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La febbre nei bambini: timori e fatti

Il dott. Benedetto Mirto ha relazionato sulla febbre alta che talora colpisce i bambini spiegando come trattasi di una manifestazione naturale del corpo umano utile per contrastare l'attacco dei virus o dei batteri.

Relatore: Dott. Benedetto Mirto

     Spesso quando i genitori si accorgono che il bambino ha la febbre, la loro prima preoccupazione è quella di abbassarla al più presto. In realtà, abbassando precocemente la febbre non si dà all’organismo la possibilità di debellare gli eventuali virus o batteri. La febbre non è una malattia e non necessita di cure particolari; anche gli antipiretici devono essere usati soltanto se la temperatura troppo alta arreca qualche disturbo al bambino.

Qui di seguito si riporta la relazione del dott. Mirto.

LA FEBBRE NEI BAMBINI: TIMORI E FATTI

Anche se la febbre in quanto tale non può essere considerata una malattia, essa costituisce il segno più comune di malattia che induce i genitori a rivolgersi al medico.
Il pediatra, decide in base alla presenza e all’entità della febbre se e quando il bambino debba essere visitato, aggravando in tal modo inavvertitamente l’ansia dei genitori nei riguardi della febbre.
Nei genitori sensi di colpa, un po’di ipocondria e presunte conoscenze mediche acquisite da internet e dalla televisione scatenano ansie e ' richieste di visita ' sconosciute alle generazioni precedenti.
Dal momento che il bambino con febbre alta appare sofferente molti genitori si preoccupano che la febbre possa danneggiare i propri figli specie a livello cerebrale.
Il fatto che i genitori nutrano forti ansie e un gran numero di pregiudizi nei riguardi della febbre è stato evidenziato da vari studi eseguiti con idonei questionari su diversi campioni di genitori.
I timori ed i concetti errati risultarono tali da indurre un ricercatore (R.D.Schmitt) a coniare il termine 'piretofobia'.
La metà circa dei genitori interpellati ritiene che una temperatura corporea di 40° C o meno possa causare danni cerebrali o altre gravissime alterazioni e circa un quarto ritiene che danni di questo tipo possano essere causati anche da temperatura al di sotto di 39 °C.
La maggior parte dei genitori interrogati dichiara che tali loro opinioni (erronee) derivano soprattutto dai medici e dalle infermiere, non per effetto di esplicite informazioni da loro fornite ma per il loro comportamento impostato su rituali misurazioni della temperatura, registrate ad intervalli regolari e sulla prescrizione di antipiretici o di altri rimedi quando la temperatura supera i 38°C.
Tutti i genitori devono confrontarsi prima o poi con i problemi della febbre:
• Che cosa è la febbre?
• Quale è la causa della febbre?
• Può il mio bambino essere danneggiato dalla febbre?
• Come posso aiutarlo a sentirsi meglio e a sbarazzarsi della febbre?
Il modo di rispondere a questi quesiti da parte del pediatra influisce sia sulla confidenza che i genitori sviluppano nella propria capacità di affrontare la febbre sia sulla fiducia che possono sviluppare nei confronti del proprio medico.
La febbre è al tempo stesso il campanello che annuncia la malattia e il più elementare meccanismo di difesa.
Storicamente la febbre è stata ritenuta il più importante strumento difensivo dell’organismo nei confronti delle malattie fino alla metà dell’800 quando i medici hanno incominciato a considerarla dannosa.
Oggi i medici considerano la febbre una difesa dalle malattie ma purtroppo questo mutamento di opinione non è stato ancora recepito dalla gente che continua a nutrire nei confronti della febbre preoccupazioni eccessive.
Il fatto è che all’inizio del terzo millennio i medici non temono più le infezioni perché sanno che la maggior parte delle malattie virali guarisce spontaneamente e che quelle poche malattie batteriche che potrebbero essere pericolose possono essere curate con gli antibiotici.
Inoltre le vaccinazioni, iniziate all’età di due mesi, permettono non solo di prevenire alcune malattie gravi ma addirittura di farle scomparire, come è successo in alcune aree del mondo.
È  stato evidenziato che un bambino nella prima infanzia può andare incontro anche a 15 episodi di malattie febbrile nel corso di 1 anno (una frequenza che appare esagerata agli occhi dei genitori) senza per altro che questi episodi febbrili (prevalentemente a carico delle vie respiratorie) arrivino a pregiudicarne la crescita e lo sviluppo.
Queste febbri anzi contribuiscono a potenziare il sistema immunitario ostacolando anche la possibile insorgenza di malattie allergiche nell’età successive.
Queste sono le 'febbri amiche' del bambino.
Bisogna pensare alla febbre come a una risposta fisiologica e bisogna comunicare in modo appropriato alle persone la sua natura ed il suo significato.
Che cosa è la febbre?
Tutte le forme di vita hanno un livello di temperatura ambientale preferenziale e sembra che abbiano anche dei meccanismi per regolare la loro temperatura.
Come omeotermi gli esseri umani hanno la capacità di mantenere costante entro certi limiti la temperatura corporea a dispetto delle ampie variazioni della temperatura dell’ambiente.
La febbre non è semplicemente una elevazione della temperatura corporea ma una elevazione della temperatura corporea controllata.
La temperatura del corpo è il risultato di un bilancio tra la produzione di calore e la perdita di calore.
Alla produzione concorrono vari organi in diversa proporzione, il cervello, muscoli e i visceri etc.
Con l’attività motoria la produzione di calore da parte dei muscoli aumenta notevolmente.
Il calore di contro viene perduto attraverso la radiazione, la evaporazione e la conduzione.
Il centro termoregolatore ha sede nell’ipotalamo, una parte del cervello sensibile ad alcune sostanze (prostaglandine) che vengono considerate i neurotrasmettitori molecolari degli stimoli pirogeni cioè di quegli stimoli che producono calore.
Quando alcune sequenze molecolari comuni a tutti gli agenti infettivi (batteri, virus, funghi, endotossine) entrano in contatto con alcune cellule dell’organismo (cellule fagocitarie) a cui affidata la funzione specifica di difenderci dalle aggressioni, scatta il segnale di allerta e si mette in moto un complesso sistema di risposta, di cui la febbre costituisce un elemento essenziale.
Le molecole liberate dalle cellule aggredite che costituiscono il pirogeno esogeno (cioè il produttore di fuoco che viene dall’esterno), vanno al cervello più specificatamente sui neuroni termosensitivi dell’ipotalamo e liberano altre sostanze (interleuchina 1 TNF) che costituiscono il pirogeno endogeno (cioè il produttore di fuoco che viene dall’ interno) che comanda alla temperatura corporea di salire.
Come è che questo comando si trasforma in realtà?
Il pirogeno endogeno induce la sintesi delle prostaglandine della serie E (PGE 2) che attivano i meccanismi della produzione e della conservazione di calore inducendo una regolazione ad un livello più alto della temperatura normale stabilita dai centri ipotalamici.
Questi centri termoregolatori possono essere considerati come un termostato che se fissato su una data temperatura determina risposte fisiologiche e comportamentali che vanno a modificare la temperatura interna del corpo.
Quando il termostato viene fissato ad un temperatura maggiore, l’organismo comincia a sentire freddo e riduce al minimo la perdita di calore.
I  brividi  derivati dalle contrazioni muscolari aumentano la produzione di calore mentre la vasocostrizione cutanea, l’orripilazione e il blocco della sudorazione riducono al minimo la dispersione di calore.
Tutti questi cambiamenti portano l’organismo a sviluppare la febbre.
Dal  momento che comunque esiste una regolazione ipotalamica raramente la temperatura supera livelli pericolosi per l’organismo.
Nell’uomo infatti quasi mai la febbre raggiunge i  42° C.
La temperatura normale varia durante il giorno con valori più elevati in prima serata e più bassi al mattino.
I bambini dimostrano una variabilità anche maggiore degli adulti potendo variare la temperatura da un soggetto all’altro e nello stesso soggetto da un giorno all’altro.
La media delle temperatura nelle 24 ore è nel bambino di 36.7° C con variazioni mattino e sera da 36.2° C  a 37.2 °C , all’ascella o all’inguine.
Se  la temperatura è misurata nel retto il valore risulta superiore di 0,5 - 0,6 °C.
Fa eccezione il neonato, specialmente di basso peso, che spesso anche in occasione di processi infettivi gravi manifesta poca o nessuna elevazione della temperatura per la relativa resistenza dell’ipotalamo al pirogeno endogeno.
Si parla di febbre per una temperatura corporea superiore a 37.0° C se  misurata al cavo ascellare e/o inguinale  e 37.5°C se misurata per via rettale.
La febbre è lieve tra 37.5°/38.5° C, moderata tra 38.5°/39.0 °C , alta tra 39.0°/40.0° C.
Si parla di iperpiressia al di sopra di 40.5°C.
Va sottolineato che le iperpiressie sono eventi rarissimi perché come abbiamo visto esiste nel cervello un termostato che tende a mantenere costante entro certi limiti la temperatura per cui quasi mai viene superata la soglia di 41.0°C.
Come, si misura la febbre?
Misurare la febbre, o meglio 'sentire' la febbre è sempre stato un gesto naturale, spontaneo del genitore che si accorge del malessere del bambino, accosta la mano alla sua fronte e poi prende il termometro.
In questi ultimi anni sembra che misurare la febbre di un bambino sia diventato un affare di stato: termometri all’inguine neanche a parlarne (non sta fermo!), sotto l’ascella meno che mai (non tiene le braccia strette!). Non resta che il culetto (ma anche li, che tragedia!) e, se no, la misurazione istantanea: due secondi nell’orecchio o in fronte  e passa la paura.
Oggi esistono termometri scanner o a raggi infrarossi costosissimi e complicati: misurano la temperatura all’istante e non la temperatura media degli ultimi minuti dando una misura che per la troppa precisione spesso trae in inganno: misurazioni seriate a distanza di pochi minuti e in posti diversi danno valori diversi; l’eccessivo dettaglio (la temperatura è data in gradi, decimi, e centesimi di grado) crea ansia e confusione: ma che senso ha uno strumento così complesso per fare una cosa così banale? E allora?
Una volta era facile: si scuoteva energicamente il termometro con la mano per far calare la sottile colonnina di mercurio, poi lo si infilava fra le gambette o sotto l’ascella e si aspettava qualche minuto. Quindi si ruotava lentamente la sottile bacchetta di vetro per vedere a che altezza era salita la colonnina di mercurio.
Quel mercurio che, quando il termometro si rompeva, si raccoglieva sul tavolo in lucenti sfere argentate che si scomponevano in sferette minuscole e si riaggregavano in sferotte più grandi rotolando sul tavolo sotto lo sguardo stupito e divertito dei bambini.
Una volta; ora non più. Perché l’Unione Europea (dal 2011) ha decretato che il mercurio è tossico e pertanto la commercializzazione di quei termometri è stata vietata. Peccato! Non solo perché mai più un bambino osserverà con stupore il comportamento del misterioso metallo liquido ma anche perché fra tutti gli agenti inquinanti che ci circondano, forse il mercurio dei termometri era l’ultimo in ordine di pericolosità.
Di recente è stato messo in commercio un termometro clinico ecologico del tutto sovrapponibile nella forma e nella struttura al vecchio termometro a mercurio: che però non contiene mercurio, il liquido impiegato è una lega di gallio, indio e stagno, chiamata 'Galinstan' completamente atossica e non nociva per i bambini e per l’ambiente che può essere smaltita con i normali rifiuti domestici.
Il significato della febbre
Quando c’è la febbre non sono solo le cellule del nostro corpo che si trovano a disagio (è per questo che la febbre si accompagna a malessere), ma si trovano ancora peggio virus e batteri che riescono difficilmente a moltiplicarsi.
La febbre ci fa star male ma ci serve per farci tornare in forma: è per questo che esiste e perciò non dovremmo combatterla a tutti i costi.
Come diceva il nostro maestro Prof. Panizon dobbiamo considerare la febbre un buon compagno di battaglia.
 \I Dottori G. Duff ed S. Durum hanno ad esempio dimostrato che la proliferazione dei T linfociti nelle culture tissutali aumenta anche di 20 volte in risposta ad un aumento delle temperatura da 37.0° C a 39.0° C.
È stato inoltre constatato che l’effetto antivirale dell’interferon risulta tre volte maggiore a 40.0° C che a 39.0° C.
Inoltre sembra che le sostanze piretogene ostacolino la utilizzazione del ferro da parte dei batteri con effetto sulla loro moltiplicazione.
APPROCCIO AL BAMBINO FEBBRILE
Con il suggerimento di evitare le ripetute misurazione della temperatura corporea non si intende negare l’importanza della febbre come manifestazione di malattia.
Conta però più il bambino che il termometro cioè bisogna innanzitutto considerare più della febbre  il comportamento generale del bambino.
Vi sono altre manifestazioni cliniche che possono essere considerate come indici di gravità di  una malattia febbrile e la più importante è la tossicità.
Il riconoscimento del bambino che appare insofferente o intossicato può basarsi sull’esperienza soggettiva del medico ma anche su una metodologia quantitativa che utilizza una scala di osservazione.
Questa tiene conto di 6 fattori che possono risultare:
• normali;
• moderatamente alterate;
• gravemente alterate;
I fattori sono:
• tipo di pianto;
• reazioni alla stimolazione dei genitori;
• variazioni dello stato sonno/veglia;
• colorito della cute;
• stato di idratazione;
• risposta all’approccio sociale a più di due mesi (parole, sorriso).
Dal momento che il bambino febbrile dall’aspetto tossico può presentare un condizione di malattia grave il medico deve decidere rapidamente e ricercare specifici segni e sintomi di infezione attraverso l’anamnesi, l’esame fisico, la valutazione laboratoristica e radiologica.
In casi particolari si può decidere di somministrare antibiotici e/o di sorvegliare il bambino in ospedale.
Ciò detto bisogna ribadire che la maggior parte dei bambini con insorgenza acuta di febbre non ha un aspetto tossico ne è immunodepresso anche se si ammala come abbiamo visto una volta al mese specie nei periodi invernali.
Se un bambino appare febbricitante ma non presenta altri sintomi è sufficiente tenerlo sotto osservazione senza altri provvedimenti: spesso il miglior farmaco è il tempo.
Dal momento che la febbre è una difesa contro le infezioni si può sostenere che non è opportuno procedere alla sua soppressione.
Ma spesso i genitori pretendono dal pediatra rimedi che tolgano i sintomi rapidamente sia per la loro accentuata attenzione alla salute dei figli sia per l’esigenza di tenerli malati il meno possibile affinché la malattia non interferisca con le loro attività lavorative o familiari.
Per loro il tempo come farmaco non va bene.
Anche per tale ragione oggi è scomparsa la convalescenza cioè quel periodo di inattività di pochi giorni dopo la fase acuta, che serve a restituire agli organi colpiti l’integrità biologica prima di esporli a nuovi attacchi soprattutto in periodi epidemici di raffreddori e influenza.
Se un bambino torna a scuola o all’asilo senza avere smaltito queste malattie può contagiare i compagni e può incorrere in ricadute o ancora peggio in complicazioni che compromettono ulteriormente l’attività lavorativa dei genitori ma soprattutto possono avere ripercussioni sulla salute.
È comunque corretto cercare di offrire ad un bambino sofferente che a causa della febbre può presentare disturbi quale cefalea, mialgie, tachicardia, tachipnea, ogni possibile sollievo somministrando farmaci appropriati per combattere la febbre.
Più che per ottenere una diminuzione della temperatura gli antipiretici dovrebbero essere prescritti per alleviare il senso di malessere: alcuni bambini possono apparire irritati e sofferenti con una temperatura di poco superiore alla normale, mentre altri possono dimostrarsi vigili e allegri anche con una febbre superiore a 39.0°C.
Il paracetamolo e l’ibuprofene sono oggi gli antipiretici di impiego più comune, l’opportunità del loro uso dovrebbe essere valutata considerando i possibili effetti indesiderati.
L’uso dell’acido acetilsalicilico, la vecchia aspirina, è stato abbandonato nei bambini  perché ritenuto responsabile dello sviluppo specie in corso di varicella o influenza, della Sindrome di Reye una grave malattia del sistema nervoso.
Gli antipiretici contrastando le prostaglandine riducono il livello di regolazione dei centri ipotalamici.
Con la diminuzione di questi livelli si attivano i meccanismi di termo dispersione (vasodilatazione cutanea, sudorazione) che abbiamo già illustrato e la temperatura corporea scende ai valori normali per tutta la durata di effetto dell’antipiretico.
Un raffreddamento rapido come quello prodotto da spugnature di alcol o di acqua fredda, determina un effetto opposto in quanto la sottrazione di calore in assenza di una diminuzione della regolazione ipotalamica induce un’attivazione delle contrazioni muscolari e di altri meccanismi termogenici precedentemente fissati dai centri provocando un ulteriore risalita della temperatura.
L’uso della borsa di ghiaccio sul capo può dare un sollievo soggettivo e pertanto può essere praticato se il bambino lo accetta.
Il paracetamolo ha una durata di effetto minore rispetto all’ibuprofene 4/6 ore mentre l’ibuprofene risulta più incisivo nell’abbassare la temperatura ed ha una durata più lunga 6/8 ore.
Ogni mamma in base alla esperienza maturata con il suo pediatra può scegliere l’antipiretico che ritiene più adatto.
Nell’inquadramento fisiopatologico della elevazione della temperatura corporea abbiamo trascurato di distinguere tra febbre e ipertermia.
L’ipertermia è una condizione che si manifesta quando i normali meccanismi di termoregolazione dell’organismo vengono alterati da anomale condizioni ambientali: la temperatura ambientale impedisce la normale dispersione del calore corporeo (esposizioni eccessive al sole o in ambienti surriscaldati, eccesso di indumenti o di coperte, chiusura accidentale in auto ferma sotto il sole etc).
Alcune ipertermie possono essere dovute anche ad alterazioni dei centri termoregolatori per lesioni del sistema nervoso centrali o ad interferenze con la sudorazione a causa di gravi alterazioni della pelle o per intossicazioni (ad esempio da atropina).
Una rarissima condizione definita ipertermia maligna può verificarsi nel corso di una anestesia in soggetti geneticamente predisposti determinando danni a carico del sistema nervoso.
Di contro una approfondita rassegna della letteratura non ha permesso di trovare un solo caso di danno cerebrale causato da febbre tranne che nelle meningiti e nelle encefaliti nelle quali il danno dei tessuti nervosi può essere direttamente provocato dagli agenti infettivi.
Un’altra comune preoccupazione dei genitori riguarda la possibilità che la febbre possa causare danni neurologici attraverso la comparsa di convulsioni.
Le convulsioni febbrili
Circa il 4% dei bambini in età compresa tra i 6 mesi e i 5 anni sviluppa una crisi convulsiva associata alla febbre.
Questa condizione è considerata come una risposta età dipendente del SNC alla febbre e va distinta dalle crisi epilettiche.
Non conosciamo la causa di queste crisi febbrili ma sappiamo che esiste una familiarità, che i bambini affetti possono manifestare ulteriori episodi fino al raggiungimento dei 6 anni e che il rischio di crisi febbrili ripetute è maggiore in quei bambini che hanno mostrato una crisi prima del primo anno di età.
È ormai ben dimostrato che anche in caso di durata maggiore di 5 minuti o di frequenti recidive se la diagnosi finale, come avviene quasi sempre, è di convulsioni febbrili semplici i bambini non ne riportano alcuna conseguenza e non c’è il rischio di sviluppo di epilessia.
Inoltre qualunque terapia della febbre per quanto preventiva ed intensiva non evita le convulsioni febbrili, come se le febbri destinate a scatenarle fossero costituzionalmente refrattarie ai farmaci oppure le convulsioni non fossero realmente causate dalla febbre ma da qualche fattore sconosciuto connesso con la malattia febbrile.
Certamente non è la febbre alta a scatenarle.
Molti bambini presentano accessi convulsivi con 38.0° C o poco più nel primo giorno di malattia mentre nei giorni successivi quando la febbre è ancora più elevata non presentano altri accessi.
Nel 30% circa dei casi le convulsioni compaiono quando la febbre non è stata ancora rilevata dai genitori. Una volta iniziato l’accesso convulsivo è opportuno farlo durare il meno possibile somministrando un farmaco anticonvulsivante.
La somministrazione di anticonvulsivanti per prevenire la comparsa di convulsioni febbrili non è invece abitualmente consigliabile.
Abbiamo detto che i due farmaci più usati per abbassare la febbre sono l’ibuprofene e il paracetamolo.
Questi devono essere usati quando c’è malessere, preferibilmente singolarmente alle dosi consigliate, scegliendo quello che ai genitori sembra più efficace.
Spesso anche noi pediatri, presi dalla paura di sbagliare o dalla mancanza di tempo necessario per dare ai genitori informazioni più complete, tendiamo a dimenticare che 'i farmaci non sono caramelle', che possono avere degli effetti collaterali anche gravi a carico dei diversi organi ed apparati.
È vero, gli effetti collaterali così come indicati nei foglietti illustrativi sono più o meno rari, ma quando capitano dobbiamo fare i conti con la responsabilità di avere somministrato quei farmaci per le nostre ansie e per quelle dei genitori piuttosto che per un reale effetto curativo.
Vale la pena correre dei rischi per qualche decimo di temperatura in meno?
Parliamo di più con i genitori e prescriviamo meno farmaci.
Parafrasando il dott. E. Kierster possiamo dire 'getta via gli antipiretici e lascia che il suo corpo scotti'.
Ricordiamoci che dopo l’antipiretico i bambini stanno meglio perché si tratta di un farmaco che ha anche un’azione analgesica porta via il malessere ma nulla fa alla malattia di base che continua indisturbata  la sua strada autolimitante.
Gli antibiotici non hanno un effetto diretto sulla febbre, ma soltanto indiretto nel giro di qualche giorno tramite l’eliminazione dell’agente infettante responsabile della febbre se è di natura batterica.
Se invece il responsabile è un virus, come avviene nella maggior parte delle malattie febbrili dei bambini impropriamente definite influenzali non si avrà scomparsa della febbre finché l’organismo non si sia liberato autonomamente del virus il che avviene normalmente nel giro di una settimana.
Con i dati che abbiamo considerato dobbiamo incoraggiare i genitori a porsi di fronte alla febbre non con la paura (la piretofobia di Schmitt) ma in modo razionale per non dire scientifico ricordando:
• la poca efficienza dei termometri elettronici;
• la scarsa affidabilità delle supposte;
• la inefficacia degli antibiotici;
• la improduttività di tenere il bambino febbrile per forza a letto;
• la inutilità di non farlo uscire da casa per spostarsi altrove come dai nonni o dal pediatra (una visita in ambulatorio è sempre più completa di una visita a domicilio).
• che φαρμάκιον in greco antico significava sia medicina sia veleno.
• che malattie febbrili, il più delle volte banali, tutto sommato hanno dei costi non indifferenti.
Gli antipiretici possono essere prescritti, ma con l’obiettivo principale di arrecare sollievo ad un bambino visibilmente sofferente in cui la febbre è il segno che il corpo sta combattendo e pertanto non dovrebbe essere ostacolata.
A questo punto lasciatemi concludere con una battuta.
La febbre?
Molto rumore per nulla!
 

Autore Prof-Greco

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Inserito il 26 Febbraio 2013 nella categoria Relazioni svolte