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Il Milazzismo, un'avventura di trasformismo politico

Sono in pochi oggi a ricordare il lontano 23 ottobre del 1958, quando Silvio Milazzo, inaspettatamente, fu eletto presidente della Regione Siciliana, al posto del candidato ufficiale della Dc. Ne ha parlato dettagliatamente lo storico Salvatore Bongiorno

Relatore: Prof. Salvatore Bongiorno

 L’OPERAZIONE MILAZZO

L’operazione Milazzo, come venne presto battezzata,su molti piani è metafora di una Sicilia, che nella sua battaglia autonomistica, sempre rivendicata e troppo poco riconosciuta, è certamente vittima di una evidente asimmetria tra le aspirazioni presunte dallo Statuto del 15 maggio del 46 ed i risultati conseguiti.Il terminemilazzismo prende il nome appunto da ciò che avvenne in Sicilia il 30 ottobre 1958, quando Silvio Milazzo deputato regionale della D.C. fu eletto presidente della Regione Siciliana con i voti dei partiti di destra e di sinistra, contro il candidato ufficiale del suo partito, al tempo guidato da Amintore Fanfani.Da allora il termine è stato usato per indicare una sorta di alchimia politica divenuta paradigma di trasversalismo, non mai passato di moda. Insomma un inciucio, un certo modo spregiudicato di intendere l’azione parlamentare, capace di mischiare il diavolo e l’acqua santa, democristiani e comunisti, con pezzi del neo partito fascista, il Msi.

In verità alla stagione milazzista sono state date molte e divergenti spiegazioni. La storiografia è divisa: alcuni storici di sinistra, e non solo, hanno generalmente dato un’interpretazione positiva del fenomeno, dipingendo quella esperienza in salsa autonomista come una rivolta della Sicilia nei confronti dello Stato accentratore. Altri studiosi sono giunti a conclusioni totalmente opposte, considerando il milazzismo, un fenomeno negativo non nato da motivazioni ideologiche ma da lotte interne alla DC e dagli interessi clientelari di alcuni esponenti politici che volevano mettere le mani sulla Cassa per il mezzogiorno e sui fondi destinati alla industrializzazione. Per altri ancora una manovra dell’ENI volta a ottenere tangibili i privilegi nelle concessioni di ricerca e di sfruttamento del petrolio e del metano e il riconoscimento di basse royalties. Senza farsi mancare tra l’altro gravi episodi di corruzione che infiammarono l’opinione pubblica e contribuirono a porre fine all’esperienza politica del movimento.

Per Ludovico Corrao, la svolta milazziana 'non fu l’impresa di intrallazzasti e avventurieri,[i]ma una politica contro gli steccati e gli ideologismi, in una Sicilia che affogava nei problemi e restava una specie di luogotenenza dell’impero romano che poco aveva a cuore i problemi dell’Isola che si chiamavano sviluppo e sicurezza[/i]… Solo la miopia e la faziosità politicapossono ancora blaterare di congiura di Palazzo per  ciò che è stato espresso dalla rivolta autonomista  del primo governo Milazzo e solo facendosi tardivi megafoni degli interessi colpiti, si può ancora trasmettere l’idea di un pasticcio in salsa siciliana'.

Lo storico Franco Nicastro ha scritto che 'ilMilazzismo, nato per tentare di liberare la Sicilia dall’egemonia romana, pian piano, provò a vendersi al migliore offerente, non essendo altro se non un miscuglio di idee, un prodotto di accordi, pattuizioni, compromessi in dispregio della volontà dell’elettore e sorretto anche da potenti famiglie mafiose di Palermo (i Bonta’) e di Trapani (i Rimi)'.Dino Grammatico che fu uno dei protagonisti di quel tempo scrive invece,  distinguendo comunque il primo governo milazziano dagli altri due, che 'Milazzo non solo non ha avuto alcun rapporto con la mafia, ma anzi prese una posizione durissima contro di essa  avviando e portando a termine nel giro di tre mesi l’inchiesta sull’Eras che documentò una chiara collusione tra mafia e pubblica amministrazione, mettendo sotto inchiesta quasi tutti i consorzi di bonifica, destituendo da presidente del Consorzio di bonifica del Birgi il dott. Ignazio Salvo in quanto eletto irregolarmente.'

Ciò è stato confermato da dichiarazioni presenti in taluni processi per mafia, in cui emerge chiaramente che, se anche ci sia stato inizialmente un sostegno al governo Milazzo da parte di alcuni elementi mafiosi e del gruppo Salvo-Cambria che curava la riscossione dei tributi in Sicilia, di fatto gli esattori di Salemi in qualche modo ebbero parte nella 'beffa delle Palme'. E, come contropartita al ritiro dell’appoggio a Milazzo, ottennero un trattamento di favore in materia esattoriale, da determinare in pochi anni una espansione economica senza precedenti dell’intero gruppo, scaricandola sui siciliani, che per molti anni pagheranno l’agio esattoriale più alto d’Italia.

Dunque Milazzo; un agrario cresciuto in campagna a contatto con i contadini,'mezzo barone emezzo villano', secondo la celebre definizione coniata dal giornalista FeliceChilanti.'Un politico debole e trasformista, uno strumento inconsapevole di faide all’interno della D.C. almeno nella prima fase, succube poi del PCI o di talune forze economiche', un demagogo-populista, oggi tanto di moda anche in Sicilia? Oppure un tribuno, un eroe popolare, un democristiano siciliano dall’anima separatista? Il personaggio non si presta a facili e univoche interpretazioni; articolati e forti gli interessi in campo, complessa la sua personalità, variegata la sua storia, plastici i suoi profili decisionali, tipici di una certa sicilianitudine, dovuta probabilmente alle tante dominazioni straniere e presente in qualche modo nell’animo di ogni siciliano.

Allievo di don Luigi Sturzo insieme all’amico d’infanzia Mario Scelba, nasce nel 1903 da una delle più eminenti famiglie di Caltagirone, figlio della baronessa Brigida Crescimanno e di Mario, esponente democratico-radicale, già sindaco di quella città. Sin dagli anni dell’adolescenza consolida il legame con don Luigi Sturzo, che lo aveva pure tenuto a battesimo e con Luigi La Rosa (1875-1952), ricco proprietario che nel Partito popolare era stato eletto al parlamento nel 1921 e nel 1924, poi dichiarato decaduto, essendo stato tra i deputati antifascisti aventiniani e costretto ad un volontario esilio in Francia.

Mentre il paese entra negli anni del regime, l’ancora ventenne Milazzo, dopo la partenza di Scelba per Roma nel 1922 e di Sturzo che dal novembre 1924 cominciava il lungo esilio all’estero, rimane a Caltagirone e diventa uno dei personaggi più apprezzati del movimento cattolico.Nel 1927, nella qualità di sindaco e di presidente dell’istituto bancario riesce a salvare la Cassa di San Giacomo, una banca cattolica fondata da Sturzo nel 1896 e impegnata nel piccolo e medio credito agrario e artigiano. Espulso nel 1939 dal Partito nazionale fascista e costretto ad allontanarsi temporaneamente dalla città per evitare le possibili violenze, con gli anni della guerra comincia una attività clandestina e sotterranea anche a Caltagirone dove, nel 1941, rientra grazie all’intervento di un influente diplomatico pontificio, il gesuita Pietro Tacchi Venturi. Con il gruppodirigente calatino che diventa, dopo l’occupazione alleata, un importante punto di riferimento per la ricostruzione del partito cattolico in Sicilia e con La Rosa nominato sindaco dagli alleati, Milazzo inizia l’opera di riorganizzazione del popolarismo e ben presto entra in conflitto con gli altri cattolici siciliani, che cominciavano a progettare nuovi percorsi politici.

Le divergenze emergono, infatti, fin dal primo incontro ufficiale, nel dicembre 1943 a Caltanissetta, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Alessi.In quella occasione si delinea una netta spaccatura tra una maggioranza guidata da Salvatore Aldisio, Bernardo Mattarella e lo stesso Alessi, e una minoranza guidata da La Rosa e da Milazzo. I primi  eranoschierati su posizioni unitarie sia rispetto alla questione istituzionale-nazionale che rispetto a quella del partito, invece i due popolari di Caltagirone si attestavano su posizioni filo-separatiste e propugnavano la nascita di un partito isolano (per il quale si proponeva il nome di Partito democratico siciliano o Partito popolare siciliano). La divisione di linea e di indirizzo è così profonda e senza uscita che l’irrequieto La Rosa,abbandona la Dc e confluisce nel 1943 nel Movimento per l’indipendenza siciliana.  Milazzo, probabilmente anche in seguito ai chiari pronunciamenti unitari di Don Sturzo, non lo segue sulla stradadell’indipendentismo, che pureavrebbe considerato elemento determinante per la conquista dell’autonomia della sua terra siciliana. Di fatto, negli anni che verranno non rimarrà insensibile rispetto all’elaborazione culturale diquesto suo secondo maestro e non mancheranno rapporti di amicizia e reciproca stima con elementi dispicco del separatismo, come Concetto Gallo, l’ex guerrigliero del capo indipendentista Antonio Canepa ucciso dai carabinieri sulla strada di Randazzoe con lo stesso capo carismatico del movimentismo sicilianista, Andrea FinocchiaroAprile.

Il suo ingresso nelle fila della Democrazia Cristiana non avviene immediatamente, ma solo nel novembre 1944 in occasione delCongresso regionale di Acireale, attraverso la mediazione di Mario Scelba, che avevaormai assunto un ruolo nazionale di primo piano. All’interno del partito siciliano Milazzo rappresenta da subito l’esponente di punta delcosiddetto 'gruppo calatino', ideologicamente legato al popolarismo, alla tradizione sturziana e ai suoitemi più caratterizzanti (anticomunismo, rapporto privilegiato con la Chiesa, difesadegli interessi agrari).Nel 1947, candidato per volontà e su sollecitazione diSturzo, Milazzo viene eletto come deputato all’Assemblearegionale siciliana,ricoprendo ininterrottamente fino al 1958 la carica di assessore regionale nei governidelle prime tre legislature.

Già dai primi anni cinquanta i problemi maggiori per Milazzo arrivano dai contrastiall’interno del suo stesso partito, dove la sua posizione, come quella degli altri notabili(Alessi, Restivo, Aldisio), è fortemente contestata e contrastata dagli uomini nuovi dellacorrente di Iniziativa democratica, guidata dal segretario nazionale Amintore Fanfani. Conquistata l’egemonia nella DC siciliana con Antonino Gullotti, Fanfani, che al tempo cumulava le cariche di segretario del partito, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, puntava a rinnovare l’apparato di un partito sempre più centralizzato e affidato a 'giovani rampanti professionisti' messi a dirigere le segreterie provinciali contro i vecchi della Dc siciliana, divenuti più sensibili alle esigenze regionaliste. In poco tempo Milazzo diventa capofila dell’autonomismopiù spinto, guadagnandosi per questo le simpatie e la considerazione politica di molti deputati regionali, anche dell’opposizione, e di quanti, per interesse o meno, erano stanchi di tutele e nuovi colonizzatori.

In Sicilia, in quel periodo le industrie del nord avevano saldi radici, i giacimenti di sali potassici erano stati concessi all’Edison e alla Montecatini, che già di suo imponeva i prezzi dello zucchero al mercato Italiano.Il 90% del cemento che si consumava era prodotto dalla Italcementi e tutto il petrolio di Ragusa era in mano alla GulfOil americana. Nel 1953, infatti, ad opera del colosso petrolifero americano era stato trovato il petrolio in quella parte della Sicilia e ciò aveva non solo aumentato l’ottimismo nell’isola ma anche l’immediato interesse della imprenditoria del nord, quella privata nella persona di Angelo Moratti e quella pubblica nella persona del presidente dell’ENI, Enrico Mattei, mal sopportato dal capo del governo regionale Franco Restivo, e dal gran guru della Democrazia Cristiana. Per don Luigi Sturzo, convinto che il monopolio privato era 'libertà mentre l’azienda di Stato, l’Eni, era socialismo incalzante'. Mattei, rappresentava un pericolo per la sua Democrazia Cristiana.

Mentre a Roma si approvava una legge con la quale la cassa del Mezzogiorno veniva autorizzata a contrarre prestiti all’estero per l’industrializzazione del Sud, l’isola è attraversata da persistenti refoli di inquietudine.I democristiani la fanno da padroni a Palazzo Reale, a Palermo, sede del parlamento siciliano; si diffondono i sogni di industrializzazione alimentati da Mattei, la riforma agraria prende avvio con non poche difficoltà dopo le lotte contadine, perché molti latifondisti, grazie alla connivenza di illustri cattedratici, di spregiudicati notai e notabili delle istituzioni erano riusciti a dividere le loro proprietà in piccoli lotti, poi trasferiti ad altri con vendite e donazioni spesso fittizie, trattenendo per se le terre migliori.

Il pentolone all’ombra di Montepellegrino ribolle di un micidiale miscuglio: intrighi, affari, intrecci economici, potere e naturalmente la mafia, che è nel suo momento di trapasso dagli affari della campagna a quelli della città ed è intrecciata a doppio filo con politici e amministratori. Pesanti incombono le ombre della violenza mafiosa assassina; i sindacalisti socialisti, Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale, i misteri di Portella della Ginestra, l’esecuzione mortale dell’arciprete di Gibellina, don Stefano Caronia che capeggiava le lotte dei contadini, Danilo Dolci, sociologo triestino trasferitosi a Trappeto che con le sue battaglie non violente subisce 'l’anatema del cardinale Ernesto Ruffini perché denunciava la cancrena dei poteri mafiosi'.Gli ampi poteri che erano stati riconosciuti alla regione con l’Autonomia, concessa per scongiurare il pericolo del separatismo, avevano innescato, con una buona base di eccessivo ottimismo, speranze di futurobenessere, ed era stata costituita dalle forze industriali isolane e prima ancora che industrie vere sorgessero, la Sicindustria. A reggerla per oltre un decennio sarà l’ingegnere Domenico (Mimì) La Cavera, noto anche alle cronache rosa per aver convolato a giuste nozze con l’allora famosa e bella attrice Eleonora Rossi Drago.

La Sicindustria in teoria doveva battersi perché protagonista e beneficiaria dello sfruttamento della ricchezza proveniente dalle risorse petrolifere, ancora da accertare, fosse la piccola e media industria siciliana, limitando, per quel che si poteva, spazi di intervento alla concorrenza privata settentrionale. In ciò era affiancata dalle Sinistre che sostenevano la necessità di impedire ai monopoli industriali del nord di accedere alle risorse finanziarie e alle materie prime della Regione.

Naturalmente gli effetti della scoperta del petrolio si proiettano immediatamente sul piano politico con i risultati delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale convocate per il 5-6 giugno 1955. L’elettorato sgombra il campo dai movimenti minori; la DC si rafforza, passando da 30 a 37 seggi così come, ma in misura minore il  PCI, il PSI, il PNM e il PLI, mentre il MSI, per dissensi interni si indebolisce perdendo due degli 11 seggi detenuti nella precedente legislatura. Al Centro rimane la DC, più forte ma non in grado di governare senza solide alleanze perché a sinistra vi è una opposizione sempre agguerrita e a destra liberali, monarchici e missini continuano a condizionarla.

Le elezioni del 1955 segnano il tramontodei classici governi di centro-destra e l’avvio di una turbinosa legislaturaclamorosamente aperta e ancor più clamorosamente chiusa sotto il segno di Milazzo. Il calatino vieneaddirittura eletto presidente della Regione dall’Assemblea nel corso della votazione del 21 luglio 1955, in una sorta di prova generale di quello che sarebbe successo annidopo, con una insolita convergenza dei voti di deputati di sinistra, destra e di partedella stessa DC.Milazzo in quella occasione non accetta l’investitura ma consolida ancor più la sua leaderschip nel gruppo democristiano, attestandosi su posizioniautonomistiche ed antifanfaniane e creando ulteriori elementi di instabilità in un partitogià lacerato e dilaniato dagli scontri tra le correnti e dalle pressioni di interessicontrastanti.

Il primo Governo della terza legislatura viene formato da Alessi con una formula centrista appoggiata dalla destra liberale, mentre alla presidenza dell’Assemblea Regionale viene eletto il fanfaniano Giuseppe La Loggia. Silvio Milazzo assume la responsabilità dell’assessorato all’Agricoltura e Foreste, uno dei più difficili per la presenza di quell’autentico bubbone rappresentato dall’ERAS, Ente per la Riforma Agraria in Sicilia, e dei consorzi di bonifica già esistenti, innaturale sviluppo della stessa agraria, la cui gestione era divenuta uno dei motivi di fondo della lotta ad oltranza fra Democrazia Cristiana e blocco di sinistra.

Il primo grosso scontro politico è dovuto all’azione economica del Governo, centrata sull’idea di un Piano quinquennale di sviluppo economico e sociale della Sicilia che si traduceva, in pratica, in un tentativo di programmazioneregionale.L’accusa della destra economica ad Alessi muoveva dal fatto che il suo governo aveva permesso l’ingresso dell’ENI in Sicilia e impedito che la Montecatini e la Edison ottenessero ancora importanti concessioni di ricerca dei sali potassici. Il Piano quinquennale costituiva, secondo gli oppositori di destra un espediente per impostare in senso dirigista la legge per l’industrializzazione, favorendo principalmente l’azienda di Stato di Mattei, sostenuta dalla Sicindustria, cioè dai vertici degli industriali siciliani, attraverso l’IRFIS. l’Istituto Regionale per il Finanziamento alle Industrie in Sicilia,preposto a finanziare le piccole e medie imprese siciliane nei vai settori lavorativi.

I monopoli privati temevano sostanzialmente che la calata dell’ENI in Sicilia avrebbe assottigliato la loro fetta di finanziamenti e, profittando della debolezza del Governo, che non possedeva una sua maggioranza politica ben definita, lo accusavano di sinistrismo per costringerlo a patteggiare con la destra liberale. Il disegno di industrializzazione rappresentava, insomma, motivo di scontro tra coloro che appoggiavano il Governo nel suo sforzo di programmazione e coloro che sostenevano la necessità di un’apertura economica più favorevole ai monopoli privati, guidati dal Presidente dell’Assemblea regionale, on. Giuseppe La Loggia.

Così il governo Alessi, nel giugno del ‘56 viene rovesciato e la direzione politica della DC, investita della disputa Alessi-La Loggia, si mostra favorevole allo scambio di posizioni; Alessi ottiene la presidenza dell’Assemblea regionale mentre La Loggia è eletto nel settembre dello stesso anno, sempre mediante l’apporto diretto delle destre, presidente della Regione. Tra le tante mediazioni, alla base del nuovo equilibrio vi è l’accordo sulla legge industriale che prevedeva la costituzione della Sofis, (Società per il Finanziamento dello Sviluppo in Sicilia) con la partecipazione maggioritaria della Regione (51% delle azioni).

Nata ufficialmente nel 1958, è storicamente la prima società finanziaria pubblica costituita in Italia; la Sicilia diventa 'Regione imprenditrice' chiamata, attraverso l’apparato dei partiti siciliani di allora, a gestire iniziative industriali, spesso discutibili.Dietro la Sofis ci sono i nomi di alcuni personaggi che per un abbondante trentennio condizioneranno la vita della Regione Siciliana, come l’avvocato Vito Guarrasi, il futuro senatore DC Graziano Verzotto, l’ingegnere Domenico La Cavera,il professor Francesco Pignatone teorico poi del milazzismo, l’avvocato Francesco Morgante (socio di minoranza della società Italkali), l’azienda partecipata ancora oggi dalla Regione, che gestisce l’estrazione e la commercializzazione dei sali minerali della Sicilia.

In altri termini la Sofis, attraverso i cosiddetti crediti partecipati, acquisiva quote ed azioni di società nate già fuori da logiche di mercato, aziende in difficoltà economiche, le quali venivano finanziate dalla stessa partecipata, che poi, invece di chiedere la restituzione delle somme prestate, acquistava le quote rimanenti delle suddette società. Pensata più per ragioni di spartizione politica e clientelare, e per come sarà strutturata, non poteva certo costituire lo strumento di attuazione di una legge destinata ad aprire alla Sicilia nuovi orizzonti. Rappresenterà infatti, per la Sicilia l’inizio di una delle fasi di grave involuzione che doveva sfociare in un vero e proprio scandalo finanziario ed economico.

Insomma un grande sperpero di risorse pubbliche, un carrazzone che alimenterà spesso interessi illegittimi, corruzione, malaffare e in cui frequenti saranno le iniziative imprenditoriali che sorte solo per usufruire dei finanziamenti erogati dalla Sofis. D’altra parte la Sofis interpretava, sotto il profilo economico e imprenditoriale, una perfetta forma di consociativismo fra i poteri all’interno del mondo politico siciliano e, infatti, nel Consiglio d’amministrazione vi erano politici segnalati dai partiti di destra, centro e di sinistra.

Ma, come sempre in Sicilia, i cui problemi non sono mai mancati, la soluzione di uno solo ne genera nel tempo tanti altri. Infatti con l’avvio della Sofis , la prima sfasatura si ha con la nomina del Consiglio di amministrazione della Società Finanziaria, dal quale il presidente della Regione on. La Loggia esclude l’ing. Domenico La Cavera, a seguito di un veto posto dall’on. Fanfani che aveva definito gli operatori economici siciliani 'pseudo-industriali'.

Sul nome di La Cavera, oltre il giudizio negativo di Fanfani, pesava l’opposizione di don Sturzo che non amava molto il disinvolto modernismo di Mattei, a cui era eccessivamente legato il presidente della Sicindustria. Ma anche l’ostilità, non cero taciuta di settori forti della Confindustria nazionale come la Montecatini e la Italcementi di Carlo Pesenti, ras del business del cemento, e non solo, nell’Italia del tempo. La Cavera pagava certo la sua vicinanza con l’ENI di Mattei e il fatto che più volte aveva rimproverato alle industrie del Nord di avere assorbito tutti i finanziamenti pubblici, senza dare nulla in cambio alla Sicilia, rifiutando persino lavoro agli industriali siciliani.

Tuttavia, secondo qualche scomodo analista, la sua defenestrazione andava oltre e toccava il centro nevralgico di certi equilibri, perché la vera sede di comando e di gestione dell’ente non era né il Consiglio di amministrazione, né il Comitato tecnico-consultivo, ma il Banco di Sicilia, che aveva inserito uno dei suoi più alti dirigenti ai vertici della partecipata. Il Banco aveva tutto l’interesse a espandersi, scaricando sulla nuovasocietà, e, indirettamente, sull’erario regionale, tutte le situazioni di rischio che allora intratteneva nel sistema della piccola e media industria.

Ma se il presidente della Sicindustria veniva così apertamente combattuto, il presidente della Giunta di governo non si trovava meno esposto di lui alle critiche e agli attacchi. A Roma più duro si era fatto il contrasto tra Fanfani e Scelba, a prescindere da Mattei, e in Sicilia, la Loggia, sostenuto da Fanfani, non poteva non subirne i riflessi negativi.La situazione economica dell’Isola è, peraltro, pesantissima: il sistema continua a garantire, come sempre, chi ha i mezzi, chi può fornire garanzie reali. A questo handicap vanno aggiunti il costo dell’energia elettrica, la debolezza della rete di distribuzione, la carenza di infrastrutture, un’agricoltura fortemente deficitaria, le iniziative industriali stagnanti, il commercio, il turismo, la pesca in serie difficoltà, così come gli equilibri politici. In seno alla DC esiste una forte opposizione all’on. La Loggia, espressa dalla cosiddetta forza 'alessiana' (15-16 deputati), contro i quali il fanfaniano on. Nino Gullotti, segretario regionale democristiano, tuona inutilmente, mentre cominciano a smarcarsi liberali, monarchici e i missini.

Nell’estate del ’58 il Governo La Loggia viene battuto sul bilancio e dopo tre mesi è costretto a dimettersi. È del tutto chiaro che la battaglia contro La Loggia non è soltanto una battaglia voluta dalla Sicindustria per la mancata nomina di La Cavera alla presidenza della So.Fi.S. o, in forma meno visibile, di Mattei, ma è la battaglia di Scelba e di don Sturzo contro Fanfani e va oltre i fatti siciliani.

Caduto il governo La Loggia, la battaglia politica si trasferisce all’interno della rappresentanza parlamentare democristiana, cui toccava la designazione del candidato alla Presidenza, profondamente divisa tra fanfaniani (Magrì, Lo Giudice, Gioia, La Loggia, Gullotti, Rubino, Carollo ecc..) e non fanfaniani (scelbiani, e alessiani). Al culmine di una lunga e intensastagione di tensioni tra governo nazionale e regionale, di scontri politici aspri dentro efuori la Democrazia Cristiana e di profonde divergenze tra i grandi attori economici(Confindustria, Sicindustria, Eni), il 23 ottobre l’Assemblea Regionale Siciliana aggira la scelta della DC ed elegge Milazzo con 54 su 89 votanti, mentre il designato on. Lo Giudice ottiene solo 27 voti e 7 schede risultano bianche.

Per Milazzo avevano votato il PCI, il PSI, il MSI, oltre ai 9 democristiani dissidenti, ma la DC non può accettare la sconfitta, avallando la sua elezione; per Fanfani non è tollerabile che un democristiano eletto da un’assemblea democratica con i voti politici determinanti del PCI possa rappresentare il suo partito. Silvio Milazzo, convocato d’urgenza presso la direzione del partito a Roma, riceve l’invito formale a dimettersi e, però, dopo una lunga riunione con gli amici Scelba e don Sturzo, risponde di non poterlo fare senza recare offesa all’Assemblea che lo aveva votato e 'alla sua anima siciliana'.

Espulso dalla DC da un furibondo Fanfani, tornato a Palermo forma un Governo a base assembleare e lo costituisce con la partecipazione del P.C.I. del PSI, del MSI e del gruppo dissidente democristiano, nel quale spicca l’on. Ludovico Corrao, poi divenuto senatore del PCI.'Alleati in nome dei superiori interessi dei siciliani', dissero allora il segretario regionale del partito comunista, Emanuele Macaluso e il capogruppo all’Ars del MSI Dino Grammatico. La situazione siciliana ha subito ripercussioni in seno al Consiglio nazionale della DC, in vista del Congresso che si sarebbe dovuto tenere a Firenze, dando un violento scossone alla posizione di Fanfani e alla potenza del suo apparato.Questo, del resto, era uno degli obiettivi dell’operazione a cui tendevano Don Sturzo e Scelba.

Ma Milazzo va oltre, ormai convinto di muoversi sul piano esclusivamente autonomista, fuori dagli schemi politici della partitocrazia e nella difesa dell’autonomia Regionale. Intanto compensa il principale alleato, decidendo di indire un concorso ad hoc per la nomina del direttore generale della Sofis per l’unico concorrente che possedesse i titoli per la partecipazione e cioè Domenico La Cavera. E poi sistema l’altro alleato, che aveva operato dietro le quinte, esentando l’ENI dal pagamento di metà delle royalties petrolifere, dietro generica assicurazione di un piano di nuovi investimenti da effettuare insieme alla Sofis. È il tempo in cui l’ENI vara i piani di ampliamento dei progetti di insediamento petrolchimico a Gela, attraverso l’Anic-Gela con la partecipazione azionaria della Sofis, fruendo di ingenti finanziamenti, parte a fondo perduto e parte a tasso agevolato e a pagamento differito.

In ogni caso la presidenza Milazzo aveva scatenato una esplosione emotiva in cui siaccumulavano il disagio di una Regione passata gradualmente dal miraggio delmiracolo industriale allo sconforto per i modesti risultati della riforma agraria. Aldi là del sogno di diventare il Texas italiano grazie all’oro nero, bisognava fare i conticon il presente di una terra ancora depressa che alimentava un crescente esodomigratorio. Presentando il programma del suo governo di coalizione, Milazzo, non a caso, ponel’accento sul suo carattere amministrativo, tanto da definirlo un 'governo diamministrazione', richiamandotutti i parlamentari alla 'necessità indilazionabile di servire nei limitidel possibile, con unità e dedizione, gli interessi della Sicilia'. L’accentuata avversione nei confronti della partitocrazia, la'Malasignoria' la cui degenerazione aveva compromesso l’autonomia, inquinato lademocrazia, lo porta arifiutare in questa fase la politicizzazione del suo movimento, che a suo avviso avrebbe dovutoassumere la forma di una libera unione di uomini che, senza alcuna distinzioneideologica, avessero come bandiera e fine la difesa dell’autonomia siciliana.

Il rancore verso la prepotenza di Roma e verso i monopolisti del Nord venuti a 'colonizzare' l’isola (entrambeultime incarnazioni degli eterni nemici dell’isola evocati dalla tradizionale vulgatasicilianista) trova in Milazzo 'il guerriero siciliano' pronto a scardinare schemi eantiche divisioni in nome delle comuni radici. La sua azione, nella sostanza, diventa una diretta contestazione al sistema dei partiti nazionali, che in nome di visioni ideologiche avevano messo in secondo piano gli interessi e le vocazioni del popolo siciliano. Ovviamente la questione non poteva riguardare solo la Sicilia e non estendersi verso altri piani, mettendo in discussione il leader della DC, Amintore Fanfani. In questo senso le cronache del tempo ci dicono che il caso Milazzo nasceva da questioni siciliane, ma conteneva, e ne era condizionato, gli scontri di potere romani per il governo del partito di maggioranza e per il governo del Paese.

Con la scadenza elettorale del 7 giugno 1959 per il rinnovo del parlamento siciliano, Milazzo, contrariamente al volere di Scelba, trasforma il movimento in partito l’USCS (Unione Siciliana Cristiano Sociale) e presenta liste proprie in tutte le provincie dell’isola.La campagna elettorale impostata dagli antimilazzianiè tutta diretta contro il tentativo di aprire le porte della Regione ai comunisti, sempre pronti a impadronirsi, secondo i dettami di Mosca, di ogni spazio possibile. E dire che i comunisti, pur essendo sostenitori di Milazzo, non avevano avuto neanche un assessorato, nel primo governo Milazzo, se non Paolo D’Antoni eletto da indipendente nella lista del PCI in provincia di Trapani. Contro Milazzo interviene duramente l’apparato nazionale della Democrazia cristiana, anche se, soprattutto per la questione siciliana, nel Congresso di Firenze Fanfani era stato esautorato (cambiare per continuare) e sostituito con Segni alla presidenza del consiglio e con Moro alla presidenza del partito.

Entra in campo pure il Sant’Uffizio; il segretario dello Stato vaticano,cardinale Ottaviani, non solo riconferma la scomunica a chi avrebbe votato per i comunisti ma la estende ai socialisti e ai cristiano-sociali di Sicilia, dove già il cardinale di Palermo, monsignor Ernesto Ruffini aveva emesso di suo una bolla di scomunica verso coloro che nell’isola avevano rotto con la DC. Faceva paura una rivolta siciliana che potesse accendere ulteriori incendi nelle altre regioni e creare ancora squilibri all’interno della Democrazia Cristiana, partito di governo e riferimento dei vescovi italiani.

I risultati  di una delle più dure campagne elettorali siciliane danno apparentemente una vittoria a Milazzo, ma in realtà si approda ad una sostanziale parità; la DC, per la quale si temeva una emorragia di voti in conseguenza della scissione cristiano-sociale, perde solo 3 seggi, il PCI e il PSI guadagnano qualcosa, il MSI, i liberali e i socialdemocratici mantengono le posizioni, mentre i monarchici subiscono un vero disastro.L’USCS ottiene 9 seggi, di cui 3 nella circoscrizione di Trapani, pari al 10,6% dei consensi, divenendo la terza forza politica dell’isola. Di fatto le elezioni confermano 'la scelta coraggiosa e sicilianista di Milazzo che ha messo in piedi un secondo partito cattolico', come disse il segretario dell’USCS, Francesco Pignatone, ma rendono più evidenti le contrapposizioni ideologiche nei confronti della D.C. Tra l’altro l’on. Ludovico Corrao, anima ideologica del milazzismo, non nasconde atteggiamenti sempre più spinti a sinistra e non solo sul piano della politica regionale, dato che si era avvicinato a personalità del comunismo internazionale, prima recandosi a Berlino Est e poi in visita da Kruscev, al quale porta in dono un suggestivo carrettino siciliano. Si era in piena guerra fredda con i due blocchi, gli Stati Uniti e i sovietici di Mosca, pericolosamente armati l’uno contro l’altro con i missili puntati su rispettivi territori; la rottura dell’unità politica della di DC, la nascita di un secondo partito che si definiva cattolico, il ruolo, anche se esterno, dei comunisti, alcune spregiudicate iniziative di politica estera inducevano i dirigenti democristiani a gridare nelle piazze che 'il governo Milazzo puntava a rendere la Sicilia una  specie di Cuba del Mediterraneo’’.

Parlando in Senato, lo stesso don Luigi Sturzo dichiarava di non comprendere più il comportamento di Silvio Milazzo, definendolo 'incosciente strumento nelle mani della sinistra e degli uomini che lo avevano circuito'. E Milazzo, indispettito, attraverso l’agenzia ANSA, osservava che don Luigi Sturzo 'da 39 anni manca dalla Sicilia, e in 39 anni molte cose, che sono cambiate, possono sfuggire al suo attento acume…A don Sturzo consento di dire tutto, ma debbo precisare che io mi sento soltanto strumento nelle mani del popolo siciliano'. Èil momento più critico del suo rapporto con Don Sturzo, rapporto che comunque non sarà mai rotto.

Sturzo che non aveva dato un effettivo consenso al Milazzo dell’Operazione, ma neppure mai lo aveva sconfessato, continuando a difenderlo anche quando la Direzione nazionale della DC lo aveva espulso dal partito, continuò, pur nel dissenso per la creazione dell’USCS, a colloquiare con Lui, dandogli consigli sulle iniziative legislative e amministrative da portare avanti, fino alla sua morte, che avvenne nell’agosto 1959. Gabriella Portalone nel suo scritto 'Sturzo e l’operazione Milazzo' afferma, su questa linea, che 'molte gerarchie della Chiesa, con in testa Don Luigi Sturzo, alla fine presero posizione contro Milazzo più per la condanna emessa dal Santo Uffizio che per la rottura dell’unità dei cattolici'.

I rapporti tra l’USCS e la D.C. comunque si inaspriscono sempre di più e il 21 luglio l’Assemblea Regionale Siciliana col voto determinante del PCI e del PSI, col disimpegno delle destre e con l’opposizione della DC, del PLI e del PSDI, elegge ancora una volta Milazzo alla presidenza della Regione con alcuni assessori indipendenti, staccatisi dal MSI, dai monarchici e dai socialdemocratici. Alla fine del 1959 il bilancio politico dell’annata sembra chiudersi a vantaggio di Silvio Milazzo, ma non mancano le difficoltà. La DC, che ha stentatamente conquistato la presidenza dell’Assemblea regionale ma si è lasciata battere nell’elezione della Giunta di Governo, da battaglia su tutti i fronti. Il Governo centrale ingaggia un vero braccio di ferro con quello regionale sulle questioni che riguardavano i rapporti Stato-Regione, disattendendo le richieste siciliane e temporeggiando sugli interventi di finanziamento.                                                                                                                                                                          

Così il 17 dicembre, non avendo ottenuto per un solo voto la fiducia sul bilancio, Milazzo si dimette. E anche se la nuova crisi viene risolta il giorno dopo con l’uscita di comunisti e socialisti e l’ingresso dei democristiani nella maggioranza e con una Assemblea Regionale, che concentra su Silvio Milazzo 50 voti, quattro in più della maggioranza di cartello, il nuovo governo mostra evidenti segni di cedimento e di precarietà. Milazzo, non senza polemiche e contrasti, tiene duro, non può fare altro, ma la DC è ormai lanciata con tutti i mezzi possibili a tornare al Governo, pagando, promettendo, ricattando, recuperando parlamentari nel mondo dei transfughi, ancora oggi un mondo sempre ben presente nelle rappresentanze politiche siciliane. Insomma una guerra tra bande.

In campo economico, intanto, le cose non andavano secondo le aspettative. La stampa della Confindustria martellava sul fatto che il capitale del Nord aveva impiantato in Sicilia alcune grandi imprese destinate a diventare la base di ulteriori sviluppi e che i politici avrebbero fatto bene a lasciare che imprenditori e dirigenti siciliani imparassero alla scuola dei grandi operatori del Settendrione. Milazzo rispondeva che 'i siciliani, dopo l’esperienza fatta con i baroni della terra non sentivano alcun bisogno di sperimentare il dominio dei baroni del’industria e dell’alta finanza , tanto è vero che stavano ottimamente difendendosi contro i tentativi dei baroni lombardi di colonizzare la loro terra. Gli operatori siciliani non avevano nulla da imparare dai colonizzatori milanesi!'  Sul piano politico il nuovo segretario regionale della DC, GiuseppeD’Angelo, aveva annunciato 'guerra ad oltranza' contro i cristiano-sociali e contro Milazzo, una guerra studiata a tavolino per essere sviluppata sul piano parlamentare e su quello extra-parlamentare. Da un lato si puntava a screditare Milazzo, facendolo apparire come asservito al PCI da cui traeva i voti per sostenersi al Governo e dall’altro si denunciava la sua sostanziale incapacità a risolvere i problemi di fondo dell’economia isolana. A queste polemiche si affiancavano le divergenze sui criteri di attuazione della legge industriale e ben presto lo stesso Milazzo si dovrà accorgere che l’intervento dell’ENI non aveva ben poco di diverso dall’intervento delle grandi industrie monopolistiche alle quali si attribuiva il piano di colonizzazione della Sicilia. 

Sotto questo profilo la DC ha gioco facile: il governo Milazzo, in effetti, aveva molto teorizzato in materia di industrializzazione, ma i fatti dimostravano che l’intero settore della piccola e media industria, per sostenere la quale era stata costituita la Sofis, si dibatteva in una crisi gravissima. Un’altra accusa, e ancor più pesante, rivolta a Milazzo e ai cristianosociali era quella di reggersi sulla corruzione politica, sull’affarismo e di finanziarsi soprattutto attraverso il settore dei lavori pubblici, controllato dall’on. Corrao. E ciò spiegava come i deputati venivano comprati a moneta sonante alla vigilia di ogni votazione, a cominciare dalla sua perentoria rielezione.

La tensione giunge al massimo tra il 3 e il 4 febbraio 1960, quando appare ormai certo che i monarchici avrebbero recuperato i due deputati passati con Milazzo e che la DC avrebbe convinto l’on. Benedetto Majorana della Nicchiara ad accettare di far parte della équipe che avrebbe rovesciato definitivamente il governo milazziano. Il colpo gobbo però, è giocato drammaticamente qualche giorno dopo, nel più noto ritrovo di politici, imprenditori e mafiosi, servizi segreti che si incontravano a Palermo: l’Hotel delle Palme. Le palme o meglio il Gran Hotel et despalmes, epicentro della vita politica palermitana, ancora oggi 'sembra un albergo vittoriano di Birmingham trasportato di peso nella capitale siciliana da un erede dei vicerè spagnoli'.                                                                                                                            Ed è in una delle stanze liberty dell’Hotel desPalmes, in via Roma, che a Milazzo'cunzarono a aggia', prepararono la trappola. Siamo nel 1960 e il democristiano on. Carmelo Santalco è l’uomo che il segretario regionale scudocrociato, on D’Angelo, manda in una missione da 007, con il compito  di fingere di essere disponibile a 'vendersi' a Silvio Milazzo, contattandoproprio LudovicoCorrao, l’avvocato alcamese, l’ideologo del nuovo movimento cattolico, di certo l’uomo più discusso delmilazzismo. Il 15 febbraio 1960, Carmelo Santalco, un deputato vicino all’on D’angelo e che di mestiere faceva il capostazione a Barcellona Pozzo di Gotto, ad inizio dei lavori assembleari, dichiarava di essere stato oggetto di un tentativo di corruzione in una stanza dell’Hotel delle Palme da parte dell’on Corrao, il quale, insieme all’onorevole comunista Vincenzo Marraro gli avevano offerto 70 milioni per passare dalla DC all’USCS  e altri 30 per l’adesione di altri due deputati DC.Il parlamentare democristiano precisava, inoltre, di aver ottenuto da Corrao, come favore personale richiestogli, la nomina nella Commissione di controllo della Provincia di Messina di tale Signorino Scarlata (in realtà, si trattava di un contadino analfabeta della provincia di Enna alle dipendenze dell’on. D’Angelo).Oltre il danno, la beffa.Infine, puntualizzava di avere in suo possesso altri documenti regolarmente firmati da Corrao e da Marraro che comprovavano la tentata corruzione. Documenti con i quali Corrao, nella sua qualità di esponente dell’USCS, si impegnava a fare eleggere Santalco assessore ai Lavori Pubblici e assessori al Lavoro e alla Sanità i due deputati che Santalco avrebbe segnalato, mentre l’on. Marraro, a nome del PCI, scagionava il Santalco, detto l’onorevole dieci per cento, dalle accuse mossegli dal PCI di essere stato un amministratore corrotto alla Provincia di Messina. Subito dopo, chiedendo di parlare, Corrao consegnava al Presidente dell’Assemblea Regionale una lettera anonima nella quale lo si avvertiva che gli onorevoli D’Angelo e Santalco stavano tramando qualcosa contro di lui, considerato che alcuni giorni prima più volte il deputato messinese gli aveva chiesto di essere ricevuto. Invocava una Commissione di inchiesta, che, come al solito, salomonicamente, non approderà a nulla e annunciava le proprie dimissioni da assessore. Ormai non c’era più niente da fare. Il nuovo segretario regionale della Democrazia Cristiana, non soltanto aveva fatto un ricorso a fondi speciali e trovato nei cugini Salvo, noti uomini di mafia, finanziatori pronti a pagare i deputati per tradire Milazzo, ma aveva coinvolto nell’operazione la segreteria nazionale, che aveva allertato  ilSifar, il servizio segreto. E, infatti, l’hotel delle Palme quel giorno era pieno di poliziotti e di registratori. Cadeva così il governo Milazzo e i giornali dell’epoca scrissero che 'era stato travolto da un’ondata di fango e di corruzione.' Lo scandalo, ordito cinicamente dai vertici democristiani per chiudere l’esperienza milazzista, la consegnavaalla storia come deteriore espressione di affarismo, trasformismo eopportunismo, ritorcendole contro le accuse di immoralità politica checon forza erano state scagliate nei mesi precedenti in direzione degli esponenti regionalidella DC. Tramontava così nel peggiore dei modi il milazzismo, 'ultimo tentativo panormita di imporre all’Italia il potere siciliano, abbattendo per l’occasione quello democristiano', come scrisse Pietro Zullino.

Un cronista del tempo annotò su un giornale che 'l’Assemblea regionale era stata trasformata in un Luna Park'. Comunque lo spettacolo era finito. Il braccio di ferro tra DC e USCS, che aveva registrato dall’una e dall’altra parte la corsa frenetica all’acquisto a qualsiasi prezzo di deputati disposti a sostenere le loro cause, consegnava la vittoria alla DC, aiutata validamente dalle destre. L’on. Benedetto Majorana della Nicchiara viene eletto presidente della Regione e assessor i 'itraditori', Spanò, Barone, Paternò e Pivetti. Ovviamente si trattava di un Governo che non poteva avere durata; infatti, venne rovesciato quasi subito dalla stessa DC. Era però servito a liquidare Milazzo e qualcuno disse che era anche la vendetta di Fanfani. A parte sporadiche apparizioni, Silvio Milazzo, sconfitto e amareggiato chiuse la sua avventura politica e politiche e si ritirònella sua tenuta calatina di campagna, Il Noce, dove morì nel 1982. Oggi rimane ancora irrisolta la domanda se l’operazione Milazzo fu davvero concepita con un mezzo per sostanziare politicamente ed economicamente l’autonomia siciliana o fu altro.

Ha scritto Francesco Renda che lo Statuto siciliano è stato 'incentrato sul riparazionismo e cioè la previsione di strumenti di risarcimento per i danni provocati dal 1860 alla Sicilia dalle politiche centraliste dei governi di Roma e sulla autosufficienza ossia dell’autonomia intesa come esercizio nell’isola di tutte o quasi tutte le funzioni svolte dallo Stato in campo nazionale'. A più di sessanta anni dobbiamo riconoscere che lo Statuto siciliano è stato di fatto fin dal suo sorgere smantellato e destrutturato. Quel che certamente i siciliani, che si sono battuti per l’autonomia, non si attendevano è che una volta consacrato sul piano della legislazione nazionale, esso venisse progressivamente ed incessantemente svuotato (vedi gli art. 36, 37, 38 dello Statuto) dall’assenza o dalla portata riduttiva delle norme di attuazione dello statuto imposte dal dalle pronunce della Corte Costituzionale, dall’invasivo legislatore nazionale prima e comunitario dopo e soprattutto dall’inerzia colpevole dei governanti della stessa Regione che hanno svilito i tratti qualificanti dell’Autonomia, rinunciando spesso unilateralmente all’esercizio delle proprie molteplici prerogative.

In tale contesto lo Statuto ha assunto una connotazione impropria e paradossalmente contraria agli interessi che doveva tutelare.  A causa della povertà etica e culturale di una classe politica, sempre più simile ad una dominazione baronale, lo Statuto paradossalmente ha avuto lo stesso effetto indesiderato della muraglia cinese, che concepita per difendere il territorio cinese ne è divenuta causa di isolamento. Così lo strumento rivendicato e ottenuto dalla Sicilia per promuovere il suo sviluppo ed il superamento del divario sociale ed economico, è divenuto, a causa del cattivo utilizzo delle prerogative autonomistiche e dei meccanismi regolativi ad esso correlati, uno strumento che ha determinato effetti pregiudizievoli sui siciliani, innescando ingiustificati ritardi alle necessarie riforme. 'Il sistema politico siciliano ha conciato così la Sicilia non realizzando a pieno la sua autonomia, perché fin dal primo momento che fu concesso lo Statuto  furono messe in atto tutte le strategie possibili ed immaginabili per svuotarlo di senso, significato ed agibilità. E contro il volere della Costituzione i gruppi monopolistici del nord e la classe politica romana insieme agli ascari della politica siciliana hanno sterilizzato le prospettive atonomistiche. Tuttora è fondamentalmente così, niente è cambiato' ha scritto, qualche anno prima della sua tragica morte, l’on. Ludovico Corrao.   Credo che molti siciliani da tempo la pensino nello stesso modo.

 

[b]Bibliografia[/b]

 

 

AA.VV., Il Milazzismo, Istituto socialista di studi storici, Messina, 1980.

 

Bartoncelli Marianna di Altamira, Nuvola Rossa, Flaccovio Editore, Palermo 2006

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MacalusoEmanuele, 50 anni nel PCI, Rubettino, Soveria Mannelli 2003.

Menighetti R. Nicastro F, L’eresia di Milazzo, Salvatore Sciascia Ed, Caltanissetta-Roma 2000.

NicastroFranco, Esule in patria: Luigi Sturzo nella politica nazionale e regionale del dopoguerra. Il milazzismo, Ila Palma, Palermo 2010.

NicastroFranco, L’USCS in fumo. La fine del milazzismo e dei suoi derivati, Salvatore Sciascia Editore, 2014.

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Portalone Gabriella, Sturzo e l’operazione Milazzo, Leo S.Olschki ed, Firenze 2005

Renda Francesco, Storia della Sicilia, Sellerio editore, Palermo 1987

Rossi Ernesto, I padroni del vapore, Kaos Edizioni, Milano 2001

Spampinato Alberto, Operazione Milazzo, Flaccovio Editore, Palermo 1979

Tocco Matteo G, Libro nero di Sicilia, Sugar Editore, Milano 1972

 

 

  

Immagine riferita a: Il Milazzismo, un'avventura di trasformismo politico

Autore Prof-Greco

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Inserito il 24 Gennaio 2020 nella categoria Relazioni svolte