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Inaugurato l'Anno Accademico 2011-2012

Mons. Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo ha avviato l'attività didattica dell'Università con la 'Lectio Magistralis' su 'L'impegno della Chiesa nella nascita e nello sviluppo dello Stato italiano'

Relatore: S.E. Domenico Mogavero - Vescovo di Mazara del Vallo

Relazione integrale

Immagine riferita a: Inaugurato l'Anno Accademico 2011-2012

      In questo 150° anniversario dell’unità d’Italia si sta portando avanti lodevolmente una riflessione a tutto campo sul fatto, sulle sue motivazioni, sulle implicanze, sui protagonisti. Il rischio della retorica e dell’enfasi rimane alto, come in ogni commemorazione, anche se la situazione attuale del Paese impone a tutti una attenzione e un rispetto per l’unità nazionale, dettati dall’urgenza e dalla responsabilità di frenare il declino del Paese, affinché mentre se ne celebrano i fasti unitari, non si debba, quasi nello stesso tempo, certificare la fine del sogno che animò i padri fondatori e, particolarmente, coloro che dettero alla causa dell’unificazione un contributo determinante di pensiero e una testimonianza di sangue. In tale ottica, perciò, ritengo che oggi venga chiesto a tutti di fare memoria degli eventi che portarono all’unità nazionale, ma nello stesso tempo di guardare avanti con atteggiamento progettuale in modo da dare nuovo slancio a un Paese che sembra aver smarrito il filo degli ideali nazionali, stretto in anguste visioni di parte che non giovano ad alcuno e, meno che mai, a coloro che pensano di sopravvivere al grave degrado che è sotto gli occhi di tutti.

Immagine riferita a: Inaugurato l'Anno Accademico 2011-2012 Al fervore di riflessione non si è sottratta la comunità ecclesiale che ha valorizzato la ricorrenza anniversaria per rileggere quegli eventi e per evidenziare il contributo dato dai cattolici alla causa dell’unità nazionale e l’assunzione di responsabilità dirette e indirette che gli stessi nel tempo hanno maturato, evidenziando in tal modo di saper coniugare la condizione di fedele cristiano membro della Chiesa e quella di cittadino italiano a pieno titolo.
 In queste mie considerazioni, perciò, cercherò di sottolineare l’apporto dei cattolici nella fase fondativa e il contributo da essi offerto nel dare al Paese una identità e delle idealità in linea con la sua storia, la sua cultura e i valori di un umanesimo dalle radici cristiane.

Immagine riferita a: Inaugurato l'Anno Accademico 2011-20121. L’eventualità che l’unità d’Italia potesse essere perseguita senza o contro i cattolici era più che reale, a motivo della singolare situazione italiana nella quale, come ben sappiamo, la Chiesa non era solo una comunità di fede, speranza e carità guidata dai propri pastori, ma costituiva anche una entità politica rappresentata dallo Stato della Chiesa che riuniva circa un terzo del territorio nazionale. E come sempre ci fu qualcuno che tentò di incuneare il grimaldello della divisione all’interno del mondo cattolico, ponendo il dilemma imbarazzante: o cattolico, o italiano. Sicuramente furono tempi di grande travaglio di pensiero e di atteggiamenti, particolarmente in talune fasi cruciali nelle quali la linea di condotta e gli obiettivi indicati anche dal Papa conobbero fasi di incertezza e, perché no, di strumentalizzazione.
 Un ruolo importante fu assunto, nondimeno, da grandi e illuminati uomini di pensiero, laici ed ecclesiastici, che seppero guardare avanti, superando visioni ristrette e mettendo nel conto un valore che, nei decenni successivi all’unificazione, pur con alterne vicende, si andò sempre più affermando e consolidando e cioè la salvaguardia della libertà della Chiesa a fronte di forme grigie di compromissione con le cose temporali.
 Cito a solo titolo esemplificativo, ma rappresentativo di un filone di cattolicesimo, definito liberale, il filosofo Antonio Rosmini, a cui si deve un disegno federalista, motivato dalla particolare articolazione naturale, storica e culturale dell’Italia, nella quale il progetto unificante doveva calarsi, appunto, in una realtà molto variegata, nella quale non erano accidentali la presenza e il ruolo del Papa, capo della Chiesa e capo di stato.

Immagine riferita a: Inaugurato l'Anno Accademico 2011-2012Scriveva il Rosmini nel saggio Sull’unità d’Italia (1848): 'Non trattasi di organizzare un’Italia immaginaria, ma l’Italia reale colla sua schiena dell’Appennino nel mezzo, colle sue maremme, colla sua figura di stivale, colla varietà delle sue stirpi non fuse ancora in una sola, colle differenze dei suoi climi, delle sue consuetudini, delle sue educazioni, dei suoi governi, dei suoi cento dialetti, fedeli rappresentanti della sociale nostra condizione. Delle quali varietà e differenze alcune si andranno diminuendo, forse anche annullando col tempo. […] Ad ottenere così desiderabile effetto, il mezzo più efficace di tutti, il primo, quello che comprende tutti gli altri come loro causa, è indubbiamente l’unità politica della intera Penisola'. La composizione di unità e varietà era intravista dal Rosmini, come si diceva, nella struttura di uno stato federalista, che solo sembrava potesse valorizzare l’unità e le varietà.
 Il lungo cammino dell’unificazione, però, produsse forti turbamenti nel mondo cattolico a seguito della presa di Roma con la breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870. Da lì iniziò un percorso travagliato e tortuoso che impegnò per decenni i grandi uomini del tempo nella ricerca di una soluzione, culturale e politica a un tempo, che prendesse atto dell’irreversibile cammino della storia, ma nello stesso tempo rispettasse la presenza in Italia del Papa e di una realtà spirituale che in diversi frangenti della storia era rimasto l’unico baluardo per la difesa della libertà, della cultura e dei diritti delle persone. L’approdo fu la conciliazione tra Stato e Chiesa, dell’11 febbraio 1929, che pose fine a decenni di grandi lacerazioni interiori in coloro, particolarmente, che non ritenevano inconciliabile l’appartenenza allo stato unitario e la condizione di fedele. Sarebbe veramente lungo, ma purtroppo arido, l’elenco di tutti coloro che nella Chiesa dettero il loro qualificato contributo affinché, a piccoli passi, si superasse il muro dell’ostilità e si pervenisse alla pacificazione degli animi e alla concordia degli intenti. È interessante vedere come il Papa Pio XI lesse la conclusione della questione romana due giorni dopo, il 13 febbraio 1929, in un discorso rivolto a professori e studenti dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano: 'Le condizioni dunque della religione in Italia non si potevano regolare senza un previo accordo dei due poteri, previo accordo a cui si opponeva la condizione della Chiesa in Italia. Dunque per far luogo al Trattato dovevano risanarsi le condizioni, mentre per risanare le condizioni stesse occorreva il Concordato. E allora? La soluzione non era facile, ma dobbiamo ringraziare il Signore di averCela fatta vedere e di aver potuto farla vedere anche agli altri. La soluzione era di far camminare le due cose di pari passo. E così, insieme al Trattato, si è studiato un Concordato propriamente detto e si è potuto rivedere e rimaneggiare e, fino ai limiti del possibile, riordinare e regolare tutta quella immensa farragine di leggi tutte direttamente o indirettamente contrarie ai diritti e alle prerogative della Chiesa, delle persone e delle cose della Chiesa; tutto un viluppo di cose, una massa veramente così vasta, così complicata, così difficile, da dare qualche volta addirittura le vertigini. […] E con la grazia di Dio, con molta pazienza, con molto lavoro, con l’incontro di molti e nobili assecondamenti, siamo riusciti «tamquam per medium profundam eundo» a conchiudere un Concordato che, se non è il migliore di quanti se ne possono fare, è certo tra i migliori che si sono fin qua fatti; ed è con profonda compiacenza che crediamo di avere con esso ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio' .(Allocuzione Vogliamo anzitutto) .
      Circa trent’anni dopo, il card. Giambattista Montini, futuro Paolo VI, il 20 settembre 1962 così interpretava gli eventi di Porta Pia: '«La Provvidenza aveva diversamente disposto le cose. Il Concilio Vaticano I aveva da pochi giorni proclamata somma e infallibile l’autorità spirituale di quel Papa che praticamente perdeva in quel fatale momento la sua autorità tem Il Papa usciva glorioso dal Vaticano I per la definizione dogmatica delle sue supreme potestà nella Chiesa, e usciva umiliato per la perdita delle potestà temporali. Ma fu allora che il papato riprese con inusitato vigore le sue funzione di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione morale sul mondo».

Immagine riferita a: Inaugurato l'Anno Accademico 2011-20122. Altro capitolo interessantissimo di questa storia è quello riguardante l’apporto del mondo cattolico alla resistenza contro il regime fascista e alla nascita dello stato repubblicano, fondato sulla costituzione democratica. Ci sono pagine veramente luminose, forse lasciate un po’ in penombra all’interno di letture strumentali di quegli anni, ma che di recente sono state fatte emergere in tutta la loro vibrante significatività particolarmente per quei testimoni che, anche a prezzo della loro vita, hanno manifestato che l’amore alla propria fede non era alternativo allo spirito di patria.
 Un grande ruolo hanno avuto anche quanti hanno messo insieme la militanza politica con la preparazione culturale animata dalla fede, partecipando al dibattito e al lavoro che portò alla redazione della Carta costituzionale e alla configurazione repubblicana dello Stato. Ricordo solo alcuni nomi: don Sturzo, De Gasperi, Lazzati, La Pira e Dossetti, persone diverse per storia personale, sensibilità e cultura, ma animati dalla stessa passione per la persona e per il bene e per una visione della laicità costruttiva e dialogante, che sola costruisce e compone le diversità. Per capire quale profondità di intuizioni e quale forza persuasiva avevano questi uomini, mi piace leggervi un breve passo di un discorso tenuto da La Pira all’Assemblea costituente in seduta plenaria l’11 marzo 1947: Vogliamo uno '1° Stato unitario: si: ma di quella unità che rispetta, integrandola, la pluralità di cui la società consta: di quella unità, cioè, che coordina, armonizza, corregge, non viola o estingue gli organismi spontanei che la costituiscono. […] Quindi uno stato che è consapevole dei suoi fini e dei suoi limiti: unitario ma non totalitario[…];' uno '2° Stato democratico: sì, proprio perché rispettoso del pluralismo degli organismi che lo costituiscono. Quindi democratico nel senso non solo roussoiano - tutti i cittadini partecipano ordinatamente alla formazione della legge e alla direzione politica dello stato - ma anche nel senso che i cittadini sono membri attivi di tutto quel tessuto di comunità che fa del corpo sociale un corpo ampiamente articolato e differenziato, una democrazia organica, diversa da quella individualista. Democrazia nello stato, democrazia nella comunità professionale, nella comunità di lavoro, nella comunità territoriale e cosi via; […] vogliamo uno Stato che […] si ispiri a quel grande principio della libertà delle coscienze che è un principio essenziale dei cristianesimo'.

Immagine riferita a: Inaugurato l'Anno Accademico 2011-20123. E veniamo ai nostri giorni. Ormai le tensioni, le incomprensioni, le contrapposizioni tra cattolici e laici, retaggio della fine del potere temporale dei Papi, costituiscono solamente un reperto consegnato alla storia. I cattolici sono e si sentono pienamente cittadini, con una cittadinanza attiva che li pone protagonisti a pieno titolo della vita e del bene del Paese. Anzi, a buon diritto, proprio in occasione di questo anniversario, non hanno avuto remore nel definirsi 'soci fondatori di questo Paese' (Card. A. BAGNASCO, Saluto al X Forum del progetto culturale della CEI, 2 dicembre 2010), desiderosi di continuare a collaborare efficacemente al suo benessere presente e al suo sviluppo futuro, consapevoli di partecipare così alla costruzione del bene comune.
 Se, poi, come mi sembra opportuno, usciamo dalle considerazioni generiche che riguardano l’Italia nel suo complesso e ci rivolgiamo alla nostra Sicilia e al nostro territorio in particolare, allora il discorso diventa più circostanziato e, probabilmente, più efficace, ma anche più impegnativo.

4. Guardiamo anzitutto al nostro Mezzogiorno.
Un fattore di rilievo è rappresentato dalla nuova centralità del Mediterraneo e dei movimenti che si registrano al suo interno, tra i quali si segnalano il cambiamento del 'rapporto con le sponde orientali e meridionali del Mediterraneo', nonché 'la massiccia immigrazione'. Tutto questo ha esaltato la posizione del Sud in ordine a 'nuove forme di solidarietà' e gli ha conferito il ruolo di 'laboratorio ecclesiale' all’interno del quale occuparsi non solo dell’emergenza legata all’accoglienza, ma soprattutto di operare un discernimento cristiano del fenomeno, alla luce del quale identificare 'un percorso di giustizia e promozione umana e un incontro con le religioni professate dagli immigrati e dai profughi' (CEI, Per un Paese solidale. Chiesa italiana e  Mezzogiorno, n. 4). Mi preme fare presente che su questo versante, accanto a belle testimonianze di prossimità solidale (penso alle fatiche e ai rischi affrontati dagli uomini della Guardia costiera e dagli equipaggi dei motopesca mazaresi), si devono purtroppo annotare le assurde e devastanti conseguenze derivanti dalla prassi dei respingimenti, sanciti con norme che conculcano il diritto umanitario internazionale e contro le quali si sono levate, purtroppo, poche e isolate voci. Personalmente vivo molto male questo stato di cose e avverto con grande sofferenza il distacco con cui tante componenti ecclesiali del nostro Paese si accostano a questa problematica. Al contrario la questione mediterranea è guardata con estremo interesse da Chiese e popoli che non hanno dimenticato la funzione unitiva del Mare nostrum nell’incontro di civiltà, di culture, di sviluppo e progresso e di religioni diverse, accomunate queste ultime dalla medesima passione per l’uomo nella luce di Dio. In questa prospettiva si comprende meglio la tesi del documento CEI che considera il Mediterraneo 'una vera e propria opzione strategica per il Mezzogiorno e per tutto il Paese, inserito nel cammino europeo e aperto al mondo globalizzato' (n. 7). Mi pare che questa indicazione apra delle prospettive ricche di potenziali evoluzioni, capaci di imprimere una significativa accelerazione alla domanda di sviluppo e di progresso delle regioni meridionali, accompagnate da un nuovo protagonismo del Sud, che rimane fuori dagli orizzonti dell’attuale classe politica nazionale e regionale. La realizzazione di tale opzione è, in ogni caso, legata al superamento delle fragilità e debolezze del sistema Mezzogiorno, in particolare della sua scarsa capacità progettuale e della, in taluni casi, insuperabile mancanza di sicurezza.
E veniamo a un nodo assai cruciale e atteso. Ogni pronunciamento sul Mezzogiorno sembra parziale e incompleto fino a quando non affronta il tema della criminalità organizzata, nelle accezioni proprie delle singole regioni: mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita. Ebbene, il nostro documento non delude le attese e tratta con grande franchezza e onestà intellettuale quella che definisce 'una piaga profonda' (n. 9), riprendendo pronunciamenti precedenti dell’Episcopato italiano e di episcopati regionali, oltre ovviamente all’intervento di 'straordinaria forza profetica' di Giovanni Paolo II ad Agrigento nella Valle dei Templi il 9 maggio 1993. Il documento evidenzia non solo gli aspetti culturali, sociali ed economici della criminalità mafiosa, ma anche le implicanze religiose e morali, e ciò al fine 'di offrire un contributo specifico alla formazione di una rinnovata coscienza cristiana e civile' (n. 9). In questo contesto i Vescovi ricordano i testimoni che hanno pagato con il sangue il loro impegno civile e professionale contro la malavita organizzata e tra questi citano espressamente don Pino Puglisi, don Giuseppe Diana e il giudice Rosario Livatino che hanno armato 'il loro animo di eroico coraggio per non arrendersi al male' e si sono consegnati 'con tutto il cuore a Dio' (n. 9). Nello stesso tempo, però, il documento avverte che 'le Chiese debbono ancora recepire sino in fondo la lezione profetica di Giovanni Paolo II e l’esempio dei testimoni morti per la giustizia' e prende le distanze da coloro che 'sembrano cedere alla tentazione di non parlare più del problema o di limitarsi a parlarne come di un male antico e invincibile', vanificando in qualche modo il sacrificio dei martiri, che 'rischia così di rimanere un esempio isolato' (n. 9).
Un altro tema caldo è quello federalismo, sul quale i Vescovi non si sono sottratti alla loro responsabilità di dire una parola puntuale e chiara. Interessante è l’aggettivazione con cui si correda questa opzione politica. Si parla, così, di 'federalismo solidale, realistico e unitario', di un 'sano federalismo' (n. 8), che può 'rappresentare un passo verso una democrazia sostanziale', capace di rafforzare l’unità del Paese; viene rifiutato, invece, un federalismo dissociativo che 'accentuasse la distanza tra le diverse parti d’Italia'. In questa visione i Vescovi si richiamano alla 'sempre valida visione regionalistica di don Luigi Sturzo e di Aldo Moro' (n. 8), ai quali non ci si appella quali anticipatori del federalismo, quanto piuttosto quali teorizzatori di un regionalismo, capace di rimodulare gli eccessi di uno Stato burocratico e centralizzatore. Nella 'Relazione conclusiva al Congresso del Partito Popolare Italiano' (Venezia ottobre 1921) Sturzo affermava: "A uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali - la famiglia, le classi, i Comuni - che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private'. È chiaro, allora, che il fondatore del Partito popolare non pensava a un federalismo solidale, ma a un regionalismo solidale sì. A questa linea di pensiero si richiamano i Vescovi italiani, consapevoli che 'la corretta applicazione del federalismo fiscale non sarà sufficiente a porre rimedio al divario nel livello dei redditi, nell’occupazione, nelle dotazioni produttive, infrastrutturali e civili', senza 'un sistema integrato di investimenti pubblici e privati, con un’attenzione verso le infrastrutture, la lotta alla criminalità e l’integrazione sociale' (n. 8).
Lo sguardo sul Mezzogiorno è completato da alcune considerazioni su povertà, disoccupazione ed emigrazione. Una particolare sottolineatura merita la breve disamina sulla disoccupazione, riferita soprattutto al mondo giovanile. In proposito, il documento ammette che il problema non è di facile soluzione, ma richiama l’attuazione del principio di sussidiarietà e punta sulla formazione professionale per sbloccare una situazione di 'perenne precarietà' (n. 10) dei giovani, penalizzati perciò nella loro crescita umana e lavorativa. Fenomeni connessi sono il lavoro nero e il lavoro precario, che condizionano il mercato del lavoro, rendendo improbabile per i giovani l’accesso a una prima occupazione dignitosa. L’emigrazione giovanile è il frutto avvelenato della pratica impossibilità di inserirsi nel modo del lavoro, privando le regioni meridionali delle risorse umane più valide, geniali e operose; privazione che coinvolge anche le comunità ecclesiali che si vedono private dei protagonisti della 'trasmissione della fede alle nuove generazioni' (n. 10).

5. Sbagliano, però, coloro che pensano il Mezzogiorno come luogo di disastri e di irredimibilità. Cominciano ad apparire anche tra noi, infatti, germi di speranza, che aprono delle prospettive all’interno di una realtà che potrebbe apparire piuttosto statica a osservatori esterni che non hanno tanta dimestichezza con le sue caratterizzazioni sociali, culturali, antropologiche.
Un primo elemento di rilievo è quello che viene descritto come 'un nuovo protagonismo della società civile e della comunità ecclesiale'. Si tratta di qualcosa di significativo perché denota una bella inversione di tendenza, della quale si sono accorti anche i media che hanno dato spazio a fermenti avvertiti particolarmente a livello giovanile. Sembra, a giudizio dei Vescovi, che ci siano tutte le premesse per avviare una stagione di consapevolezza critica che, partendo dall’azione di chi si è stancato di soggiacere a modelli e schemi inquinati da logiche di sopraffazione, hanno cominciato ad alzare la testa, cercando di coinvolgere altri in una dinamica virtuosa, più contagiosa delle logiche di malaffare. L’aspetto più confortante di questa osservazione è dato dal fatto che queste avvisaglie di rivolta morale riguardano persone e istituzioni, evidenziando 'una crescita della società civile, maggiormente consapevole di poter cambiare gradualmente una mentalità e una situazione da troppo tempo consolidate' (n. 11). L’aspetto più stimolante di questa tendenza è rappresentato dal fatto che sono soprattutto i giovani, con i loro volti nuovi a voler uscire dal cerchio di rassegnazione che ha mortificato le regioni meridionali e che essi, proprio per la loro indole incline alla concretezza, non si contentano delle buone intenzioni ma 'sono scesi in piazza ['coraggiosi e forti, determinati a resistere e ad andare avanti'] per gridare che il Mezzogiorno non è tutto mafia o un luogo senza speranza' (n. 11). In questo impegno solidale essi mirano a cambiare il volto della loro terra, pretendendo e adoperandosi per la effettiva soluzione degli annosi problemi di queste terre: degrado, emigrazione, cultura dell’illegalità, mancanza di lavoro e conseguente impossibilità di formarsi una famiglia. Il nuovo passo della società civile e dei giovani in particolare è stato accompagnato da una analoga presa di coscienza della comunità ecclesiale che si è sintonizzata nella lotta alla illegalità mafiosa e si è proposta 'come testimone credibile della verità e luogo sicuro dove educare alla speranza per una convivenza civile più giusta e serena', attraverso una pastorale rinnovata e una mobilitazione morale (n. 11). Affinché questi elementi di novità non rimangano isolati e sterili, il documento indica alcune mete da additare al mondo giovanile: promuovere nuove forme di partecipazione e di cittadinanza attiva, incoraggiare l’impegno politico come forma alta di partecipazione alla realizzazione del bene comune.
Opportunamente in questo orizzonte deve essere ricordato il Progetto Policoro, esperimento felice ed efficace di promozione e sostegno della imprenditorialità giovanile, svincolata dai condizionamenti soffocanti della illegalità, e sostenuta da una finalità educativa che conferisce al Progetto una valenza esemplare e promozionale. Le iniziative più apprezzate sono legate alla nascita di cooperative, impegnate in attività legate alla produzione tipica del territorio; alcune di esse, poi, hanno avuto affidati beni sottratti alla mafia che vengono in tal modo restituiti alla fruizione comunitaria per il conseguimento di finalità sociali.
Un ultimo elemento è rappresentato dal nuovo volto del Mezzogiorno, maturato già sul finire degli anni ’90, e contrassegnato dal sorgere di imprese efficienti, dal diffondersi di microimprenditorialità, dall’affermarsi di una agricoltura non più ancorata a forme e modalità arcaiche. Anche una maggiore coscienza delle risorse umane, culturali, paesaggistiche e artistiche delle regioni meridionali ha proiettato questa parte del Paese nel dinamismo nuovo innescato dall’allargamento dell’Unione europea e dei mercati internazionali. Per non dire della controtendenza che si manifesta al Sud in ordine alla natalità, problema che affligge e molto il resto della Nazione e che dal Sud può ricevere un forte impulso per una significativa inversione di tendenza.

6. In questo quadro d’assieme, la Chiesa nel Mezzogiorno ha elaborato un proprio impegno strategico, costituito fondamentalmente dalla qualità alta della vita comunitaria, dalla scelta educativa, dal Progetto culturale orientato in senso cristiano, da una vicinanza attiva alla vita dei singoli e delle comunità. La mantenuta connotazione popolare della Chiesa consente una vicinanza partecipe alla vita e ai problemi quotidiani della gente, rafforzando quella reciprocità tra Chiesa e fedeli. Un capitolo rilevante di questo ambito è costituito dalla religiosità popolare, 'patrimonio spirituale che non cessa di alimentare il senso del vivere di tanti fedeli, infondendo loro coraggio, pazienza, perseveranza, solidarietà, capacità di resistenza al male e speranza oltre ogni ostacolo e difficoltà' (n. 14). Ovviamente, tale patrimonio richiede anche un paziente lavoro di purificazione, inserito nel più ampio impegno di cura della qualità della vita spirituale e dell’azione pastorale.
Per rispondere con metodologia ecclesiale a talune tendenze che si propongono di incrinare l’unità del Paese attraverso l’adozione di forme esasperate di federalismo, il documento propone una prassi di condivisione ecclesiale, imperniata sull’aiuto reciproco e sullo scambio di ministri ordinati e di laici qualificati capaci di vincere il radicamento nella propria terra e nella propria Chiesa e sappiano spingersi fuori per mettere in comune i loro carismi. In un certo modo, si vuole offrire una motivazione di condivisione ecclesiale al fenomeno della migrazione di studenti, professionisti e operatori vari che si trasferiscono nelle regioni del Nord e possono costituire un risorsa, talvolta ignorata o disattesa (cfr n. 15).
Un altro punto da evidenziare è quello del cambiamento dei modelli culturali, attraverso i quali guardare al Mezzogiorno, liberandosi dai luoghi comuni per i quali, ad esempio, i problemi del meridione sarebbero quasi esclusivamente problemi di carattere economico, risolvibili con una 'politica delle opere pubbliche', ignorando che nel passato una simile scelta 'si è rivelata […] sbagliata e perdente, se non perfino dannosa' (n. 16). Camminare in questa direzione, con la realizzazione di opere faraoniche come il ponte sulle Stretto, significherebbe, perciò, non aver capito la lezione della storia legata alla grande industrializzazione del Mezzogiorno progettata con cospicui investimenti nei settori petrolchimico, siderurgico, chimico, ecc. Gli effetti di una simile impostazione furono una grave devastazione dell’ambiente, la pesante interferenza dei comitati di affari, un considerevole arricchimento dei gruppi malavitosi, una scarsa incidenza nella promozione e nello sviluppo dei territori. Le esigenze vere del Mezzogiorno, invece, sono di ben altra natura e riguardano soprattutto le questioni di 'carattere etico, culturale e antropologico' (n. 16). La via del vero sviluppo del Mezzogiorno passa, allora, attraverso la via educativa, che investe sulle persone e su 'un’azione pastorale che miri a cancellare la divaricazione tra pratica religiosa e vita civile e spinga a una conoscenza più approfondita dell’insegnamento sociale della Chiesa, che aiuti a coniugare l’annuncio del Vangelo  con la testimonianza delle opere di giustizia e di solidarietà' (n. 16). Se vogliamo utilizzare talune categorie giornalistiche di effetto, questa è la vera antimafia, vista dalla prospettiva ecclesiale; questa, se vogliamo dare una corretta valutazione ai fatti, è la ragione per la quale la mafia ha assassinato don Pino Puglisi. Egli, infatti, aveva capito già quasi vent’anni fa che per scardinare il potere mafioso bisognava partire dai fanciulli e dai ragazzi dei quartieri a rischio per iniziarli all’umanesimo cristiano che facesse da contrappeso ai modelli della violenta pratica dell’illegalità diffusa nelle relazioni, nei modi di pensare e nei comportamenti quotidiani in famiglia e sulle strade. In questo campo fa problema solo una considerazione: come mai solo gli ambienti mafiosi colgono la potenza dirompente della sfida educativa, al punto che tentano di arginarla con i mezzi a loro consueti? E per quale arcana ragione, la comunità ecclesiale fa tanta fatica a convincersi che l’unica strategia vincente è proprio questa e che tutto il resto può giovare solo se raccordato con questa? Forse bisognerebbe ricordare più spesso la parola del Signore che nella parabola dell’amministratore disonesto lodò quest’ultimo 'perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce' (Lc 16,8). E in questa sfida i giovani sono in prima linea, a preferenza di noi adulti che siamo più calcolatori e forse siamo più diffidenti.
Nel decennio appena iniziato la sfida educativa è stata scelta quale orizzonte pastorale di riferimento, che deve trovare nelle Chiese del Sud una accoglienza particolarmente attenta, diventando una scelta veramente prioritaria decisiva per il presente e per il futuro di quella parte del Paese. Lo afferma con parole forti e incisive il nostro documento: 'Il Mezzogiorno può divenire un laboratorio in cui esercitare un modo di pensare diverso rispetto ai modelli che i processi di modernizzazione spesso hanno prodotto, cioè la capacità di guardare al versante invisibile della realtà e di restare ancorati al risvolto radicale di ciò che conosciamo e facciamo: al gratuito e persino al grazioso, e non solo all’utile e a ciò che conviene; al bello e persino al meraviglioso, e non solo al gusto e a ciò che piace; alla giustizia e persino alla santità, e non solo alla convenienza e all’opportunità' (n. 17). Ovviamente, questa estroversione educativa non può ignorare il compito proprio delle comunità, chiamate a formare l’uomo 'perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo' (Ef 4,13) attraverso l’evangelizzazione (primo annuncio, catechesi, mistagogia) e la santificazione mediante i sacramenti; il tutto all’interno di una comunità credente che testimonia la propria fede ed educa al servizio. Ancora su questo versante sono attuali e trainanti gli esempi dei santi e dei testimoni che hanno saputo coniugare 'le due istanze fondamentali dell’evangelizzazione e della promozione umana, che configurano l’orizzonte di quell’umanesimo integrale che trova nell’Eucaristia origine e compimento' (n. 18).

 In conclusione, mi sento di dire che la lezione della storia ha evidenziato soprattutto la forza trainante delle idee e il ruolo essenziale dei testimoni. Il patrimonio ideale dei valori l’abbiamo e molto significativo. Occorre risvegliare le coscienze perché nessuno si tiri indietro nel momento della grande crisi. Il Paese, infatti, ha bisogno dell’opera, anche minima, di tutti per rimettere in moto le dinamiche della crescita, del progresso, dello sviluppo per concorrere alla costruzione del bene comune. Scrivono i Vescovi italiani nel documento sul Mezzogiorno: 'Il Mezzogiorno può divenire un laboratorio in cui esercitare un modo di pensare diverso rispetto ai modelli che i processi di modernizzazione spesso hanno prodotto, cioè la capacità di guardare al versante invisibile della realtà e di restare ancorati al risvolto radicale di ciò che conosciamo e facciamo: al gratuito e persino al grazioso, e non solo all’utile e a ciò che conviene; al bello e persino al meraviglioso, e non solo al gusto e a ciò che piace; alla giustizia e persino alla santità, e non solo alla convenienza e all’opportunità' (n. 17). È una bella prospettiva e un impegno esaltante, che apre  veramente il cuore alla speranza.


 Immagine riferita a: Inaugurato l'Anno Accademico 2011-2012

Autore Prof-Greco

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Inserito il 20 Ottobre 2011 nella categoria Relazioni svolte