Pochi tuttavia sono quelli che, come lo stesso Ascoli, professore universitario specialista in urologia, possono considerarsi, come ho detto, in servizio permanente effettivo in tutti e due i campi: quello scientifico e quello liberamente creativo. Tra coloro che, in questo, gli somigliano, ricordo Mario Tobino, narratore e poeta, impegnato a tempo pieno come psichiatra riuscendo contemporaneamente a trasferire nelle sue opere una esperienza umana frutto di partecipazione amorevole e di sottigliezza psicologica.  Lo stesso può dirsi di Giuseppe Bonaviri, esercitante cardiologo e scrittore ispirato da un realismo magico e da una fantasia visionaria.
Al di là delle frequentazioni personali ho acquisito la convinzione che i medici, scrittori o artisti, posseggono un notevole gusto estetico e una singolare capacità di introspezione psicologica. Sembra in tutti loro acuito quell’interesse per la persona umana che nella pura professione medica risulta talvolta disincantato per via della routine. I medici scrittori o artisti rappresenterebbero perciò una sorta di spiccato umanesimo, non quello della storia artistica e letteraria soprattutto del nostro paese, ma quello che pone al centro della curiosità e dell’attenzione non solo la creatura ma anche la persona umana appunto, con le sue speranze, i suoi sogni, le sue pene e i pensieri segreti relegati nei recessi della sua coscienza. Il corpo e l’animo, per non dire più impegnativamente l’anima.
Riccardo Ascoli si distingue per la varietà dei suoi interessi che confina con l’eclettismo. Egli è riconosciuto come narratore, saggista, commediografo e in più come competente studioso e sperimentatore del linguaggio delle immagini, dal cinema alla fotografia. Quest’ultima vocazione trova un curioso riscontro proprio in Sicilia dove Ascoli, romano, vive e opera: Giovanni Verga fu un infaticabile fotografo del realismo che letterariamente traduceva in verismo. E io stesso conosco e ammiro un altro personaggio, professore specializzato in chimica farmacologica, Giuseppe Pappalardo dell’Università di Catania, narratore ricco di umorismo e al tempo stesso fotografo, naturalmente in bianco e nero, d’eccezione. Sia in lui come in Ascoli ho molto apprezzato non solo il gusto raro della inquadratura, ma soprattutto l’evidente intenzione di rivelare quel che è al di là delle apparenze, di fotografare insomma l’invisibile. Un altro siciliano, Gesualdo Bufalino, ha addirittura creato, in un suo romanzo, il personaggio del fotografo cieco!
In particolare c’è in Ascoli la capacità di evidenziare quella incorruttibilità perenne che si cela dentro e dietro le forme apparenti. Nella seconda metà dell’Ottocento, quando l’invenzione della fotografia cominciò a imporsi, molti la considerarono enfaticamente come 'l’arte che vince la morte' nel senso che essa inchiodava, per la prima volta, uomini e cose in un fremito di vita perenne come riflesso in uno specchio e non più interpretato da artisti o artigiani.
Questa premessa intende introdurre alla lettura del testo Il medico imperfetto tenendo presente la molteplice personalità di Ascoli e la varietà delle sue esperienze. Ho un solo imbarazzo nel presentare l’opera: non so se classificarla come un saggio, come un romanzo o come una raccolta di novelle. Per fortuna non mi considero un critico letterario, ma solo un lettore, appassionato come in questo caso non per amicizia ma per convinzione. In ogni caso il testo che qui presento mi sembra, nel tentativo di definirlo, una miscellanea, oppure un brogliaccio, un giornale, un diario insomma. Vi compaiono gradevoli brani narrativi e riflessioni sgorgate dai fatti, ma anche dalle emozioni, dagli stati d’animo e dai frequenti ricordi che tracciano una riconoscibile linea biografica allineata, invece che cronologicamente, secondo i suggerimenti del momento, per associazione o per assimilazione. I corsivi che appaiono spesso costituiscono una specie di controcanto in cui l’io narrante si abbandona a riflessioni, a meditazioni e a nostalgie.
Non manca una raccolta di bozzetti e di aneddoti che chiariscono la missione quotidiana del medico fatta di studio, di impegno e di crisi; quadri di episodi, vissuti anche direttamente, contenenti personaggi evocati con sapienza narrativa. Abbiamo così modo di conoscere la vita dei medici anche dietro le quinte, i reciproci rapporti professionali e personali. Quelli coi pazienti sono descritti con naturale efficacia: le loro ansie, le loro apprensioni che si scopre essere spesso poca cosa al confronto con le angustie degli stessi medici quando essi sono colpiti da malattie. Tra i rischi della professione, oltre alle angosce per diagnosi o terapie problematiche, ci sono le accuse giudiziarie lanciate, a torto o a ragione, da pazienti e loro familiari insoddisfatti o delusi o che richiedono dalla medicina l’impossibile.
L’autore rivela una ricca vita sentimentale in episodi evocati con delicatezza. Molto bello è il ritorno di un antico amore; la donna che ne fu oggetto è mortificata da una mutilazione chirurgica al seno. L’amante di un tempo diventa medico dell’animo e le restituisce integra la sua immutata femminilità. Siamo così introdotti nei patimenti dei malati gravi, anche nella ostentazione (disperata) di un ottimismo che il medico sostiene: lo considera infatti  un coadiuvante della terapia.
Non mancano considerazioni, in apparenza futili, come la gustosa dissertazione sul calzino. Affiorano i ricordi degli amori giovanili, quelli dei compagni di scuola o di studio, perduti e poi provvidenzialmente ritrovati come Rallo, che riappare nel momento del bisogno. Si moltiplicano così storie che di solito potrebbero riempire la dimensione di un racconto e, più raramente, addirittura di un romanzo.
La vita sessuale vista dall’urologo e dallo scrittore ha un trattamento particolare. Tra il serio e l’ironico affiora il problema dell’erezione a cui il maschio affida la misura della sua virilità e a cui la femmina pone attenzione come segnale di affetto o, se la trova distratta, di disinteresse, quando invece non debba adoperarsi per una affettuosa consolazione.
Un capitolo è poi dedicato alla fecondazione assistita, spiegata da uno specialista con semplice prosa.
Soffusi di dolce malinconia sono i flash della memoria dedicati alla madre. In prossimità della sua morte anche lei partecipa alla nostalgia e rivede, non vaneggia, il pino del giardino con le fate sui rami, la sera... Turi Vasile

 

Autore Prof-Greco

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Inserito il 23 Novembre 2012 nella categoria Relazioni svolte