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Medicina difensiva e malasanità

Il dott. Giuseppe Abate ha delineato la casistica dei casi di malasanità con i reati previsti dalla legge quali imprudenza, negligenza e imperizia

Relatore: Prof: Giuseppe Abate - Geriatra - Università di Chieti

Immagine riferita a: Medicina difensiva e malasanità

G iuseppe Abate (Pescara)

Malasanità e Medicina Difensiva

1. Il  termine Malasanità comprende una gamma molto vasta di errori e/o disservizi, in parte  imputabili direttamente  ai medici ed agli operatori sanitari, in parte riferibili ad una cattiva organizzazione del comparto assistenziale. Tali errori e disservizi in alcuni casi hanno  gravi conseguenze sulla salute  dei cittadini, in altri sono causa di semplici disagi, ma sempre alimentano un contenzioso medico-legale di crescenti dimensioni. L’argomento è molto sentito dalla cittadinanza, riceve vasta attenzione dai  mezzi di informazione ed  ha rilevanti ripercussioni anche sul piano economico.
E’ bene premettere che questa relazione non intende affrontare i casi più clamorosi, che suscitano grande clamore mediatico e che rientrano decisamente nell’ambito del Codice Penale. Bastino ad esempio  due  note vicende: la prima riguardante due ostetrici di Messina, che sono venuti alle mani contendendosi la 'titolarità' di una paziente, che nel frattempo è morta in sala parto assieme al suo bambino, senza aver ricevuto alcuna assistenza; la seconda riguarda un chirurgo milanese che formulava false diagnosi di tumore del polmone, e poi operava i pazienti, solo al fine di ricevere compensi maggiori dal  Sistema Sanitario Nazionale.  Nell’ambito della 'malasanità' rientrano casi meno gravi,  e spesso discutibili, e di essi mi occuperò in questa relazione.

2.
La legge prevede una colpa del medico in tre situazioni: la imprudenza, la negligenza e l’imperizia.
Si parla di imprudenza quando il medico agisce con avventatezza, con eccessiva precipitazione, con ingiustificata fretta, senza adottare le cautele indicate dalla comune esperienza o da precise regole dettate dalla scienza medica. Il termine prudenza è dato dalla contrazione della parola previdente, per cui il medico prudente è colui capace di prevedere le possibili complicanze derivanti dalla somministrazione di un dato trattamento, di prevedere la possibile evoluzione della situazione morbosa del paziente ed evitare le conseguenze dannose.
Alcuni esempi: si può considerare 'imprudente' il medico che esegue un  intervento chirurgico di una certa complessità che non  ha praticato mai o solo poche volte, oppure che effettua un trattamento con un antibiotico a dosi  mai utilizzate in precedenza, o che  non rispetta  le necessarie norme di asepsi, o che non si premura di avere a disposizione i farmaci o gli strumenti adatti per fronteggiare una possibile complicanza (ad esempio esegue un massaggio del seno carotideo al di fuori dell’ospedale e senza avere l’atropina o uno stimolatore cardiaco).
Si ha negligenza  quando il medico, per disattenzione, per dimenticanza, per trascuratezza, per svogliatezza, per leggerezza o superficialità, non rispetta quelle norme comuni di diligenza che è legittimo attendersi da persona abilitata all’esercizio della professione medica e che sono osservate dalla generalità dei medici.
Ciò avviene, ad esempio, quando il medico lascia una garza nell’addome, o  asporta il rene sano invece che il rene malato, o non prescrive gli accertamenti necessari per fare l’esatta diagnosi, o non risponde tempestivamente ad una chiamata per una situazione di potenziale gravità,  ecc.
 La differenza tra imprudenza e negligenza sta quindi  nel fatto che la prima consiste in una condotta attiva, contraria alle regole fondamentali che la comune esperienza consiglia per tutelare la salute del paziente, la seconda, invece, in una condotta omissiva, nel senso che non viene fatto ciò che la scienza medica consiglia di fare nel caso concreto.
Si configura, infine,  il reato di   imperizia  quando la condotta del medico è    incompatibile con il livello minimo di cognizione tecnica, di cultura, di esperienza e di capacità professionale.

3.
Tutto ciò premesso, è ovvio che esistano casi  in cui è lampante che c’è stata una condotta attiva od omissiva che configura un reato della specie di quelli su indicati; ma è altrettanto evidente che esistano molteplici 'situazioni limite' in cui la dimostrazione di una condotta 'punibile' è incerta e quindi oggetto di un vivace contenzioso.  Per porre una certa regola nel comportamento che i medici devono seguire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, diverse organizzazioni internazionali hanno proposto le cosiddette 'Linee Guida' per la diagnosi e la terapia di svariate condizioni morbose. A titolo di esempio esistono Linee Guida  per il comportamento da seguire in caso di Ipertensione Arteriosa: riguardano le modalità di misurazione della pressione, i valori da considerare normali e patologici in relazione all’età, i farmaci da adoperare in varie circostanze, ed altro ancora.
Le Linee Guida tuttavia non risolvono tutti i problemi di comportamento e quindi di giudizio: esse infatti fissano regole generali, ma poi è il medico che deve decidere se applicarle o meno nel singolo paziente che presenta caratteristiche assolutamente  individuali. E’ consentita pertanto la possibilità di deroghe dalle Linee Guida, e ciò, ad esempio, è molto frequente negli anziani che presentano spesso molte patologie e vengono curati con molti farmaci.
A dimostrazione della incapacità delle Linee Guida di  evitare e/o dirimere tutti i contenziosi esistono sentenze contrastanti dei tribunali: in alcuni casi il medico è stato condannato per aver seguito pedissequamente le linee guida, in altri perché se ne è discostato, ritenendo giusto di doverlo fare, in considerazione delle peculiari caratteristiche del paziente.
4.
Il problema della Malasanità è di allarmanti dimensioni. Si presume che, nel nostro Paese, ci siano ogni giorno tre denuncie che esitano in un contenzioso legale, ed esse rappresentano soltanto la punta di un grande iceberg costituito  da innumerevoli contenziosi.
E’ opportuno comunque rilevare che molte denuncie sono assolutamente ingiustificate. Una prima motivazione risiede nell’erronea convinzione da parte di molti cittadini che i progressi della scienza nell’ultimo secolo siano stati di tale entità da consentire di diagnosticare e poi di guarire tutte le malattie. Si tratta ovviamente di una  convinzione fallace, poiché la medicina, seppur molto progredita, è ancora incapace di risolvere molteplici situazioni morbose e poco può fare contro molte malattie ed in particolare contro quelle che si associano al processo dell’invecchiamento. La seconda motivazione è di natura risarcitoria: attraverso la denuncia il malato ( o assai spesso i suoi familiari) tendono ad ottenere un ritorno economico da un possibile atto di malasanità. Posizione questa che dovrebbe essere sanzionata al contrario.

5.
Il crescente contenzioso medico-legale per cause sanitarie è alla base della cosiddetta Medicina Difensiva, un atteggiamento assunto dalla classe medica  allo scopo  di  tutelarsi nell’esercizio della professione. Tale comportamento esita in un eccessivo  ricorso ad accertamenti ed a terapie: a tutti è ben noto il dato riguardante  l’eccessivo numero di parti cesarei, che si praticano nel nostro Paese, così come l’accanimento terapeutico, che, anche se occultamente, viene spesso praticato negli ospedali, al fine di evitare che i congiunti accusino i medici di 'non aver fatto tutto il possibile': eccesso di cure che quasi sempre prolunga di poco la vita, e di molto le sofferenze. Le ricadute della Medicina Difensiva sul piano economico sono rilevanti: aumentano i costi del Sistema Sanitario Nazionale, le spese dei pazienti che ricorrono alla sanità privata ed infine anche i costi delle pratiche assicurative.
Vale a questo punto ricordare che la malasanità non è riconducibile soltanto ai medici, ma in moltissimi casi dipende da un malfunzionamento della organizzazione sanitaria: tali sono ad esempio i casi in cui il paziente è costretto a lunghe attese in condizioni disagevoli nei Pronto Soccorso, o quelli in cui  è costretto a peregrinare da un ospedale all’altro alla ricerca di un posto letto; ed ancora quelli in cui il ricovero avviene in stanze sovraffollate od in reparti con forti carenze di personale infermieristico ed ausiliario. L’elenco potrebbe continuare con altre carenze ospedaliere, quali la mancanza di attrezzature diagnostiche, di farmaci od altri presidi, a fronte, nella migliore delle ipotesi,  di spese ingiustificate ed incoerenti, nella peggiore, di vere e proprie ruberie da parte dei politici e degli amministratori.

6.
Una situazione senza rimedio?  Non credo che sia così, almeno non del tutto. Da un lato bisognerebbe richiamare i medici alla loro carta deontologica che impone un atteggiamento empatico verso il paziente ed i  familiari, dall’altro bisognerebbe rendere edotti i pazienti dei  limiti della scienza medica e della sua possibile fallacità, ed infine bisognerebbe riportare il senso della morale in una professione che, a tutti i livelli, ha perduto molto della sua ispirazione originaria e che, nell’epoca moderna, ha assunto anch’essa  una dimensione meramente economica.  - Dott. Giuseppe Abate
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Autore Prof-Greco

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Inserito il 07 Maggio 2013 nella categoria Relazioni svolte