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Luigi Capuana: dal Naturalismo al Verismo

Con opportuni riferimenti alla letteratura francese, Antonino Tobia, tratteggiando le correnti letterarie che seguirono al Romanticismo, ha illustrato la figura di Luigi Capuana

Relatore: Prof. Antonino Tobia

 Si riporta, qui di seguito, la relazione del prof. Antonino Tobia

Immagine riferita a: Luigi Capuana: dal Naturalismo al Verismo

Luigi Capuana nacque a Mineo, in provincia di Catania nel 1839 da una famiglia di agiati proprietari terrieri, primogenito di nove figli.Conseguita la licenza liceale, si iscrisse, nel 1857, alla Facoltà di Giurisprudenza di Catania.Di questo periodo  è l’amicizia con Lionardo Vigo, appassionato studioso di poesia popolare siciliana Anche il giovane Capuanaaveva cominciato a raccogliere canti popolari antichi nell’ambiente di Mineo, ma ve ne aggiunse di propri spacciandoli per autentici all’amico Vigo, sostenitore dell’esistenza di una lingua siciliana autoctona nell’area di Acireale. La beffa raggiunse il segno. Il Vigo pubblicò i canti scritti da Capuana come vocioriginali e spontanee del popolo, al punto che il critico e filologo Alessandro D’Ancona, illustre studioso della Poesia popolare italiana, dinanzi al verso sicilianizzato dal 

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Capuana: donni c’aviti ‘ntellettu d’amuri, si chiedeva se l’avesse scritto prima Dante nella sua Vita nova o se questi l’avesse mutuato dai poeti siciliani.Nel 1860 prese parte all’impresa garibaldina in funzione di segretario del comitato clandestino insurrezionale di Mineo. Interrotti gli studi di legge,  per seguire la sua vocazione letteraria, nel 1864 si stabilì a Firenze, dove frequentò gli scrittori più noti dell’epoca, nel clima di quel Secondo Romanticismo sentimentaleggiante, che in Prati e Aleardi trovava i suoi maggiori esponenti. A Firenze cominciò a pubblicare i suoi primi saggi critici sulla "Rivista italica" e assunse l’incarico dicritico teatrale del quotidiano "La Nazione".Nel 1868 ritornò in Sicilia e vi rimase più di quanto aveva previsto, perché gli morì il padre e dovette occuparsi dell’economia familiare. Durante il soggiorno siciliano il Capuana svolse compitiistituzionali, da ispettore scolastico a sindaco della sua città, segue vari interessi, dalla fotografia alle scienze occulte, senza tuttavia trascurare gli studi letterari.A proposito dei suoi interessi per la fotografia, che condivideva con il Verga e con il giovane De Roberto, il Capuana amava sperimentare, costruire da sé macchine fotografiche, cogliere attraverso le lastre i riflessi di un mondo misterioso, invisibile all’occhio umano. Ma amava anche farsi beffa degli amici, come quando si ritrasse disteso morto sul catafalco con i ceri accesi. Inviò la fotografia agli amici, che si precipitarono a casa sua, dove furono accolti da una sonora risata.Dopo avere approfondito lo studio dei classici italiani, da Dante al Manzoni,si accostavaal pensiero critico del De Sanctis sul significato di 'forma', che così definiva nei suoi Studi di letteratura contemporanea: La forma non è a priori, non è qualcosa che stia da sé e diversa dal contenuto, quasi ornamento o veste, o apparenza o aggiunta di esso: anzi essa è generata dal contenuto, attivo nella mente dell’artista: tal contenuto tal forma.Consideròanche suo grande  maestro Angelo Camillo De Meis, contemporaneo e discepolo del De Sanctis, docente di fisiologia e di storia della medicina a Bologna. Il De Meis, ispirandosi al pensiero filosofico hegeliano, sosteneva che l’Arte, nel suo processo di continua evoluzione dei generi letterari, giungeva alla sua fine, confluendo nel Pensiero.Nel 1875, Capuana, su invito del De Meissi trasferiva a Milano, dove già si trovava il giovane amico Giovanni Verga.

Qui iniziò a collaborare al Corriere della Sera come critico letterario e teatrale e a respirare l’atmosfera di rinnovamento letterario degli artisti scapigliati.Nel1877pubblicava a Milano la sua prima raccolta di novelle, Profili di donne. Si tratta di sei profili in cui il tema centrale è il tentativo di costruire il carattere di sei donne da un punto di vista psicologico, inserendole in un ambiente mondano, quello ancora vicino al tardo romanticismo, intessuto di languori e di passioni struggenti, tendenti al patologico. Nella Prefazione alla raccolta, il Capuana si rivolgeva al lettore per informarlo che Delfina, Giulia, Fasma, Ebe, Iela, Cecilia, le protagoniste delle novelle, esprimono 'delle sensazioni vere, dei sentimenti veri, dei dolori veri, e che l’autore si è preoccupato soltanto di renderli, come dicono i pittori, schiettamente, sinceramente, in guisa da mettere il lettore nel caso di averne un’impressione non di seconda mano, ma immediata'. Al di là del contenuto, ancora distante dai temi che saranno propri del verismo, lo scrittore ha assimilato i canoni del naturalismo francese, ha letto Balzac, Flaubert, Zola e su questa linea professa l’intenzione di volgersial 'vero'.

Nel 1879 Capuana pubblicava il romanzo Giacinta, dedicato allo Zola. L’opera è considerata il manifesto del naturalismo, da cui scaturirà il verismo italiano, che con il Verga assumerà caratteristiche proprie, lontane non solo dagli scrittori francesi, ma anche dal Capuana.

Giacinta è figlia di Paolo, uomo dalla personalità debole, mentalmente instabile e di Teresa Marulli, donna senza scrupoli, dedita ad una vita di piaceri, avida di denaro, amante per interesse del direttore della Banca provinciale. Nella prima adolescenza Giacinta viene violentata da Beppe, un ragazzaccio cresciuto in mezzo alla strada, impiegato al servizio della famiglia. Questa esperienza infelice costringerà Giacinta a portare per tutta la vita il peso di questa offesa.In un primo tempo la ragazza riesce a rimuovere il trauma della violenza subita, fino a quando l’accaduto non le viene riportato alla mente dalle chiacchere di alcune domestiche da lei per caso ascoltate. Da quel momento Giacinta sente che, per desiderio di vendicarsi contro la vita che le ha tolto la purezza, dovrà vivere in maniera libera e indipendente dalle convenzioni sociali. S’innamora di Andrea, un modesto, impiegato della banca provinciale, ma non lo sposa  per farne un appassionato amante. Sposa invece un vecchio conte, che pur di averla, accetta il legame adulterino della moglie con Andrea, limitandosi a viverle accanto in un rapporto fraterno. Dalla relazione con Andrea, al quale si concede il giorno stesso del suo matrimonio, appartandosi in una stanza del palazzo, nascerà una bambina, che lei tiene lontana dal conte. Per salvare le apparenze, Giacinta, costretta dalla madre, allontana dalla sua casa Andrea, il quale però non vuole lasciare l’impiego, come le viene proposto da Giacinta, anche perché non è più tanto sicuro dei suoi sentimenti verso l’amante. Tutto crolla quando la bambina si ammala di difterite e muore. Andrea non vuole più sottostare alla forza distruttrice di Giacinta e si mostra indifferente dinanzi alla morte della loro figlia. Giacinta si rende conto che la sua passione amorosa non è più corrisposta e sentendosi rifiutata, in preda ad un profondo squilibrio psichico, si uccide col curaro che il medico le aveva dato per curare il padre.

Il tema della donna isterica, nota Ettore Caccia, era caro sia agli scapigliati che ai naturalisti. Flaubert stesso fu figlio di un medico che studiò attentamente le malattie nervose: e lo stessoVerga … si era compiaciuto, in Tigre reale, di descrivere le crisi erotiche di Nata. (L. Capuana, in Letteratura italiana, I Minori, Milano, Marzorati 1977)

Il romanzo è costruito secondo gli esempi degli scrittori naturalisti. Ma il canone dell’impersonalità dell’arte non è sempre osservato; l’autore si è ispirato ad una storia vera,vuole apparire distaccato dalla vicenda, con l’intento di analizzare con rigore scientifico l’accaduto, riconducendolo adun caso patologico, da cui trarre conclusioni sociali. Ma l’indagine scientifica è viziata da un’evidente simpatia per la protagonista e dai frequenti interventi dell’autore nel corso della narrazione.

Il romanzo, che lo scrittore aveva scritto a Mineo, immergendosi totalmente nel racconto con una furia quasi ossessiva, fino ad ignorare i disastri provocati dal drammatico terremoto di Mineo, segna la prima opera importante del verismo. L’opera, però, fu subito attaccata da quanti la considerarono immorale, e perciò l’autore ne curò una ristampa circa dieci anni dopo.

Nella prefazione alla scrittrice Neera, che era schierata contro la cultura positivistica, aggiungeva che considerava Giacinta il 'primo saggio di romanzo contemporaneo italiano dove si tentava l’analisi di un carattere, lo studio d’una passione vera, benché strana, anzi patologica', quindi aggiungeva che nel romanzo moderno 'bisogna mutare la narrazione in azione, arrivare a cancellarequalunque segno, qualunque ombra in cui la personalità dell’autore faceva capolino, aver presente che la forma deve farsi via via seguendo la via dell’assimilazione, dell’adattamento, della crescenza e dello sviluppo, al pari d’ogni creatura vivente'.

L’autore, insomma, mutuava le teorie del romanzo sperimentale, contrapponendo il positivismo all’idealismo, il romanzo storico ottocentesco, dove lo scrittore non si eclissava ma appariva onnisciente, al romanzo moderno con il suo canone dell’impersonalità.Capuana diventava, pertanto, un convinto assertore delnaturalismo francese e con il Verga elaborava la poetica del verismo italiano. Lo stesso scrittore catanese nel 1874 aveva pubblicato Nedda, un bozzetto in cui tentava un primo approccio alle teorie naturalistiche, descrivendo un mondo con contenuti diversi da quelli che aveva rappresentato nei precedenti romanzi. Il Capuana incoraggiava l’amico a proseguire su quella strada, che farà del Verga uno degli scrittori più importanti della letteratura italiana. Già nel 1878 scriveva all’amico Salvatore Paola che aveva progettato di scrivere cinque romanzi, tutti sotto il titolo complessivo della Marea, rispettando l’oggettività della narrazione nel  ritrarre 'un lato della fisionomia della vita italiana moderna., a partire dalle classi infime, dove la lotta è limitata al pane quotidiano, come nel Padron ‘Ntoni, e a finire nelle varie aspirazioni, nelle ideali avidità de L’uomo di lusso …' Dalla bella amicizia col Capuana, che non si stancava di incoraggiare l’amico, nacquero la raccolta di novelleVita dei campi e nel 1881 i Malavoglia.

La pubblicazione dei Malavoglia non incontrò il successo sperato e  il Verga  da Milano, l’11 aprile  1981, deluso scriveva all’amico Luigi:  "I Malavoglia hanno fatto fiasco... Molti, Treves (l’editore)  il primo, me ne hanno detto male, e quelli che non me l’hanno detto mi evitano come se avessi commesso una cattiva azione... Il peggio è che io non sono convinto del fiasco..." (Verga, Lettere a L. C., p. 168). Il C. rispondeva al Verga il 22 aprile, : "I Malavoglia non sono un fiasco... il fiasco in questo caso lo fa il pubblico e la critica che si ricrederanno presto come accade coi lavori che escono dalla solita carreggiata e che hanno elementi di grandissima vitalità. Per me I Malavoglia sono la più completa opera che si sia pubblicata in Italia dai Promessi sposi in poi".

Nel 1882 lo scrittore si trasferiva a Roma per dirigere Il fanfulla della domenica,il primo settimanale politico e letterario nazionale dopo l’unità d’Italia.In questo stesso anno pubblicava la prima raccolta di fiabe, C’era una volta, che rispondeva al grande interesse che Capuana aveva per la letteratura infantile. Pubblicò, infatti, decine di opere, tra novelle, racconti e romanzi per l’infanzia e la gioventù. Tra il 1894 e il 1898 pubblicò Le paesane e Le nuove paesane, tutte novelle di argomento rusticano, con un particolare interesse per gli aspetti folcloristici, che il Pitrè andava raccogliendo nella sua Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, che sarà completata nel 1913 in 25 volumi. Le novelle raccolte col titolo Appassionate del 1893, ripropongono invece l’analisi di casi amorosi patologici tra nevrosi e isteria.

Il Capuana merita un posto di rilievo nella letteratura per l’infanzia accanto ai grandi suoi contemporanei De Amicis e Collodi. Tra i migliori racconti per ragazzi non mancava nelle antologie scolastiche il raccontoScurpiddu, anche su suggerimento del Ministero della Pubblica Istruzione, L’influenza del Verga si fa sentire, anche se solo in superficie. 

Il Verga aveva pubblicato Rosso Malpelo nel 1878 sul 'Fanfulla'. Anche il protagonista del racconto del Capuana non è identificato col suo vero nome ma, seppure  non in maniera antifrastica, da una sua caratteristica fisica: era magro come un ramo secco.Al di là del contenuto, la vera differenza consiste tra i due racconti sulla 'forma' cioè sulla posizione che i due scrittori assumono dinanzi alla materia trattata. Mentre il Verga si eclissa e  regredisce nella narrazione al livello della mentalità primitiva e rozza dell’ambiente in cui si svolge l’azione: Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fior di birbone';il Capuana, al contrario, rivela una sua tenera e visibile simpatia per il piccolo orfano, di cui mette in primo piano tutti gli aspetti positivi del suo carattere.Scurpidduvive in un ambiente idilliaco, dove lo sfruttamento minorile non induce ad alcuna ribellione sociale. Scurpiddu lavora all’aria aperta e non in una solfatara, porta al pascolo i tacchini, si costruisce uno zufolo con le canne e sogna di fare il soldato per conoscere il mondo e realizza il suo sogno acquistando la dignità di Scaglio Girolamo del 3^ reggimento bersaglieri, 1^ compagnia, anche se l’inserimento nella società significa la perdita della felicità idilliaca della sua adolescenza.

Tra il 1884 e il 1902 il Capuana visse tra Mineo, Catania e Roma, dove poté insegnare letteratura all’istituto femminile del magistero, collega di Luigi Pirandello, che ricorderà con gratitudine l’incitamento ricevuto dal Capuana a dedicarsi alla novellistica e a mettere in secondo piano la poesia. A Roma strinse amicizia anche con Gabriele d’Annunzio, al quale dedicò un corso di studio per i suoi studenti. In questi anni il Capuana pubblicava i suoi migliori romanzi: Profumo e, dieci anni dopo,Il Marchese di Roccaverdina.

Profumo fu pubblicato in dieci puntatenel 1890 nella Nuova Antologia. La vicenda è ambientata ad Ispica, in provincia di Ragusa, dove l’opera fu concepita. Nel romanzo sono presenti gli elementi della tecnica narrativa di Zola con il medesimo interesse per ciò che è patologico e con la ricerca della spiegazione del caso nella fisiologia, a cui però l’autore affianca una maggiore indagine psicologica, che annuncia il nuovo genere di romanzo che col Piacere del D’Annunzio si va affermando.

Il protagonista, Patrizio Moro-Lanza, è un timido e modesto impiegato, succube della madre  Geltrude, molto gelosa di Eugenia, la sposa del figlio. Eugenia soffre di crisi isteriche, dopo le quali ogni volta le sue mani emanano un forte e nauseante profumo di zagara. Patrizio non comprende il dramma di Eugenia e neppure dopo la morte della vecchia Geltrude riesce a starle vicino psicologicamente e affettivamente, perché la sua personalità non è libera e non gli consente di gestire la sua relazione con Eugenia,senza avvertire l’ingombrante presenza della defunta. L’assenza di partecipazione affettiva del marito spinge Eugenia ad accettare la corte del giovane Ruggero. Solo a questo punto, Patrizio comincia ad essere geloso della moglie, ferito nel suo orgoglio virile. L’intervento del dott. Mola, medico e psicologo, farà comprendere ai due sposi i lati deboli del loro rapporto, aiutandoli a ritrovarsi e a scoprire che si amavano.

Il Capuana ricorre ancora una volta alla psicologia e agli elementi del naturalismo appreso dallo Zola, senza dimenticare l’interesse per le tradizioni e il folclore della sua terra. Una scena tipica del mondo contadino siciliano è la descrizione della processione dei flagellanti che invocano la pioggia sulla campagna inaridita dalla siccità.

Il critico Ettore Caccia, pur notando che il paesaggio offre uno sfondo felice alla vicenda, con quel giardino ricco, lussureggiante, a volte quasi animato e misterioso, che presenta note pittoriche della sensibilità decadente, aggiunge che manca al romanzo una sicurezza di stile: lo stile dello scrittore 'ch’ha l’abito dell’arte e la man che trema'.

Ma il più riuscito dei romanzi del Capuanaè consideratoIl marchese di Roccaverdina pubblicato nel 1901 a Milano presso l’editore Treves, dopo che era uscito in 22 puntate sul quotidiano L’Ora di Palermo dal 17 settembre al 11 novembre del 1900.Il romanzo, attraverso un’attenta e ben costruita realtà ambientale, che ha come sfondo storico la provincia siciliana semifeudale del periodo post-unitario, conduce un’approfondita indagine psicologica del protagonista. Il romanzoriesce a creare un tutto organico nella forma e nel contenuto, fondendo insieme i temi già sperimentati della psicologia morbosa, del senso del mistero e dell’occulto con un’ambientazione che si richiama alla drammatica rappresentazione fotografica della realtà.

La storia è incentrata sul dramma del rimorso del protagonista, l’anziano marchese di Roccaverdina, che rivive il suo tormento con accenti psicopatologici per il ricordo insopprimibile di un crimine commesso.Anch’egli, come Mastro don Gesualdo con la serva-amante Diodata, vive un’intensa passione amorosa per una sua umile contadina, Agrippina Solmo, che per motivi sociali non può sposare. Decide, quindi, di darla in moglie ad un suo sottoposto, Rocco Criscione, facendo giurare i due giovani dinanzi ad un crocifisso che si sarebbero astenuti da qualsiasi rapporto sessuale e che il marito avrebbe rispettato la moglie come una sorella.  Tutto ciò non è stato sufficiente a rasserenare l’animo inquieto del marchese, agitato da una gelosia crescente. Roso dai dubbi, il marchese a tradimento uccide il marito della sua amante,  riuscendo per di più a far incolpare del delitto un contadino. Da qui il rimorso che lo tormenterà fino alla fine dei suoi giorni. Il dramma del rimorso fa pensare all’influenza esercitata dalla lettura degli scrittori russi, si pensi al Dostoevskij, che si avvertirà anchein alcuni romanzi di Grazia Deledda, come Elias Portolu o Canne al vento. I personaggi sono ben delineati: il marchese è un uomo incapace di autocontrollo. La sua vita dopo il delitto commesso diventa un calvario che lo porterà alla pazzia. Agrippina Solmo è l’amante-serva fedele che accompagnerà l’uomo che ha amato devotamente fino alla fine. La moglie del marchese è la controfigura della fedele Agrippina, non solo per le sue origini aristocratiche, a cui tiene molto, ma anche perché prova una profonda, anche se non confessata, gelosia verso Agrippina.. Quando scopre, attraverso alcune frasipronunciate dal marito durante un attacco di delirio,che proprio egli è stato il vero assassino di Rocco Criscione, lo abbandona alla sua pazzia. L’unica persona a cui il marchese ha rivelato il suo delitto è don Silvio, ma anche la confessione non gli dà pace. Le sue crisi patologiche si sono aggravate fino alla demenza. Il suo dramma continua a pesargli sulla coscienza come un macigno. Neppure la morte in carcere del contadino, accusato ingiustamente del delitto, e la scomparsa  dello stesso confessore solleverannoil marchese dal rimorso.

Il romanzo compendia le tendenze letterarie del tempo: elementi naturalistici, interessi folcloristici,richiami allo spiritismo con un misto di religione e di superstizione, presenza del mistero e spiccata tendenza all’introspezione psicologica.

Non era stato difficile per lo scrittore immaginare alcuni tratti della trama del romanzo.

Nel 1875 egli aveva allacciato una relazione amorosa con una ragazza analfabeta, Giuseppina Sansone, domestica della famiglia Capuana. Da questa relazione erano nati parecchi figli, che finirono  all’ospizio dei trovatelli di Caltagirone, come bastardi. Uguale il comportamento di Mastro don Gesualdo nei confronti dei figli avuti dalla serva-amante Diodata. Un aristocratico o un ricco borghese considerava res nullius le serve al suo servizio e poteva abusarne a volontà senza assumere alcun obbligo, neppure in presenza dei figli. Proprio come il Marchese di Roccaverdina si era comportato il Capuana, che nel 1892  aveva deciso di dare in sposa la sua amante ad un altro suo dipendente, dal quale nacquero altri figli.

Nel 1895 aveva conosciuto una giovane venticinquenne, reduce da un tentativo di suicidio, Adelaide Bernardini. La sposò il 23 aprile del 1908, e fu testimone di nozze Giovanni Verga a Catania.

Nel 1902il Nostro fece ritorno a Catania. Qui ottenne la cattedra di stilistica all’università e intanto continuava  la sua opera di scrittore. Nel 1907  diede alle stampe un romanzo di scarso successo Rassegnazionee  continuava a scrivere fiabe e novelle (Nel paese della Zagara). Nel 1911 pubblicò due volumi del suo Teatro dialettale: 11 commedie, di cui la migliore è Malia). La malia è quella sensazione sconvolgente che Jana prova per Cola, il quale, pur ricambiando l’amore per Jana, finisce con lo sposarne la sorella. L’epilogo è tragico. Jana soffre di isterismi e prova sensazioni sconvolgenti che fanno conoscere la verità a Nino, l’uomo che aveva sposato. Appresa la causa dei deliri della moglie, Nino uccide il cognato e rompe l’incantesimo.

Malia divenne un librettooperistico prima scritto in lingua italiana e poi nel dialetto siciliano. L’opera in tre atti, musicata da  Francesco Paolo Frontini, ebbe un largo successo. Si racconta che lo stesso Rapisardi, uomo di carattere piuttosto burbero, salì sul palcoscenico del teatro di Catania per elogiare il compositore e i cantanti. Fu messa in scena anche a Trapani al teatro Garibaldi il 18 marzo del 1896, con Enrico Caruso nel ruolo di tenore.

Il Capuana tentò anche il genere fantascientifico con alcuni dei suoi racconti, che pubblicò ne Il Giornale d’Italia. Tra questiNell’isola degli automi (1906), Nel regno delle scimmie, Volando e La città sotterranea del 1908, L’acciaio vivente (1913)

Negli ultimi anni della sua vita Luigi Capuana non venne meno alla sua ansia di scoprire nuovi generi letterari e nuove tendenze. Si allontanò, infatti, dalla concezione naturalistica della letteratura e addirittura guardò con interesse ed entusiasmo alla rivoluzione futurista di Filippo Tommaso Marinetti: Se avessi cinquant’anni di meno – ammise nel 1910 – mi dichiarerei futurista.

Morì il 29 novembre 1915  a Catania, un anno dopo che era stato collocato a riposo e fu sepolto a Mineo, la città che gli aveva dato i natali. Antonino Tobia

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Inserito il 06 Maggio 2016 nella categoria Relazioni svolte