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La Turchia in Europa?

L'avv. Aurelio Pappalardo, cultore di studi europei, ha relazionato sugli ostacoli che, a tutt'oggi, impediscono l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea

Relatore: Avv. Aurelio Pappalardo - Bruxelles

Il negoziato per l'adesione della Turchia all'U.E. è fermo

La Turchia e l’Europa

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1. Premessa
Il negoziato per l’adesione della Turchia all’Unione Europea (UE), come membro a parità di diritti con i 27 attuali Stati Membri (SM), è praticamente fermo. E nessuno può dire, con un ragionevole grado di certezza, quale ne sarà l’evoluzione.
Il presidente della Commissione europea, Barroso, ha detto recentemente che, in considerazione della quantità e della complessità dei temi all’ordine del giorno del negoziato fra i rappresentanti dell’UE e quelli della Turchia, non gli sembra verosimile che l’adesione – ammesso che venga decisa – si verifichi prima di dieci anni a partire da ora.  Ammesso che venga decisa.
Se si considera che la richiesta ufficiale di adesione è stata presentata dalla Turchia il 14 aprile 1987, e che il negoziato si è dunque svolto – forse sarebbe meglio dire 'trascinato' – pur se con ritardi e sospensioni, per quasi 20 anni, è inevitabile la conclusione che sulla strada dell’adesione della Turchia all’UE c’è qualche grosso macigno.
Anche in questo caso cade a proposito la citazione di un proverbio siciliano, secondo cui 'i cosi longhi addiventanu serpi': si comprende che, secondo alcuni osservatori, sarebbe meglio, a proposito di macigni, metterci una pietra sopra e rinunciare; magari offrendo alla Turchia una forma di associazione meno stretta che l’adesione.

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2. Un breve ritorno al passato
Per la Turchia moderna, l’Impero Ottomano è solo un lontano antenato, con il quale ha in comune una parte del territorio e alcuni splendidi resti di edifici religiosi o profani, oggetto di continua ammirazione da parte di milioni di turisti.
Ma forse l’incubo costituito per l’Europa, in quell’epoca lontana, dal pericolo turco ('mamma li turchi!!') non è del tutto estraneo all’atteggiamento ostile di alcuni, ai giorni nostri, nei confronti dell’ingresso della Turchia nell’UE.
L’Impero ottomano il cui inizio gli storici situano, con il regno di Osman I, nel 1299 e la fine nel 1923, è stato per secoli una potenza europea, il che significava allora mondiale, la quale, all’apogeo della sua potenza, nel secolo XVII, si estendeva dal Marocco all’Egitto ed all’Arabia Saudita, includendo i Balcani, la Grecia ed altri territori dell’Asia minore.  La tendenza espansionista dei sultani portò le armate turche per due volte sotto le mura di Vienna: prima sotto Solimano il Magnifico, che assediò la capitale austroungarica nel 1529; e ancora un secolo e mezzo dopo, nel 1683; mentre le flotte ottomane dominavano da un capo all’altro le acque del mediterraneo.  Le une e le altre – le armate come le flotte – seminarono il terrore fra le popolazioni civili e costrinsero le nazioni europee – per conto loro impegnate in continue folli guerre fratricide – a coalizzarsi per far fronte all’invasore.  Dopo la conquista di Cipro ed il martirio del governatore Bragadino da parte di Alì Pascià (1570), l’Europa, che aveva respinto con successo l’assedio di Vienna del 1529, trovò di nuovo la forza di lottare compatta, infliggendo una severa sconfitta ai turchi nella battaglia di Lepanto (1571), senza riuscire però a dare il colpo fatale e definitivo.  Il lento e lungo declino inizia invece dopo il fallimento del secondo assedio di Vienna (1683), sancito dalla sconfitta subita dagli ottomani nella battaglia che da Vienna prende il nome.  Non sarebbe possibile in questa sede, e ci condurrebbe troppo lontano, seguire questo percorso in tutte le sue tappe.  Limitiamoci a ricordare che il declino fu dovuto alle pressioni interne ed esterne: all’interno, dall’emergere dell’irredentismo, primo fra tutti quello greco; all’esterno dagli attacchi, di varia origine, all’integrità territoriale: nel 1830, ad esempio, la Francia occupa l’Algeria; più tardi (1911) è l’Italia giolittiana ad occupare la Libia.  Senza dimenticare l’avvento (1908) dei Giovani Turchi, l’impetuoso movimento di giovani desiderosi di dar vita ad un Paese nuovo e moderno. La prima guerra mondiale fa precipitare gli eventi: ne emerge la figura dominante e carismatica di Mustafà Kemal (1881-1938), che più tardi i turchi chiameranno Atatürk, Padre della Patria, che ha 27 anni quando fanno la loro apparizione i Giovani Turchi e che arriva a maturità umana e politica nel corso del conflitto, fino a prendere le redini del Paese, prima come capo del governo e poi dello Stato.

3. L’avvento della Turchia moderna: un passo avanti ed uno indietro?

A questo punto passato e presente si toccano: le riforme volute da Atatürk (v. punto 3.1.) hanno senza alcun dubbio cambiato profondamente il Paese, al punto che ancor oggi esse fanno parte dell’acceso e spesso violento dibattito, fra turchi, sull’identità nazionale; è innegabile, però, che un movimento strisciante, antiriformatore, ha progressivamente fatto riemergere tendenze antiche (v. punto 3.2.), dando vita a quel groviglio quasi inestricabile (e, per la maggior parte degli osservatori esterni, difficilmente decifrabile) di fattori contrapposti che è la Turchia dei giorni nostri.
3.1. Atatürk, che fu al vertice della nuova repubblica turca dagli inizi (1923) sino alla sua propria morte (1938, a soli 57 anni) riuscì a far accettare numerose riforme tutte volte ad avvicinare il Paese all’Europa: sotto il profilo politico (elezioni democratiche), e soprattutto, l’imposizione del principio dello Stato laico: basato sulla concezione della religione come un fatto personale di ciascuno, senza alcuna ingerenza nella direzione del Paese; sociale (elevazione del ruolo della donna), culturale (introduzione di una nuova lingua, scritta in caratteri latini), giuridico (sostituzione della legge islamica con nuovi codici, ispirati a quelli di paesi come la Svizzera, per il codice civile, e l’Italia per quello penale).  Anche nei costumi, e nella vita di tutti i giorni, Atatürk volle che il Paese abbandonasse il retaggio del sultanato e del califfato (turbanti, veli, fez, abiti alla turca etc.)
3.2. Ma gran parte dei turchi non ha accettato il movimento laicista ('secolarista') voluto da Atatürk, ed è restata vicina ai valori dell’Islam.  In questo conflitto – fra la modernizzazione voluta da Atatürk ed accolta da una parte della borghesia, e la difesa dei valori tradizionali voluta dalla maggioranza del popolo – risiede, secondo gli osservatori più acuti, il punto nodale, causa di tante difficoltà, che rischia di nuocere alla democrazia. L’esempio più flagrante è l’atteggiamento della Corte costituzionale, che dispone del potere di sciogliere i partiti politici che non operano conformemente ai valori riconosciuti dalla Costituzione (e che ne ha fatto uso ben 24 volte dal 1962).
Il partito al potere (AKP), vittorioso alle elezioni del 2007 con il 4è% è stato messo sotto accusa, nel 2008, per violazione dei principi del laicismo e si è salvato dallo scioglimento forzato per un solo voto (degli 11 giudici sei avevano votato per lo scioglimento, mentre si richiedeva il voto di almeno 7!).

4. Quali sono, oggi, gli ostacoli all’adesione della Turchia?

4.1. Il profilo ufficiale
Nel 1993 il Consiglio Europeo adottò a Copenaghen tre criteri per l’adesione di nuovi, cioè le condizioni che i Paesi candidati devono soddisfare per essere ammessi:
a)    criterio politico: presenza (nel Paese candidato) di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela;
b)    criterio economico: esistenza di un’economia di mercato affidabile e capacità di far fronte alla pressione concorrenziale all’interno dell’UE;
c)    adesione all’insieme dei risultati conseguiti dall’UE dalle origini ad oggi (cioè accettare lo stato di integrazione raggiunto corso dei decenni trascorsi, dal primo trattato comunitario ad oggi).
Gli ostacoli principali attengono soprattutto al primo ed in parte al terzo criterio.  Mentre però il terzo solleva questioni tecniche, magari complesse, ma suscettibili di trovare soluzioni, il primo investe delicate questioni di principio
Secondo i parametri comunitari, infatti, la Turchia manifesta tendenze autoritarie: v. l’esempio del ruolo svolto dalla Corte costituzionale nei confronti dei partiti politici.  Un altro esempio è offerto dalla frequenza dei processi contro giornalisti, che fanno temere per l’esercizio della libertà di parola.  Un problema delicato, mai veramente risolto, attiene al trattamento della minoranza curda.
4.2. Il profilo ufficioso
Sono personalmente convinto che esistono due altri ostacoli, di cui per ragioni facilmente intuibili, i responsabili politici parlano poco in pubblico: uno attiene alla religione dominante in Turchia (ove la quasi totalità della popolazione e musulmana), combinato con il fatto che la laicizzazione voluta da Atatürk non si è affermata come egli aveva auspicato.  Sono convinto che l’ingresso nell’UE di una popolazione musulmana, inferiore, per numero, solo a quella tedesca, susciti inquietudini di vario genere fra molti governanti europei.
L’altro risiede nei dubbi che è lecito nutrire sull’appartenenza all’Europa della Turchia, il cui territorio è asiatico nella misura del 90% circa, almeno se si considera che il confine fra Europa ed Asia è segnato dal Bosforo.  Qualcuno si potrebbe chiedere: se entra la Turchia, perchè non anche, ad esempio, il Marocco? (E’ pur vero che si potrebbe replicare: e Cipro, allora? Ma i ciprioti non sono 72 milioni......)

5. Conclusione

Come ho detto all’inizio, è difficile fare previsioni sull’esito del negoziato. Se fossi obbligato a farne una, direi che la Turchia non farà parte dell’UE: non foss’altro perché, di fronte ai numerosi ostacoli, finirà per stancarsi di aspettare e si volgerà altrove, come alcuni sintomi sembrano indicare.
Aurelio Pappalardo

Autore Prof-Greco

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Inserito il 13 Novembre 2010 nella categoria Relazioni svolte