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Lucrezio e la visione cosmica

Antonino Tobia ha disquisito sull'opera 'De rerum natura' di Tito Lucrezio e sull'interpretazione naturalistica del mondo epicureo

Relatore: Prof. Antonino Tobia

Lucrezio e la visione cosmica

tento per te di comporre parole,

un canto che sia come una  chiara luce

[b]da spandere nella tua mente,[/b]sì che tu possa a fondo vedere le cose nascoste. (De rerum natura, I, 142-145)

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Il poema De rerum natura di Lucrezio rappresenta il primo grande documento di poesia didascalica della letteratura latina per la vastità dell’impegno dell’autore, che con l’ispirazione di un profeta si erge a sconfiggere le  tenebre dell’ignoranza , superare ogni forma di superstizione e aprire le menti alla luce irradiata dalla ragione, sulla scia della dottrina del filosofo greco Epicuro. Sennonché il poeta romano va ben oltre quanto ha assimilato dal maestro e si cimenta con la profondità dello scienziato e la sua potente vis poetica nell’arduo progetto di spiegare la natura e i suoi meccanismi in ogni forma di vita.[b]T. Lucrezio Caro nacque all’inizio del I sec. a. C. e morto verso la metà degli anni cinquanta. Della vita del poeta si hanno poche notizie. A noi è pervenuta la testimonianza di san Gerolamo (347-420), ripresa dalCronicon di Eusebio di Cesarea (263-339):Lucretius poeta nascitur. Qui postea amatorio poculo in furorem versus, cumaliquotlibros per intervalla insaniaeconscripsisset, quospostea Cicero emendavit, propria se manuinterfecit anno aetatis XLIII. Secondo san Gerolamo Lucrezio sarebbe morto all’età di quarantatré anni, nel 51 a. C., vittima di un filtro velenoso propinatogli da una donna malvagia. Il veleno aveva reso instabile la sua mente e ad intervalli tra il senno e la follia aveva composto i libri del De rerum natura, emendati e pubblicati da Cicerone. Secondo la Vita di Virgilio del grammatico romano Elio Donato, che fu maestro di retorica di san Gerolamo, Lucrezio sarebbe morto l’anno in cui Virgilio indossò la toga virile all’età di diciassette anni e precisamente nel 53 a. C. . Entrambe le fonti attingono ad un testo di Svetonio per noi perduto. Il filologo romano Valerio Probo (50 d. C.- 105 d. C.), che scrisse prima di Svetonio su Lucrezio, della cui opera curò un’edizione critica, ci informa che il poeta si tolse la vita  impiccandosi o  gettandosi sulla spada a quarantaquattro anni, impazzito per un mortale beveraggio somministratogli da una perfida femmina, una certa Lucilia, gelosa del giovinetto Asterion, dal quale Lucrezio pare fosse attratto.[/b]È probabile che la vita di Lucrezio fosse tormentata da frequenti passioni erotiche, che rendevano la sua esistenza incline alla malinconia, che prendeva il sopravvento ogni qual volta il furore della passione si spegneva e lasciava il vuoto della disperazione. Della malinconia, ricorda Ezio Cetrangolo nella sua mirabile introduzione al testo lucreziano, il Tasso tracciò un’attenta analisi in un suo dialogo (VI,46), scrutandola in se stesso e in altri grandi personaggi, tra cui Lucrezio che, secondo il poeta della Gerusalemme liberata, si uccise vittima della maninconia, dove il vocabolo manìa in greco definisce la pazzia, il furore, ma anche l’ispirazione divina.[b]Lucrezio, comunque, non doveva vivere appartato, come imponeva la regola epicurea del làtebiòsas, se – riferisce Probo – aveva rapporti di amicizia con personaggi di primo piano, come Tito Pomponio Attico, uomo di eccelsa cultura, Marco Giunio Bruto, Gaio Cassio Longino, politici legati alle istituzioni repubblicane e uccisori di Cesare, Marco Tullio Cicerone, il più insigne oratore del suo tempo. Proprio al giudizio critico di Cicerone  Lucrezio sottoponeva i  proprirecentia carmina e ne seguiva le correzioni stilistiche e le esortazioni a non eccedere nei traslati. Dell’interesse che l’oratore romano, lontano dal pensiero di Epicuro, la cui dottrina aveva conosciuto negli anni giovanili, si ha testimonianza diretta nella lettera al fratello Quinto del febbraio 54 a. C. : Lucretiipoemata, ut scribis, ita sunt, multisluminibusingenii, multaetamenartis. Dalla breve citazione di Lucrezio nella parte finale della lettera al fratello, appare chiaro che Cicerone aveva ricevuto da Quinto un giudizio totalmente positivo del poema lucreziano, giudizio che egli condivideva, anche se  riscontrava nell’opera un eccesso di ars.Si può obiettare comunque che la congiunzionetamenpuò non essere interpretata in senso avversativo, bensì in funzione correlativa, che aggiungerebbe un ulteriore apprezzamento all’opera  del poeta, che è riuscito a fondere perfettamente ispirazione  e tecnica espressiva; valutazione condivisa dai maggiori studiosi contemporanei, da Concetto Marchesi a Giusto Monaco. Del resto, se Cicerone avesse nutrito una benché minima perplessità sul valore poetico del lavoro di Lucrezio, di certo non si sarebbe preso l’onere di pubblicarlo, considerata peraltro la sua avversione all’eticaepicurea, che contrapponeva l’otium e il piacere catastematicoall’officium e al negotium[/b]Grazie all’insigne umanista Poggio Bracciolini l’opera di Lucrezio è tornata alla luce.Nel 1414 , in una stagione di scismi e di antipapi, era stato convocato a Costanza un concilio. Poggio Bracciolini faceva parte della corte papale e, giunto nella città tedesca, aveva cominciato a girare per monasteri alla ricerca di antichi codici. La fortuna gli arrise e in una abbazia si imbatté nella  preziosa opera di Lucrezio, l’ultima copia sopravvissuta, di cui conosceva l’esistenza grazie a diverse fonti antiche, tra cui Cicerone ed Ovidio.[b]In un suo saggio del 2011 lo studioso americano Stephen Greenblatt scrisse del ritrovamento come di una scoperta che avrebbe cambiato la storia della cultura europea. Il De rerum natura, riscoprendo la filosofia di Epicuro, favorì, secondo lo studioso, gli studi umanistici e il Rinascimento con la sua visione antropocentrica, di contro al teocentrismo medievale.[/b]Durante il Medioevo, infatti, la Chiesa aveva tentato di oscurare il pensiero di Epicuro per la sua concezione materialistica, che includeva la natura fisica e spirituale dell’uomo. Anche Dante condannava all’Inferno il filosofo greco tra gli eretici 'che l’anima col corpo morta fanno' (canto X).Poggio Bracciolini era segretario del cardinale Baldassarre Cossa, eletto papa nel 1410 col nome di Giovanni XXIII. Ma questa elezione era stata subito contestata, perché si accusava il nuovo papa di avere avvelenato il suo predecessore, Alessandro V, ed inoltre di appartenere ad una famiglia di corsari. Eletto papa, aveva organizzato un fruttuoso mercato di cariche ecclesiastiche. Accusato, quindi, di simonia, veniva considerato da una parte del collegio cardinalizio un antipapa e gli veniva contrapposto un cardinale aragonese Pedro De Luna, che prendeva il nome di Benedetto XIII, con sede ad Avignone. Successivamente era innalzato al soglio pontificio il veneziano Angelo Correr col nome di Gregorio XII, che due anni prima di morire rinunciava al ministero petrino. Costretto a lasciare Roma per l’intervento armato del re di Napoli, Cossa si rifugiava a Firenze e chiedeva aiuto all’imperatore Sigismondo di Lussemburgo. Questi però pretese che il suo protetto indicesse il concilio a Costanza per discutere anche delle eresie di JanHus, il riformatore ceco, che ancor prima di Lutero aveva intrapreso la sua lotta contro la corruzione del clero e il mercato delle indulgenze, ed era stato scomunicato nel 1410.  Sul lago di Costanza si riunirono migliaia di vescovi, cardinali, duchi, principi elettori,  ambasciatori, cinque mila monaci e frati, diciottomila sacerdoti e altri dignitari ecclesiastici. Hus fu convocato dal papa e dall’imperatore con la promessa dell’immunità. Fu però una trappola. Venne infatti arrestato senza che gli fosse stato concesso di esporre le proprie tesi, e condannato al rogo come eretico. Giovanni XXIII, abbandonato dall’imperatore, tratto in arresto, per qualche tempo fu rinchiuso nella stessa prigione in cui era stato condotto Hus prima di essere bruciato vivo. Accusato di simonia, sodomia, stupro, incesto, omicidio, fu deposto al termine del processo nel 1417. Tra i capi d’imputazione, fu rilevante quello di un suo ex collaboratore, il quale dichiarò che il papa in un solo anno aveva violentato duecento donne vedove, giovani spose e suore. Il successore papa Martino V lo reintegrò nel sacro collegio come vescovo . Nel 1419 morì e fu sepolto nel battistero di Firenze come da lui richiesto. Il 28 ottobre del 1958 fu eletto papa il cardinale Angelo Roncalli, che scelse coraggiosamente il nome dell’antipapa Giovanni XXIII, perché venisse cancellato dalla storia della Chiesa il nome del discusso omonimo.[b]Poggio Bracciolini, piuttosto che tradire il papa, aveva preferito prendere le distanze dagli intrighi conciliari  e lasciare Costanza per andare in giro alla ricerca di testi antichi, la sua vera passione. A Fulda, un’abbazia fondata nell’VIII secolo, trovò il De rerum natura, il poema di Lucrezio di 7.400 versi esametri.[/b]Lucrezio, di cui s’ignora il luogo di nascita, come pure la sua estrazione sociale, era ancora un fanciullo quando fu combattuta la guerra civile fra Mario e Silla tra l’86 e l’82 a. C. , seguita dalla guerra sertoriana tra Silla e le rimanenti forze mariane in Spagna, guidate da Quinto Sertorio, a lungo combattuto da Pompeo. Era già morto quando esplose la guerra civile del 49-44 tra Cesare e Pompeo. Lucrezio aveva assistito, quindi, non solo all’espansione politica e militare della res pubblica, ma ne aveva colto anche il lato debole, rappresentato dall’ambizione dei protagonisti, che disponevano, come Mario e Silla e poi Cesare e Pompeo, di potenti forze militari, obbedienti ai loro generali e sempre meno agli ordini del senato. A vent’anni circa dalla sua morte, la costituzione romana repubblicana , che aveva suscitato l’apprezzamento dello storico greco Polibio, veniva travolta a seguito della vittoria di Ottaviano su Antonio nella battaglia di Azio del 31 a. C. , che segnava l’ascesa al potere imperiale di Ottaviano Augusto.Il poema inizia con l’invocazione a Venere, in linea con la tradizione dei poeti epici che chiedevano l’ispirazione ad una divinità. La madre dei Romani, discendenti di Enea, è scelta come generatrice di vita, di amore e di pace.  L’alma Venus è quindi oggetto della sua preghiera, sebbene la sua formazione epicurea non gli consenta di credere che gli dei ascoltino le preghiere degli uomini.Tuttavia, il discepolo di Epicuro non è in contraddizione col la dottrina del suo maestro. L’invocazione non è solo un topos letterario, in quanto la dea è invocata dal poeta quale forza divina che presiede alla riproduzione delle specie e alla perennità della vita.  E l’epicureismo non negava l’esistenza degli dei, ma solo la loro partecipazione alle vicende umane. Se, poi, il vero obiettivo era quello di invocare la pace per i Romani, nessuna altra divinità poteva meglio significarne il valore. Occorre, inoltre, notare che qui sulla dottrina del filosofo prevale l’amor patrio delcivisRomanus, che in hoc patriai tempore iniquo si preoccupa delle sorti della res publica, affidate ad eroi come Gaio Memmio, governatore della Bitinia, innalzato ad emblema della res militaris. Del resto, La diffusione del credo epicureo attraverso la poesia incontrerebbe molte difficoltà se Roma fosse dilaniata da guerre esterne ed intestine.Anche la scelta della poesia non è casuale. Essa mira ad avvicinare al messaggio epicureo anche i più riottosi, sicché l’utile si unisce al dolce: Perché troppo arida appare questa dottrina/ a quelli che poco la trattano/ e indietro la gente da lei si ritrae,/ esporla ho voluto per carmi di dolci parole/ e aspergerla quasi del dolca miele poetico (l. IV, 18-22).I medesimi versi il Tasso inserirà nel proemio della sua Gerusalemme liberata.Di contro alla violenzae alla brutalità di Marte, dio della guerra,Lucrezio contrappone la sensualità e la dolcezza di Venere, la dea del piacere in senso epicureo e dell’amore generatore di vita :  Il proemio è quindi un inno alla pace, simboleggiata dalla madre di Enea, la dea che ha consentito all’esule troiano di gettare le fondamenta di una nuova patria nella terra laziale, per dar vita al più grande impero mai sorto sotto la luce del sole.Poiché tu sola, alma Venus, puoi rendere sereni i cuori mortali con una pace tranquilla, avvolgi col tuo corpo il signore delle armi, Marte, quando poggia sul tuo grembo il delicato collo con la testa riversa;e mentre il dio pasce d’amore il suo avido sguardo, chiedi per i Romani una vera e duratura pace.Il capolavoro lucreziano spalanca le porte alla scienza moderna, unendo insieme fisica e poesia, psicologia e teologia, antropologia e cosmologia. Alla base del suo pensiero Lucrezio pone la dottrina filosofica e scientifica dell’atomismo, che ha i suoi fondatori in Leucippo  e Democrito (341-270 a, C.). L’atomismo, avversato da Platone (428-348 a. C.) ed Aristotele (384-322 a. C.) per il suo materialismo, viene ripreso da Epicuro (341- 270 a. C.), e al filosofo dell’età ellenistica si richiama Lucrezio.  L’atomismo nega la divisibilità all’infinito della materia, che è composta da elementi minimi indivisibili, che chiama atomi.  Tali elementi non si differenziano per qualità, ma per quantità : peso, forma e grandezza. Le differenze qualitative sono erroneamente percepite come tali dai sensi; in realtà sono gli elementi quantitativi a fornirci le sensazioni di colore, di sapore, di tatto. Gli atomi sono infiniti di numero, eterni e si muovono nello spazio vuoto, soggetti alle leggi della meccanica.  Per superare il determinismo atomistico, Epicuro ammette che gli atomi non cadono dall’alto in basso in linea retta, ma posseggono un impulso interiore, che li fa deviare. È questo il clinamen, che spiega non soltanto sul piano fisico la formazione della varietà della natura, ma anche la libertà delle azioni umane, soggette ad una volontà mutevole e imprevedibile. Intento a diffondere le teorie del maestro Epicuro, Lucrezio è convinto che il mondo e le sue leggi fisiche sono prevedibili fino ad un certo punto, oltre il quale tutto è imprevedibile. La stabilità dell’ordine cosmico degli atomisti deve fare i conti con l’indeterminatezza delcaos. Conclude, a tale proposito, il filosofo Robert Rowland Smith che Lucrezio ha volutodivulgare con duemila anni di anticipo il principio di indeterminazione di Heisenberg, che ha superato il determinismo meccanicistico a seguito degli sviluppi della meccanica quantistica. Ma al di là degli aspetti fisici, l’obiettivo che si propone Lucrezio è quello di liberare gli uomini della paura della morte e del giudizio divino. La serenità dello spirito è l’ideale del saggio, che deve conquistare l’atarassia attraverso la ragione, mostrandosisapiente, temperante, forte, insomma applicando alla sua vita quelle che il Cristianesimo chiamerà virtù cardinali, già note agli epicurei e agli stoici.La paura della morte è facile vincere, se ci rendiamo conto che non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi (Lettera sulla felicità a Meneceo).  Se poi anche l’anima è composta di atomi, anch’essa si disgrega con la morte fisica e quindi non è soggetta ad alcun giudizio divino. Del resto, anche se gli dei dovessero esistere, essi vivrebbero negli intermundia, dove conducono la loro esistenza eterna e beata, indifferenti alla vita degli uomini. Sul piano morale, l’uomo tende per natura a ricercare il piacere e a fuggire il dolore. Il raggiungimento della felicità attraverso il piacere rientra nella concezione edonistica dell’esistenza. Ma la concezione del piacere, che deriva a Lucrezio da Epicuro, non è il piacere cinetico (in movimento), bensì il piacere catastematico, cioè sedato, statico che consiste nella pura assenza del dolore (aponia)e di ogni turbamento (atarassia). La felicità non è data dai piaceri effimeri che durano un istante e lasciano l’uomo più insoddisfatto di prima, perché sono legati al corpo e alla soddisfazione dei sensi. Il piacere catastematico è invece durevole, perché si fonda sulla moderazione, che rende l’uomo felice di quello che ha e gli insegna a vivere ogni momento della vita come fosse l’ultimo, lontano dall’inseguire la ricchezza e frenando ogni ambizione. Ne deriva una concezione della vita appartata, riservata, dedita all’otium, da vivere lontano dalla folla, ma insieme a pochi amici, con i quali condividere una serena felicità. Si può facilmente notare che una siffatta morale ha ben poco dell’edonismo, di cui è stato accusato soprattutto dai pensatori cristiani. La morale che Lucrezio vuole diffondere a Roma è un incitamento alla pace esteriore ed interiore, un appello alla razionalità, alla giustizia, all’amicizia, alla liberazione delle paure e di ogni superstizione. Lucrezio si rende conto che il suo pensiero potrebbe essere equivocato e considerato empio. Ma dimostra che l’empietà è insita in certe forme di religione. Cita, perciò, il sacrificio di Ifigenia per mano del padre Agamennone, vittima della superstizione. È  il sonno della ragione che genera mostri, è al contrario la scienza che fuga ogni paura e mette l’individuo nelle condizioni di conoscere meglio se stesso e la natura e scoprire che i semina rerum, gli atomi, rappresentano l’origine di ogni cosa : la nascita come aggregazione, la morte come disgregazione. Anche l’anima è soggetta alla disgregazione degli atomi che la compongono, quando si stacca e va fuori dal corpo dell’uomo.

Immagine riferita a: Lucrezio e la visione cosmica

[b]Perché una smania atroce di vivere ci fa trepidare[/b]

Tanto nei pericoli incerti della fortuna?

Eppure sta fissa ai mortali una fine sicura,

la morte inevitabile termine ultimo.

La via che facciamo affannati è sempre la stessa

Né il tempo ci mostra vivendo un nuovo piacere.

[b]…..[/b]

Che cosa per sorte ci rechi il futuro è incerto…

Né prolungando la vitapotremo niente sottrarre

[b]Al tempo che segue la morte, neppure un minuto. (III, 1076-1089 passim)[/b]

Nel IV libro il poeta affronta il tema dell’attività sensoriale. Tutte le nostre facoltà e le nostre conoscenze derivano dai sensi,  Questi, l’udito, la vista, il tatto, l’olfatto,  il gusto, ricevono dei flussi atomici:

[b]Il suono e la voce si odono quando per [/b]

[b]entro le orecchie insinuandosi batton l’udito.[/b]

[b]È chiaro che la voce e il suono sono di natura [/b]

[b]Corporea se destano e scuotono i sensi…[/b]

[b]L’asprezza del suonoderiva da atomi ruvidi,[/b]

[b]la dolcezza da atomi lisci…[/b]

[b]Gli atomi quindi colpiscono i sensi in vario modo. Per esempio, il leone non può sostenere la vista di un gallo che chiama l’aurora con voce squillante. Esistono atomi che appena raggiungono agli occhi un leone, ne forano  sì le pupille di acuto dolore, che quello , sebbene feroce, non può sopportare. Le immagini che vediamo nel sonno sono fatte di atomi più tenui (simulacra). L’animo veglia di notte nel sonno, perché è scosso dalle immagini che ha visto di giorno. E nascono i sogni perché i sensi sono assopiti e non sono in grado di opporre le immagini vere a quelle sognate, anche perché la memoria è debole nel sonno.[/b]Tra le sensazioni, un posto di riguardo spetta a quelle che provengono dall’amore. Secondo la dottrina epicurea, l’amore è un bisogno elementare e naturale dei sensi, come quello del mangiare del bere e del riposare.Lucrezio coglie dell’amore soprattutto gli aspetti psicologici,  in chiave negativa: l’amore è rabies e furor, un’illusione come quella che si prova sognando.

Chi fugge l’amore non si priva dei piaceri di Venere

Anzi ne prende i vantaggi senza soffrire.

Il piacere di chi è sano di mente è superiore a quello di miseri amanti

L’ardore degli amanti, nel momento in cui si vuole possedere l’amata,

Si dà a smanie confuse: essi non sanno se saziare prima gli occhi o le mani

s’afferrano con le mani producendo dolore al corpo

Si mordono le labbra baciandosi, e ferendo la bocca con i denti.

Ciò significa che non si vuole provare un puro piacere

Ma si è indotti da stimoli che spingono l’amante

al tormento del corpo. (1073-1083)

[b]L’amore si esprime come rabbia, perché a differenza dei cibi che penetrano nel corpo e lo soddisfano placando la fame e la sete, l’amore resta insoddisfatto, perché di un bel viso, di un bel colorito, di uno sguardo affascinante, nulla penetra nel corpo, ma sono  tenui simulacri che non lo fanno godere appieno perché non sono assimilati. Pertanto l’amore genera rabbia e furore e il saggio deve starsene lontano, o quantomeno deve evitare di legarsi forsennatamente ad un solo amore.[/b][b]L’amore unico si aggrava di giorno in giorno, diventa passione rovinosa e trascina alla pazzia (furor). L’innamorato è succube di un altro essere umano, vive in pena, trascura se stesso e i propri doveri, dilapida il proprio patrimonio ed è roso dalla gelosia. È perciò più facile non cadere nella trappola della passione amorosa che uscirne. Se poi l’amore non è corrisposto, le sofferenze diventano innumerevoli e rabbia e furore tormentano all’infinito il rifiutato. A provare che l’amore rende la mente insana, Lucrezio elenca una serie di atteggiamenti irrazionali tipici di che è strettamente legato dai lacci della passione. L’innamorato è così fuori di senno che non vede i difetti  di chi ama: se è negra, ha il colore del miele; se è sporca e fetida, è solo trascurata; ha gli occhi grigiastri, somiglia a Pallade: ha il corpo legnoso, è solo agile e snella; se è piccoletta, somiglia ad una Grazia, tutto spirito e arguzia; se è enorme, è maestosa e di aspetto regale ; se balbetta e pronuncia male le parole, cinguetta come un uccellino; se è muta e non parla mai, è timida e pudica;[/b]se è bisbetica, è vivace e tutta calore di fuoco; se è magra e consunta, è una dolcezza fragile; sta continuamente a tossire, ha una fibra delicata; è popputa, somiglia a Cerere ingravidata da Bacco; ha il naso schiacciato, ricorda una divinità boschiva; ha le labbra grosse, è tutta da baciare. Insomma all’innamorato la realtà  appare deformata.Se spesso le donne fingono quando tengono l’amante stretto al loro corpo, talvolta la donna è sincera e aiuta il compagno a provare il piacere e lo sollecita  ' spatiumdecurrereamoris', a toccare la mèta dell’amore.[b]È interessante come Lucrezio spieghi la diversità di genere della prole, nata dall’atto amoroso: Se la femmina vince per caso con energia improvvisa la forza del maschio fino a fiaccarlo, la prole, uscita in tal caso dal seme materno, somiglia alla madre; se invece prevale il seme paterno, i figli vengono simili al  padre. Ma quei figli, che presentano caratteristiche comuni ad entrambi i genitori, si formano dal seme paterno e dal sangue della madre, perché i semi di entrambi i genitori, eccitati da Venere, si sono incontrati senza che nessuno dei due abbia vinto sull’altro.[/b]L’amore è per la dottrina epicurea un’insania. Tuttavia Lucrezio riesce a dare a questo sentimento una profondità umana, che prescinde dalla passione dettata dai sensi. Si può amare anche una donna non bella, se questa si rivela equilibrata nei modi, onesta nell’agire, nitida nel corpo, elegante nella persona. Anche se non c’è la freccia di Cupido a ferire il cuore con l’ardore della passione, l’abitudine produce l’affetto, ed è piacevole per la coppia trascorrere i giorni e la vita insieme.Nel V libro Lucrezio spiega al lettore la nascita del mondo e il sorgere delle civiltà:Gli uomini primitivi, nati dalla dura terra, erano senza malanni fisici, e potevano resistere al freddo, al caldoe ad ogni specie di cibo, perché la loro costituzione corporea era di solide ossa e di fortissimi muscoli. Non conoscevano l’aratro, non lavoravano la terra, si cibavano di ghiande, bevevano l’acqua dei fiumi e dei torrenti, non proteggevano i corpi con le pelli degli animali, si riparavano nelle caverne, abitate dalle ninfe, non sapevano trattare le cose col fuoco. Ignoranti di ogni legge, ciascuno badava a soddisfare i bisogni primari e Venere univa i corpi nelle foreste. Gli animali feroci erano per loro un grave pericolo. Col tempo cominciarono a difendersi costruendo le capanne,a vestirsi di pelli, e ad essere paghi di un solo connubio. Il riconoscimento della propria prole ingentilì gradualmente gli animi. Allora nacque il bisogno di stringere alleanze e a comunicare con gesti e con suoni vocali e a dare nome alle cose. La prima volta il fuoco fu portato ai mortali dalla caduta di un fulmine. Gli uomini più animosi e intraprendenti cominciarono ad usarlo per cuocere i cibi e per attivare alcune opere che portarono alla costruzione di recinti, muri, città e alla divisione dei terreni e delle greggi. La scoperta dell’oro cominciò a distinguere i ricchi dai poveri, i potenti dai miseri. L’ambizione, la sete di potere, il fasto divennero elementi di lotta e favorirono le guerre. Nacquero i re, e poi le magistrature e le leggi per regolare il vivere civile. Lucrezio analizza il progresso dell’uomo, sottolineando gli aspetti positivi, ma soprattutto condannando la cupidigia, la decadenza morale e la corsa al soddisfacimento dei bisogni innaturali. Con il sorgere delle civiltà, gli antichi attribuirono alle divinità tutto ciò che non riuscivano a spiegarsi razionalmente, come i sogni, il ritorno delle stagioni, l’alternarsi del giorno e della notte, il cielo stellato.Agli dei furono dedicati templi, fatti sacrifici per placarne le ire, innalzati altari. La paura degli dei costrinse da subito gli uomini a vivere nell’angoscia di essere puniti in vita e condannati da morti.Il libro VI si apre con un altro elogio ad Epicuro, il quarto, in cui il filosofo è osannato come un uomo d’animo grande che dalla sua bocca profuse ogni verità.Proprio queste verità devono illuminare le nuove generazioni, libere dalle paure e dalle superstizioni, votate ad una vita semplice nella concordia comune. Ma il discepolo, che pure ha assimilato profondamente la lezione del maestro, non è riuscito a trovare in sé l’atarassia, la tranquillità dell’ animo, la pace interiore. Indipendentemente se le citazioni di san Gerolamo siano vere, false o approssimative, il poema non riflette al lettore l’immagine di un animo scevro dall’agitazione delle passioni e dalle paure archetipiche dell’uomo, che costituiscono la base delle espressioni mitico-religiose dell’essere umano.Il poema, che certamente non ha ricevuto l’ultima mano dall’autore, si chiude con le immagini drammatiche e funeste della peste di Atene, che colpì la città greca nel 430 a,C., durante il secondo anno della Guerra del Peloponneso. Tucidide nella sua Storia del Peloponneso ne aveva fatta una descrizione obiettiva e scrupolosa, analizzando con la precisione dello storiografo le cause e gli effetti. Quattrocento anni dopo Lucrezio riprende l’evento, ma lo descrive  con partecipazione accorata, focalizzando l’attenzione sui particolari della malattia e del dolore, che sconvolge gli uomini, abbatte le istituzioni, rende vana la religione e l’appello alle divinità, dal momento che muoiono i probi e gli ingiusti, i buoni e i malvagi. Forse Lucrezio non aveva deciso questa chiusura tragica per il suo poema.A meno che non abbia voluto dimostrare, con la rappresentazione della tragica vicenda ateniese, ciò che si era proposto: la precarietà dell’esistenza umana, l’inutilità delle ambizioni, la caducità dei beni materiali e della vita, la lontananza degli dei. Se questa era la sua tesi, il corollario era uno solo: seguire il messaggio epicureo per vivere quanto c’è dato da vivere con moderazione,  cogliendo il necessario e rifiutando la corsa al superfluo.La figura di Lucrezio in età augustea fu tenuta sotto silenzio, forse perché cozzava col clima di restauratio imposto dal princeps e sostenuto dagli intellettuali del circolo di Mecenate, o forse perché lo stoicismo era più vicino al potere di quanto non lo fosse l’epicureismo. Del resto, negare la presenza degli dei nell’agire umano, significava smantellare anche lo stesso mito che sosteneva l’origine sacra dei figli di Enea e della gens Iulia, discendente dalla dea Venere, alla quale il poeta aveva dedicato l’inno del proemio. Per di più, il rifiuto della religione implicava la vanificazione della divinatio, che spettava al principe dopo la morte.[b]La congiura del silenzio dell’età augustea non è riuscita a sommergere il messaggio di questo capolavoro, il De rerum natura, la cui lezione è ancora oggi di grande attualità per le tante problem[/b][b]atiche che pone allo studioso. prof. Antonino Tobia[/b]

Autore Legre

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Inserito il 21 Gennaio 2020 nella categoria Relazioni svolte