Logo generale del sito:Libera Università 'Tito Marrone' Trapani

Libera Università Tito Marrone > Relazioni svolte > L'indumento intimo nella storia

Il logo della sezione del sito denominata  L'indumento intimo nella storia

L'indumento intimo nella storia

Ricerca antropologica di Giuseppe Fiorino

Relazione di Giuseppe Fiorino

Immagine riferita a: L'indumento intimo nella storiaQuando la scimmia nuda, cioè l’uomo, giusta la definizione data dall’antropologo Morris Desmond, si allontanò dal luogo dove era nato e vissuto per tanto tempo,  spinto,  sicuramente dalla fame,  inseguendo gli animali  da cacciare  o in cerca di frutti e semi , trovandosi, così, lontano dal luogo di origine e in zone  climaticamente diverse , sentì, sicuramente, la necessità di proteggere il proprio corpo per adeguarlo alle nuove situazioni climatiche. La pelle dell’animale ucciso, di cui a volte si copriva per avvicinarsi alle bestie da cacciare senza destare alcun sospetto della sua presenza, fu sicuramente il primo capo di vestiario: nasceva così l’abbigliamento dell’uomo.
Con il tempo, l’adozione di pelli diverse (ottenute grazie al miglioramento delle tecnica della caccia e al successivo addomesticamento di alcuni animali) ebbe, quasi subito, la funzione anche di distinguere i ruoli assunti dall’uomo all’interno del clan o tribù, al fine di regolare i rapporti con i suoi simili sia nel quotidiano che durante le cerimonie, rendendo immediatamente palese tutta una serie di informazioni sull’individuo  e al suo rapporto con il gruppo di appartenenza. L’uomo più forte e coraggioso che caccia gli animali più grossi e feroci indosserà sempre quelle pelli a differenza di chi si dedica all’allevamento di animali domestici o alla agricoltura che dovranno accontentarsi di pelli di animali ben diversi e meno pericolosi (Ercole, a ricordo di una sua grande fatica, indosserà sempre una pelle di leone e Aceste, re di Erice andrà incontro agli amici troiani di ritorno da Cartagine, scendendo per le balze del monte, con indosso una pelle di libica orsa.
La scoperta della possibilità di intrecciare il pelo degli animali o alcune fibre vegetali come il lino o il cotone e della loro tessitura,fornirà all’uomo altre materie per realizzare  stoffe che verranno utilizzate per migliorare le caratteristiche del l’abbigliamento e renderlo più adatto al tipo di protezione desiderato.
Nei paesi a clima caldo una leggera stoffa di tessuto di lino si dimostrerà più idonea di una pesante pelle d’animale.
Al contrario, nei luoghi dove il clima era più rigido, tessuti di lana avvolti attorno al corpo indossati sotto i soliti capi di vestito di pelle offriranno una migliore copertura.
Passando dalla preistoria a tempi a noi relativamente più vicini , notiamo che nell’antico Egitto, paese anche allora a clima caldo umido, l’abbigliamento degli antichi egizi era prevalentemente di lino. ( la lana, come tutte le fibre di origine  animale, era considerata  impura ).
Immagine riferita a: L'indumento intimo nella storiaUna semplice sciarpa stretta alla vita chiamata pano,  fu l’unico indumento che per molti secoli coprì le loro nudità. Faraoni e dignitari indossavano lo shenti che altri non era che  il pano lo avvolgevano ripiegandolo triangolarmente con ricaduta sul davanti in modo da ottenere una specie di grembiule.                              
-Per le donne, venuto in uso nel periodo del Nuovo Regno, sotto  Ramses, è il Kalasiris  : una lunga veste di lino trasparente  che copriva tutta la persona ed era trattenuta in vita da una cintura,mentre una sorta di grande mantello, il  shoush ,usato in aggiunta alla kalasiris, veniva arrotolato in vita e poi avvolto intorno alle spalle.
Variante del kalasiris sarà un abito portato  dalle donne delle classi alte : attillato e ricoperto di leggerissimi drappeggi velati: partiva da sotto i seni e arrivava alla caviglia, trattenuto da una o due bretelle
La tipologia fondamentale del vestiario in uso in Mesopotamia fu il kaunakès, una gonna frangiata adottata per la prima volta dai sumeri intorno al 3.000 a.C. I vari modelli di questo capo di abbigliamento indicavano il rango sociale e alla decorazione a frange veniva attribuito un significato simbolico legato ai rituali della fertilità.
Presso gli assiri, i babilonesi e gli ebrei entrarono in voga lunghe tuniche provviste di maniche lunghe sulle quali venivano indossati ampi mantelli. 
Tipicamente babilonese era un abito sacerdotale formato da un triangolo di tessuto drappeggiato in modo tale che l’orlo si avvolgesse attorno al corpo in senso diagonale e ricordasse le rampe a spirale dello ziqqurat.
Per quanto attiene ai medi e ai persiani, sia uomini che donne portavano brache o pantaloni sotto una tunica aperta, trattenuta in vita da  una cintura.
Per quanto attiene ai minoici e ai micenei, dalle poche tracce pervenuteci dagli affreschi murali   (per la verità, molto manipolate e fantasiosamente ricostruite dalle pitture vascolari, si può affermare che gli  uomini portavano un telo intorno ai fianchi simile allo shenti egiziano,mentre le donne indossavano gonne lunghe a campana e corsetti che lasciavano scoperto il seno.Talvolta indossavano pantaloni che sostituivano le gonne a campana,sovente guarniti da volant svasati o pieghettati e da ricami.
 I primi abitatori della Grecia furono un popolo di pastori provenienti da terre dal clima rigido e il loro abbigliamento fu fornito essenzialmente dalle pelli di pecora e di capra.
Quando alle pelli cominciarono ad aggiungersi anche i tessuti, le vesti greche furono dei semplici drappi di stoffa  di lana di forma rettangolare ,simile ai sari delle donne indiane, la cui tessitura attendevano, in casa, le donne.
L’abito nazionale delle donne greche,  attestato  in Omero, fu il peplo rimasto d’ uso  generale fino alla metà del VI  secolo,quando fu sostituito dal chitone ionico,ma anche allora continuò ad essere usato non più come vestito unico, direttamente sulla pelle, ma al di sopra del chitone,come mantello. Pur tuttavia, l le Ateniesi lo utilizzarono anche come sottoveste o camicia da notte,mentre le spartane continuarono ad usare il peplo, aperto sul fianco sinistro, come abito unico. Al riguardo, va ricordato che le spartane erano note per indossare abiti assai discinti.
Plutarco, infatti, parlando della legislazione di Licurgo che lasciava una libertà totale e sconveniente per le donne, cita Ibico che chiama le spartane ' mostracosce '.
Euripide le descrive ' discinte, con le cosce nude ' e Sofocle parla di Ermione ( moglie di Oreste ), la cui veste non ricopre e si apre sulla coscia nuda.
Un  mantello  usato da ambedue i sessi e indossato sopra la tunica o direttamente sulla pelle come indumento unico o sopra un semplice perizoma fu l’ himation.
Quello femminile si distingueva da quello maschile perché ornatoda frange o da orli colorati e, per questa differenza,L’himation di Alcibiade era considerato effeminato
Un corto e ruvido  piccolo mantello, molto  comune in Sparta, era il tribonio. Si diffuse presto  in tutta l’ Attica : lasciava scoperte le gambe e divenne costume distintivo dei filosofi che lo indossavano tutto l’anno senza tunica .
Originario della Tessaglia o della Macedonia,era un mantello chiamato clamide : In uso nella Grecia classica, era costituito da un lungo rettangolo di lana con un angolo arrotondato, che veniva appoggiato sulla spalla sinistra e fermato a destra o sul petto per mezzo di una fibula. Ne era consentito l’uso dopo il raggiungimento dei 18 anni ed era portato soprattutto dai cavalieri, soldati e viaggiatori. In seguito fu usato esclusivamente come mantello militare e indossato dai generali come segno del comando.Si diffuse  anche presso i Romani e, in seguito, fra i Goti, rimanendo in uso ancora nel Trecento.
 Un rettangolo di lana avvolto intorno al corpo e trattenuto su una spalla da un fermaglio, fu  il claina, un altro mantello probabilmente introdotto in Grecia dai Dori in epoca preomerica: era la variante maschile del peplo e in origine costituì l’unico capo di abbigliamento di una popolazione di pastori, a cui di notte serviva anche da coperta.
L’abbigliamento degli etruschi  fu una gonna lunga e stretta usata dalla donne detta castula  e una
sorta di bolero , epandumata , portato sulla castula. Gli uomini ,nel vestire, seguirono le mode dei greci, ma va ricordato che i contadini e i pastori si coprivano soltanto con pelli.
Nell’abbigliamento dell’antica Roma venivano distinti due generi di indumenti :
gli indumenta che si portavano di giorno e di notte (subligaculum o licium );
gli amictus che venivano indossati solo di giorno.
L’abbigliamento di base dei romani era la tunica  formata da due pezzi di stoffa  cuciti insieme. ( La tunica delle donne era più lunga e poteva arrivare sino ai talloni Era confezionata a maniche corte sino all’avambraccio ( differenza del chitone greco che non aveva  maniche ). Solo in seguito le maniche si allungarono sino ai polsi.
Durante l’età imperiale i romani erano soliti indossare due tuniche : una intima (sùbucula) e un’altra esterna (tunica exterior).
Altro elemento essenziale dell’abbigliamento dei romani fu la toga.
Romanos rerum dominos gentemque togatam  (Virgilio, Eneide, 1,282 )
( I Romani, signori del mondo, popolo togato )
La toga era formata da un semicerchio di stoffa appoggiato sulla spalla sinistra, lungo sino alla caviglia e disposto attorno alla persona in modo da  lasciare libero il braccio destro.
Solo chi godeva della cittadinanza romana aveva  il diritto di indossare la toga ( Chi veniva  condannato all’esilio perdeva la  jus togae ).
I giovani, tra i 15 e i 17 anni, smettevano di indossare la toga praetexta e avevano diritto di vestire la bianca toga  virilis.
I cittadini comuni indossavano la toga solo durante le feste religiose, le cerimonie pubbliche e i funerali. Essa era invece segno distintivo dei senatori che portavano bianca ornata di una striscia di color porpora.I candidati a cariche pubbliche indossavano una toga candida, mentre chi aveva subito un lutto ne indossava una grigia  o nera ( toga pulla ).
Sopravveste formata da un ampio rettangolo o quadrato di stoffa indossato sopra la tunica fermato sotto il mento o su una spalla con una fibbia fu il pallio. Derivava  dall’himation greco  e,con il tempo fu preferito alla toga per la sua praticità (Giovenale dirà che in gran parte dell’Italia nessuno indossa la toga tranne il morto ). Se era colorato prenderà il nome di lacerna o di praenula  se munito di cappuccio.
 Una lunga tunica, il colobium,  quasi sempre di colore bianco, fu il classico abbigliamento degli uomini liberi e fu portato fino a tutto il medioevo.
Al tempo dell’imperatore Diocleziano verrà in uso la dalmatica, una tunica a maniche molto larghe introdotta dalla Dalmazia dall’imperatore Diocleziano e indossata soprattutto dai nobili dell’impero.
Le matrone  romane indossavano , come indumenta , il perizoma , una fascia per il seno ( strophium, mamillare ) o una guaina (capetium) e una o più tuniche ( subùculae ) di lana o di lino, in genere prive di maniche.
Una veste che veniva  indossata sopra la subùcula,  era il  supparum;  somigliava al chitone greco, ma aveva i fianchi sempre cuciti. I margini superiori venivano accostati con fibule o cammei in modo da formare due false maniche lunghe fin quasi al gomito .
La stola era una tunica ampia corrispondente alla toga maschile. Lunga fino ai piedi, fermata da una cintura che faceva ricadere la stoffa in morbide pieghe.
All’inizio fu di linea semplice e di colore tenue, divenne in età tarda più morbida, riccamente ornata e di colore brillante.
Una tunica bianca senza maniche aderente alla vita e scampanata in basso ìndossata dalle spose era la  recta.  insieme  ad essa veniva abbinato  il flammeum, ampio velo di colore giallo fiamma che si appoggiava sul capo e fatto scendere sul retro .
Classico mantello femminile simile al mantello greco, molto usato a Roma,  era la palla. Equivalente del pallium maschile, ne differiva per la vivacità dei colori.
Ovidio nella sua Ars Amandi dirà:
'Quando il pallio di lei pende troppo e tocca il terreno, prendilo e sollevalo con delicatezza dal fango della strada: Come ricompensa ai tuoi occhi si presenterà subito, senza che la fanciulla possa evitarlo, lo spettacolo delle sue gambe .'
 Uno scialle di origine orientale in seta liscia o damascata o in velo ricamato che dettò legge per tutto l’impero fu il babilonicum. Si poneva intorno ai fianchi mettendo in risalto fianchi e sedere.
Nella storia dell’abbigliamento occidentale il passaggio dal periodo classico al periodo medievale fu piuttosto lungo. L’impero bizantino continuò infatti ad esistere per altri mille anni dopo la caduta dell’impero romano d’occidente, e la tunica rimase l’indumento di base per  uomini e donne delle classi più abbienti con una continuità di stili testimoniata da numerose opere di pittura e mosaici.
In occidente le invasioni barbariche provenienti dal nord diffusero calzoni, tuniche aderenti e cappucci, ma solo tre secoli più tardi si sviluppò uno stile occidentale vero e proprio, derivato dall’incontro tra i modelli romani e le forme nordeuropee.
Philippe Perrot nel suo libro 'l sopra e il sotto della borghesia ', scrive che ' la cauzione morale dell’abbigliamento  visibile permette di parlare, mentre quella dell’abbigliamento nascosto reclama il silenzio ', ma noi dopo avere tanto parlato dell’abbigliamento di sopra, violeremo l’interdetto del Perrot e ci permettiamo di parlare anche dell’abbigliamento  nascosto, ovvero dell’intimo per eccellenza . Le mutande.
Qualsiasi vocabolario, consultato a riguardo, dirà, più o meno :
MUTANDE : ( mutandae vestes, vesti da cambiarsi ). Indumento di forma simile ai calzoni, per lo più corto, fatto di tela o di maglia leggera e facilmente lavabile, che si porta  contro la pelle per pulizia, igiene, pudore.
La parola deriva, quindi, dal latino e ne spiega l’uso e l’utilità.
Non risulta che molto sia stato scritto su questo speciale indumento che, col nome di mutande, le donne portano sotto le vesti, di quei dessous femminili che la moda ha reso eleganti, seducenti, minimi, vaporosi, spumeggianti di trine, di merletti,di ricami.
Ben pochi saprebbero dire se sono un’invenzione moderna dell’arte della seduzione o se già erano usate ab antiquo dalle signore, per esempio nei periodi della raffinata civiltà romana, greca, egizia ed assira.
Sembrerà strano, ma l’uso generale delle mutande femminili è, si può dire, abbastanza recente.
Se qualcuno avesse interrogato la propria nonna o bisnonna avrebbe appreso che esso risale a non più di 160 anni fa, essendosi diffuso solo dopo il 1850.
Nel proseguo di questa trattazione vederemo quali circostanze abbia reso necessaria tale difesa contro.....il freddo.
Per quanto attiene alla morale, va notato fin d’ora che essa non sembra difesa più di prima e, per convincersene basta vedere gli ultimi modelli.
Americo Scarlatti, in proposito, così si espresse nel 1925:
'Chi pensa che l’uso delle mutande sia stato imposto per difesa della 'debolezza femminile' contro le sorprese dei sensi, dimostrerebbe di avere poca stima dell’onore delle donne se lo fa dipendere soltanto da un così fragile ostacolo'.
L’uso delle mutande, come sopra detto, è relativamente recente,ma bisogna subito precisare che esso è altresì molto antico.
In questa affermazione non vi è alcuna contraddizione se pensiamo che si tratta anche qui di una delle tante raffinatezze della vita che, con lo sparire della civiltà antica, si erano dileguate per riapparire soltanto molti secoli dopo con la civiltà moderna.
Nell’antico Egitto più che di mutande si può parlare di un unico vestito che veniva indossato da uomini e donne e consisteva in un semplice perizoma, giustificato anche dal clima caldo del paese.
Ingannati dalla statuaria antica siamo portati a pensare che gli antichi greci non usassero mutande, invece uomini e donne, sotto il vestito, portavano le anaxyrides, come i medi e i persiani,ma più che mutande vere e proprie erano dei pantaloni che difendevano dal freddo.
 A Roma era severamente proibito indossarli : essi sono un indumento estraneo alla cultura romana e mediterranea. Peraltro è noto che li indossavano solo i nemici di Roma, i barbari, cioè i Celti e i Germanici a nord e i Parti in oriente.
All’epoca di Traiano li indossavano solo i  legionari: sono dei modelli molto aderenti, di stoffa o di cuoio, che terminano sotto il ginocchio. Ma ,alla fine, i pantaloni conquisteranno Roma per la loro comodità e diventeranno parte integrante della moda romana.
Per quanto attiene alle mutande, è provato che le donne indossavano da tempo quelle che possono chiamarsi mutande ma, di fatto, erano una specie di perizoma in lino, chiamato subligar,subligatus o subligaculum, che si annodava intorno alla vita e fasciava le parti intime. Per gli uomini tale perizoma si ci chiamava  licium, mentre Il campestre era un perizoma indossato dai soldati nell’allenamento nel Campus Martius.
Successivamente le mutande  furono veri e propri calzoncini che arrivavano sopra il ginocchio: la prova l’abbiamo grazie ai cadaveri scoperti a Pompei.
In un gruppo di questi si è trovata una vecchia coricata sul fianco come per dormire. Due  anelli di ferro nelle dita ci dicono della sua povertà e sulle cosce si riconoscono delle mutande di stoffa sottile, mentre il resto delle vesti è di stoffa grossolana. Una giovinetta, per meglio fuggire, aveva
rialzato le vesti che formano un fagotto sul ventre, ed anche in questa giovane le cosce sono ricoperte di una fine stoffa foggiata a mò di vere mutande.
Nell’antichità, dunque, le mutande erano portate persino dalle donne del popolo.
Va precisato, però, che l’adozione di tale indumento era tassativamente obbligatorio per tutti gli attori, le attrici, le cavallerizze e i ginnasti.
Quest’obbligo risulta chiaramente in un passo di Cicerone nel DE Officiis,I,35 :
'Scaenicorum mos tantam habet a vetere disciplina verecundiam, ut in scaena sine subligaculo prodeat nemo  : verentur enim ne, si quo casu evenerit ut corporis partes quaedam aperiantur, adspiciantur non decore '
' Il costume scenico per antica disciplina è tanto verecondo che nessuno può presentarsi sulla scena senza mutande, affinché se per caso certe parti del corpo venissero ad essere scoperte, non siano indecentemente contemplate '
E’ bene ricordare che le parti femminili, almeno nei mimodrammi, erano sostenute da prostitute.
Che l’uso delle mutande, comunque, non fosse esclusivamente riservato alle attrici, alle acrobati e saltimbanchi ce lo attesta anche Marziale in un suo epigramma (Epigr. VII,67) quando nomina una tale Filene, donna maritata, la quale, giocando alla palla, aveva dimenticato di mettere il subligatus.
Nel medioevo, epoca di barbarie, ciò che nella civiltà antica, la decenza  e la pulizia avevano suggerito era stato del tutto dimenticato, come tutto ciò che non era strettamente necessario alla vita. In alcuni casi però anche allora le donne erano costrette ad indossare le femoralia , specie quando dovevano mettersi in viaggio trottando a cavallo per i cattivi sentieri d’Italia, di Francia o di Alemagna e le selle per uomini e donne erano uguali. Allora un buon paio di mutande diventava per esse di assoluta necessità per evitare l’immediato strofinio dell’arcione sulla nuda pelle.
Tranne questo caso eccezionale, l’uso delle mutande femminili si era completamente perduto e la mancanza di tale indumento ha dato origine a non poche allegri aneddoti che si possono leggere nei Fabliaux e nei romanzi di cavalleria.
Nel medioevo le mutande scomparvero del tutto per quanto talvolta vengano citate le femoralia, le feminalia o sarabullias lunghe fino al ginocchio e mal tollerate dalle nobildonne.
Esse rimasero come indumento esclusivamente maschile, solitamente in lino, e di lunghezza variabile a seconda della moda del periodo.
Più che le mutande, sarà la camicia l’indumento che avrà più successo nell’abbigliamento e sarà ritenuta  tanto importante da figurare nei rogiti notarili in occasione di contratti di matrimonio e di testamento.
In un rogito notarile del 1120 si può leggere : Recepi camisiam unam ed ancora  in un rogito del 1147 : Ad Iemma, cognata mea, detur ei camisia.
Nessun accenno si fa mai di mutande in qualsiasi modo venissero chiamate.
Nel Trecento, comunque, le mutande non venivano indossate dalle donne e anche gli uomini, quanto meno nelle campagne, se il clima lo permetteva, ne facevano a meno, nonostante la moda avesse imposto l’accorciamento della veste maschile sotto l’inguine. Al proposito ci soccorre Giovanni Boccaccio che nel suo Decameron, nella prima novella della terza giornata ci narra di come la badessa di un convento sito nei paraggi di Firenze ' andando un dì tutta sola per lo giardino,  essendo il caldo grande, trovò Masetto......tutto disteso all’ombra d’un mandorlo dormirsi e avendogli il vento i panni dinnanzi levati indietro, tutto stava scoperto '.
Bisogna arrivare al Rinascimento per vedere riapparire le mutande per le signore, anche sotto forma di calzoncini. E l’Italia era allora il paese che dettava le leggi della moda.
Il loro uso, comunque, va ricordato  rimaneva sempre obbligatorio per le prostitute e le donne di spettacolo, in quanto  imposto da apposite leggi di polizia, pena la fustigazione ed il carcere.
Le prostitute, in particolare, le portavano lunghe fino al ginocchio: Erano spesso confezionate con tessuti d’oro e d’argento, ornate da ricami e pietre preziose e impreziosite da nastri e ne fecero un simbolo del loro mestiere: le lasciavano intravedere attraverso gli spacchi delle gonne o le mostravano tirando su le gonne attraverso un sistema di fili.
A quel tempo, anche le nobildonne e le aristocratiche, anche se non tutte, indossavano questo tipo di mutande. Risulta che ne facesse  uso Lucrezia Borgia e  nell’inventario del guardaroba della famosa cortigiana Tullia d’Aragona, figlia della celebre Giulia Ferrarese che si vantava di averla avuta da una relazione con il cardinale Luigi d’Aragona, figurano ben undici mutande di cotone.
In Francia le mutande, praticamente scomparse fino al XVI secolo furono rilanciate da Caterina de’ Medici, seguita da altre nobildonne fra cui Maria Stuarda che, nel 1580, risultava possederne ben quattro paia definite ' calzoni a la galeotta'.
Brantòme, nelle sue Dames galantes parla dei ' petits caleçons de toile volante et blanches ' da esse indossate e anche di ' beaux caleçons de toile d’or et d’argent '.
Nel 1500 a Venezia e a Genova erano solo le prostitute che portavano le braghesse. Di esse ne hanno lasciato memoria gli scrittori del tempo che ne descrivevano la grande varietà delle stoffe usate per la loro confezione e l’abbondanza di trine e ricami.
Va ricordato, però, che i Provveditori di Venezia interverranno più volte per interdire alle donne veneziane l’abuso del lusso eccessivo nella confezione di tale indumento.
Nei secoli successivi le mutande femminili, il cui uso del resto non era mai diventato generale, cadono di nuovo in disuso, ma indossarle rimane sempre obbligatorio per le prostitute e le donne di spettacolo.
La Chiesa, in pieno periodo di Inquisizione, in uno con i protestanti, le riteneva strumenti osceni, satanici e libidinosi.
Con Luigi XIV comincia l’egemonia di Parigi, che diventa la capitale più o meno morale del mondo civile e le mutande, per il semplice fatto che il loro uso veniva dall’Italia, vengono ripudiate, almeno dalle donne oneste.
Il De La Lande, nel 1756, in occasione di un suo viaggio in Italia, si meraviglia che le signore veneziane portassero mutande, mentre viceversa mostravano molto scoperto il seno : ma osserva, altresì,che di quante capitali egli aveva visitato, Venezia era quella dove meno erano seguite  le  mode e l’eleganza di Parigi.
Ancora verso la fine del secolo XVIII, al sopravvenire della rivoluzione francese, le donne oneste non indossavano mutande.
Il Mercier, nel suo Tableaux de Paris, nota che ' excepté les actrices et les danseuses, le Parisiennes ne portent point de cale¢on '
Durante le sommosse che susseguirono alla note del 4 agosto 1789, era diventato passatempo del popolino francese il dar la caccia alle donne dell’aristocrazia, alzarne le vesti e somministrare loro le più energiche fesseés, ma neppure queste fesseés civiques o fesseés patriottiques poterono indurre le signore parigine ad adottare le protettrici mutande.
Come abbiamo visto neppure la Rivoluzione, che tanti mutamenti doveva portare nella vita e nelle usanze sociali riuscì ad imporre l’uso delle mutande femminili.
Nell’opera del Gersalt del 1805: L’art de la lingère.-Traité tecnique et complet de la lingerie, le mutande da donna non sono neppure nominate e doveva passare ancora più di mezzo secolo prime che le signore si decidessero ad adottarle.
Ma già nel 1807, in Francia, vengono proposti commercialmente i pantaloni : sono dei mutandoni lunghi fino alla caviglia ornati in fondo da pizzi e volant. E’ un capo di lingerie importato dal nord, soprattutto dall’Inghiterra e Olanda e sostenuto dai medici che ritengono possa prevenire i reumatismi, avversati da altri medici che, invece, sostengono che la stoffa avrebbe impedito il regolare passaggio dell’aria favorendo malattie e conseguenti disturbi alla procreazione.
La borghesia, comunque, all’inizio, ne resta scandalizzata perché ricorda troppo  il costume delle ballerine e delle prostitute.
Sotto Luigi Filippo, questo indumento non risulta incluso nel corredo delle educande presso le Orsoline e se successivamente esso fu adottato, lo fu solo per le fanciulle le quali, appena si facevano donne e allungavano le vesti, si affrettavano ad abbandonarlo.
Nel 1856, la contessa di Castiglione si presentò ad un ballo in costume alle Tuilleries vestita da Dama di cuori: non aveva indosso che una rosea maglia di seta, un trasparentissimo velo ed  una collana di grande valore formata da cuori d’oro tempestati da brillanti.
Poco dopo, Napoleone III le faceva dono di un paio di mutande che i maligni chiamarono 'coprivulva imperiale', e l’ammonì dicendo: 'le mutande sono una virtù elastica, prima di abbassarle bisogna riflettere '.
Tomasi di Lampedusa nel suo Il Gattopardo descrive il corredo della figlia del Principe Fabrizio, Concetta, inutilmente preparato: ' le quattro casse verdi contenevano dozzine di camicie da giorno e da notte, di vestaglie, di federe e di lenzuola suddivise in 'buone' e 'andanti'......e sotto l’ubiquitaria umidità palermitana, la roba ingialliva, si disfaceva, inutile per sempre e per chiunque'.
Come si vede, si citano camicie, vestaglie, federe e lenzuola, ma non vengono mai  indicate le mutande per il semplice fatto che di esse non si faceva uso.
Alla fine, pur fra molte resistenze, le mutande entrarono a far parte della biancheria femminile. Il modello era formato da lunghe brache tubolari che le donne tenevano accuratamente nascoste.
Erano aperte sul davanti: i due calzoni che le componevano erano saldati sul davanti nella cintura, che posteriormente continuava con due cordicciole le quali stringevano alla vita l’indumento.
Era vietato nominarle e, se il caso lo imponeva, le si chiamava tubi della decenza. Qualcuna, più ardita, in privato, le definì ' sipario dell’amore '.
Umberto 1° di Savoia non fece mistero di non soffrire le donne che indossavano mutande e bisognò, comunque, l’inizio del 1900 perché entrassero nell’uso anche delle classi popolari che fino ad allora le consideravano un optional, un lusso  senza senso.
Sarà negli anni venti del 1900 che le mutande si modernizzeranno un po’ : cominceranno, infatti, a comparire le prime mutandine nere anche se erano ancora lunghe al ginocchio.
In seguito, con l’accorciarsi delle gonne e il mutare della società, dai mutandoni, si passò alle mutande vere e proprie molto alte in vita, fatte a palloncino e contenitive.
All’inizio degli anni sessanta del 1900, le mutandine si faranno via via sempre più leggere, carine e colorate di dimensioni sempre più ridotte e il loro uso sarà accettato e rimarrà consolidato anche nel pieno della rivolta femminista degli anni 70 quando, invece, saranno disprezzati i reggiseni.
Le mutande, nelle sue varie dimensioni e colori, sono oggi l’indumento divenuto necessario, sia per gli uomini che per le donne, anche se ancora non tutti ne fanno uso, quanto meno in certi momenti e situazioni. In particolare le donne dello spettacolo e della moda preferiscono rinunciarvi specie sotto certi abiti da sera, per evitare che l’intimo risulti visibile.
Per finire, dirò che il re Umberto 1° di Savoia, se, a suo tempo, avesse conosciuto le mutande attualmente in voga, non avrebbe espresso l’opinione, non a torto ispiratogli dalle mutande allora tanto brutte,  che lo aveva indotto a dichiarare di non potere soffrire una donna in mutande !    Giuseppe Fiorino
                                                         

Autore Prof-Greco

social bookmarking

  • Relazioni svolte, Giuseppe Fiorino, universita, formazione, Trapani in Facebook
  • Relazioni svolte, Giuseppe Fiorino, universita, formazione, Trapani in Twitter
  • Relazioni svolte, Giuseppe Fiorino, universita, formazione, Trapani in Google Bookmarks
  • Relazioni svolte, Giuseppe Fiorino, universita, formazione, Trapani in del.icio.us
  • Relazioni svolte, Giuseppe Fiorino, universita, formazione, Trapani in Technorati

Inserito il 03 Marzo 2012 nella categoria Relazioni svolte