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Stabilimento ittico-conserviero di Bonagia: memorie

Michele Strazzera ha raccontato l'epopea dello storico stabilimento ittico annesso alla tonnara di Bonagia

Relatore: Rag. Michele Strazzera

Tonnare e lavorazione del tonno

STABILIMENTO ITTICO CONSERVIERO ANNESSO ALLA TONNARA DI BONAGIA: MEMORIE

     Negli anni ’50 dello scorso secolo operava a Trapani, nel porto peschereccio, una consorteria di commercianti all’ingrosso di pesce, i cui esponenti principali erano Ciccio Castiglione, Gaspare Gabriele, Mariano Corso, Di Bella, Polizzi.
     Ultimata la campagna di pesca del 1952, chiusa in perdita a causa dello scarso numero di tonni pescato e del loro limitato peso medio, il sig. Mario Burgarella, amministratore delegato e sovrintendente della Fenicia società per azioni di pesca ingaggiò un palombaro (all’epoca non esistevano sommozzatori professionisti) per individuare, nello specchio di mare, di cui la Società vantava la proprietà del diritto esclusivo di pesca, un nuovo sito idoneo per lo spostamento più a largo dell’isola della Tonnara il cui fondale era previsto in 3000 metri dalla costa e più precisamente dallo "scoglio Tondo" di contrada Anna Maria.
Eseguite le ricerche, risultò praticabile un sito posto, rispetto al vecchio sito della Tonnara, più fuori di 600 metri e più a ponente di altri 600 metri. Ma la parte di fondale priva di scogli era in lunghezza insufficiente per contenere l’intero sviluppo dell’isola della vecchia tonnara (di circa 545 metri).
     La Società, pertanto, venne nella determinazione di chiedere al Ministero competente una nuova concessione, da aggiungere al normale esercizio dell’impianto usuale nel bacino di proprietà, per il calo in mare di una tonnarella (camera della morte, bastardella, camere di raccolta, ordonaro e grande) il cui pedale, partendo dall’isola, si svolgeva da Nord verso Sud per circa 800 metri e poi, proseguendo ad angolo retto da Ovest verso Est, per 600 metri sino a congiungersi con il pedale della tonnara tradizionale.
      In tal modo, la tonnara tradizionale non avrebbe subito modificazioni, al di fuori del mancato calo del codardo di 610 metri verso Nord, sostituito dal nuovo impianto della Tonnarella, con pedale avvolgente ad Ovest della parte occidentale dell’isola tradizionale.
     Chiesta ed ottenuta la concessione, nell’autunno del 1952 si operò per l’acquisto del materiale occorrente sia per il rinnovo del vecchio impianto di Tonnara che per l’impianto ex novo della Tonnarella, poi denominata "Soprana".
Nel mese di marzo del 1953 il sig. Mariano Corso, in nome e per conto della sua "compagnia", chiese all’amministrazione della Fenicia l’esclusiva di acquisto di tutto il prodotto delle due tonnare (Bonagia e Soprana) ad un prezzo preordinato per la durata dell’intera campagna di pesca, versando una caparra ferma pari all’importo di 200 quintali di pesce fresco, da restituirsi soltanto a salpato effettuato, e con pagamento del pescato nella mattinata successiva a quella in cui la mattanza era stata ritirata.
L’offerta in linea di massima venne accettata, il prezzo stabilito (245 lire per chilogrammo di pesce intero), ed incamerata la caparra (di £. 4.900.000), che risultò oltremodo "corno da" atteso il rafforzato fabbisogno finanziario afferente all’approntamento del nuovo impianto in mare (tonnarella Soprana).
     L’amministrazione della Società decise, nel contempo, che lo stabilimento ittico conserviero di Bonagia, annesso alla Tonnara, venisse sempre approntato per quanto atteneva ai beni strumentali, assumendo però in servizio soltanto una rappresentanza delle varie professionalità della ciurma di terra, in maniera tale da poter svolgere attività di lavorazione "uso padrone", mantenendo integra la potenzialità produttiva (costituente deterrente nei confronti degli acquirenti allo stato fresco, nel caso in cui gli impianti di pesca avessero ecceduto la consueta quantità media/massima di prodotto pescato (storicamente il 1937 con 1637 tonni, media 150).
A tal uopo, venne avviato per il completamento della formazione quale aggraffature, presso lo scatolificio Tomasino di Palermo, il nostro guardiano annuale Vincenzino Cipolla, venne ingaggiato il conduttore della caldaia a vapore e impegnato il capo bottaio Silvestro Federico (la cui famiglia serviva la tonnara sin dai tempi dell’amministrazione Fontana).
     Per le altre professionalità ci si avvalse della poliedricità del personale locale di Bonagia, ingaggiando sei scapecieri che avrebbero, come avvenuto per il passato, assicurato an¬che un rinforzo alla ciurma di mare nel caso di una abbondante pesca.
     Da quell’anno (1953), sino al 1960 (anno in cui cessò, per dimissioni, il mio rapporto di lavoro con la Fenicia), lo stabilimento ittico conserviero annesso alla Tonnara di Bonagia, pur essendo in perfetta efficienza, non venne utilizzato, eccezion fatta per l’annuale lavorazione "uso padrone" di limitati quantitativi di tonni nel mese di giugno (esemplari piccoli) per produrre scatolette da 250 grammi lordi.
Attività "virtuale", quindi, che rendeva "virtuale" anche la mia funzione direttiva dello stabilimento, che aveva costituito nel lontano 1944 l’attività di base alla quale ero stato inizialmente preposto.
     Ricordo, infatti, che all’inizio del 1945, avendo criticato l’impostazione giuridico/contabile del bilancio sociale del 1944, per il 1945 ne ebbi conferito l’incarico di formazione, ovviamente con l’aumento da 2000 lire mensili a 5000 lire del rnio stipendio fisso (oltre le gratifiche, che facevano raddoppiare o triplicare il compenso annuo globale, nonché i relativì carenaggi). Importo che rendeva comparabile il mio stipendio (avevo allora appena raggiunto il 19° anno d’età) a quello dei dirigenti della Banca Sicula e a quello del rag. Osvaldo Chiaramente.
Così ebbe inizio il rapporto di lavoro con la Fenicia società per azioni di pesca, conclusosi il 31 dicembre 1960 (diedi le consegne al mio consanguineo Michele Strazzera, anche lui ragioniere, ventenne, da me designato ed istruito).
L’11 aprile 1944, conseguentemente, mi trasferii a Bonagia, avendo assunto l’obbligo del pernottamento da aprile a luglio. 
     Bonagia dista da Trapani 11 km., Allora unico mezzo pubblico era la corriera della ditta Bosco Manzo e Scuderi, costituita da un autobus trasformato, cioè con installato sul retro un gasogeno a legna (allor quando, in sovraccarico, non potevasi proseguire, i maschi adulti erano invitati a scendere !).
Il servizio igienico era decente, ma tipo ottocento; e di acqua corrente, neanche a parlarne.
Le brocche d’acqua dovevano attingere all’unica cisterna interna (che assicurava l’acqua potabile alle ciurme di mare e di terra, diversamente non reperibile) e l’acqua calda veniva fornita ogni mattina dal così detto ragazzo del palazzotto padronale, che la preparava utilizzando la classica caldaia a legna della cucina.
Ottimo, invece, il servizio di camera e di cucina. Qualche giorno dopo chiesi di fare il bagno. Mi fu approntata la classica pila in legno zincata. A questo punto, la stessa sera, a piedi, rientrai a Trapani e ritornai a Bonagia dopo aver contrattato con l’amministrazione l’installazione di una vasca da bagno vera con una rudimentale doccia e la possibilità – a richiesta – di farmi accompagnare in automobile a Trapani nel tardo pomeriggio, con rientro a Bonagia entro la mezzanotte.
L’opificio per la conservazione sott’olio del tonno lasciava molto a desiderare.
Invero, nei secoli passati, sino a che Nicolas Appert, su inca¬rico di Napoleone Bonaparte, ebbe a sperimentare il metodo per conservare in vetro i cibi (successivamente perfezionato con l’utilizzazione di recipienti metallici), unico sistema per la conservazione delle carni (sia di pesce che di natura animale) era costituito dalla salagione.
Dalla trasformazione di una unitissima fortezza bastionata del 1626, era derivato uno stabilimento di salagione e sol¬tanto alla fine del 1800 vennero introdotte le caldaie di cot¬tura del tonno per il successivo confezionamento in scatole di banda stagnata, chiuse "a mano" da un numeroso corpo di stagnini.
Doveroso appare, a questo punto, chiarire che:
1) Per la produzione del tonno sotto sale, dopo la eviscera¬zione, la scapatura, la depinnatura e la pulitura da ogni resi¬duo di sangue o mucillagine, il tonno – prima di assumere la rigidità cadaverica – veniva appiccato con la coda ad una trave per la successiva ronchiatura ed affettamento.
Per la ronchiatura veniva utilizzata una speciale ronca che, partendo dalla coda, separava in 4 filetti il corpo del tonno, isolandolo dallo schienale e dalle spinelle.
1 4 filetti, ancora attaccati, venivano separati dall’ossame, schienale e spinelle, con l’ausilio di un coltellaccio anch’esso roncato all’estremità.
Una volta avviato il distacco dalla carcassa ossea della coda, facile risultava la successiva operazione, in quanto agevolata dallo stesso peso della parte già distaccata.
I quattro filetti, però, configurati come un unicum dalla coda alla testa erano di natura eterogenea. I due filetti dorsali, in¬fatti, venivano suddivisi in due parti principali: a) codilla ne¬ra; b) stallo.
La codilla nera era costituita da un muscolo a configurazione di accrescimento anellare.
Lo stallo, corrispondente al dorso vero e proprio, invece ave¬va una configurazione di accrescimento triangolare a partire quasi dalla carcassa ossea.
I due filetti centrali, poi, venivano suddivisi in due parti prin¬cipali: a) codilla bianca; b) surra.
La codilla bianca aveva una configurazione di accrescimento triangolare a partire dalla carcassa ossea, carne poco san¬guinolente ed alquanto grassa.
La surra, invece, era di natura oltremodo composita. La par¬te più esterna era di natura stratiforme, con alternanze di strati di grasso con strati di carne, delimitata nella parte in¬terna da una membrana che la separava dalla cavità ventra¬le. Era chiamata ventresca.
La parte più interna, attaccata alla carcassa ossea e confi¬nante con la cavità ventrale, era costituita da una massa mu¬scolare compattissima, sempre ad accrescimento triangolare e agiva da supporto compensativo alla cavità ventrale stessa, assicurando una rigidità strutturale. U*,’, X40 La parte più esterna, attaccata alla parte dorsale dei tonno, 44A2-1.1 era chiamata tarantella ed era costituita da una struttura sempre a spicchi, ma di sola carne, ancora più grassa della codilla bianca.
Tra il tarantelle e la ventresca vi era una particolarità "lo spesso". Si trattava sempre di ventresca, ma con struttura del grasso a distribuzione marmorizzata.
Lungo la parte di congiunzione tra i quarti superiori (codilla nera – stallo) e quelli inferiori (codilla bianca – surra) la carne del tonno era di natura spugnosa, molto fibrosa e nera. Al momento della mattanza, appena estratto dal mare, lungo tale fascia laterale, le squame dei tonno assumevano invece iridescenza dorata, che contrastava con l’azzurro dorsale e l’argento ventrale.
Questa parte nera, con la relativa porzione di pelle, costitui¬va la buzzonaglia, che per secoli costituì, sotto sale, il com¬panatico dei naviganti.
Tutti i quattro quarti, ridotti a fette, venivano "infruscati" di sale e immessi, alternandoli con strati di sale "mezza ri¬tW, in grosse botti da circa 10 quintali, e coperti da rete e contrappesi, sino alla loro colmatura.
Dal 24 giugno in poi, verificata la maturazione dell’ultimo strato, le botti venivano vuotate, la massa carnosa lavata con salamoia fresca e posta a gocciolare una notte. Il giorno successivo si impostavano i pezzi di tonni nei barili suddivisi in
1) surra (ventresca, spesso, tarantelle)
2) codilla bianca
3) netta (cozzo, stallo, codilla nera, botina)
4) buzzonaglia
Ma il salato comprendeva anche le altre parti dei tonno. Ri¬cordate: tracchie, cioè pinne, schienali, spinella bianca, spi¬nella nera, testa, interiora (uova o lattume, cuore e vittic¬chio, controventre e ventre, polmonello, budello) e la parte terminale della coda chiamata per la parte esterna "calca¬gnoli"; mentre per la parte interna, staccabile soltanto con l’accetta, costituiva i così detti "ciaraveddi".
La parte meno nobile dei salato, lavorato nella medesima maniera della parte carnosa, costituiva l’ossame o tonnina da cuocere.. Infatti veniva utilizzata nelle "taverne" per esse¬re consumata dopo idonea lessatura, con molto limone e, ovviamente, con un bel boccale di vino. Era, in particolare,
costituita dalle citate parti denominate calcagnoli, tracchie, schienali, spinella bianca, spinella nera, nonché dalle parti recuperate dalla spolpatura della testa, e cioè occhiaie, fron¬tali, golidde.
Sottoprodotto della salagione era l’olio di tonno ricavato dal¬la torchiatura delle parti ossee non utilizzabili, previa loro macerazione mediante bollitura in un ampio calderone po¬sto nel "camposanto".
La parte nobile del salato veniva, invece, lavorato dal campa¬rioto nei suoi particolari locali (camperia): materia prima le interiora e il sale "fino".
Fatta eccezione per le uova, di cui appresso si dirà, il lattu¬me, i cuori, le ventri, i polmonelli e i budelli maturavano sot¬to sale con apposita progressiva pressatura; maturata la sa¬lagione, venivano puliti, lavati con salamoia ed esposti al so¬le per rassodarne le pellicole esterne, rendendoli pronti alla vendita.
Le uova, invece, man mano che venivano consegnate dallo sgugliatore in apposita "mailla", venivano infruscate di sale. La stessa giornata il camparioto le osservava, le puliva dalle membrane di attacco agli altri organi, le lavava e, infine, le riponeva su una pianale rialzato, una ad una, previa immis¬sione di salamoia. Dopo un congruo periodo di tempo, non superiore a 24 ore, tecnicamente chiamato "dose", esse ve¬nivano svuotate.
Da quel momento in poi, appaiate per uniformità dimensio¬nale, venivano impostate nelle così dette "pense" e manipo¬late giornalmente o a giorni alterni, sempre con sale fino e con idonea pressatura crescente, in modo tale da rendere le singole microscopiche componenti (uovo) saldate tra di loro, mature di salagione e con l’involucro a forma parallelopipede
A maturazione verificata, le uova, pulite e lavate con salamoia fresca, venivano esposte anch’esse al sole, appaia¬te e messe a cavallo d’una idonea trave, per rassodarne la pellicola esterna. Quindi, venivano selezionate per grandez¬za, imballate in casse di legno di pino ed immesse alla vendita.
Devo confessarvi che in 17 anni di permanenza in tonnara e nei successivi decenni, benché da me sollecitato, mai ebbi il privilegio di poter conoscere il tempo di "dosa" delle uova di tonno. Il camparioto, con il quale ero in particolare confidenza, Salvatore Renda, glissò sempre ogni mia richiesta e non lasciò memoria scritta al riguardo (come mi confermava, qualche anno or sono il figliolo, ispettore dell’I.N.P.S. di Trapani).
2) Per la produzione del tonno sott’olio in barili, si utilizzava la parte "netta" maturata dalla salagione, sufficientemente asciugata ed immessa in barili ermetici in cui il liquido di go¬verno, al posto della salamoia, era l’olio.
Il prodotto così ottenuto era di immediata utilizzazione, mentre al salato tradizionalmente occorreva, dopo l’estra¬zione dai barili, una idonea lavatura in acqua corrente per privarlo dell’eccesso di sale per renderlo così commestibile.
Tutto quanto precisato serve a comprendere che per le lavo¬razioni descritte risultava sufficiente il tipo di baglio fortifica- to che era stato ricostruito nel 1626, dopo la distruzione del precedente casamento ad opera dei pirati saraceni.
Il baglio fortificato, invero era imperniato sulla attuale torre, peraltro inglobando i ruderi delle precedente, distrutta dai pirati, rafforzata da un bastione che, iniziando dalla alta a¬pertura d’ingresso, si svolgeva verso Est, sino a raggiungere ad angolo retto le distese di muratura continua in cui era inglobata la chiesa. I rimanenti lati del quadrato perimetrale erano pressocchè identici a quelli tutt’ora esistenti, esposi¬zione mezzogiorno e ponente ed incardinati al loro vertice in un’altra torre vetusta di più modeste dimensioni destinata all’alloggio padronale.
E’ bene ricordare alcune date:
1804 – Nicolas Appert fonda a Massy la prima fabbrica di conserve
1810 – La commissione governativa francese, di cui faceva parte, Gay-Lussac, accetta il metodo Appert per la conserva¬zione delle sostanze animali e vegetali. A Nicolas Appert vie¬ne attribuito un premio di 12.000 franchi.
1811 – Nicolas Appert pubblica un libro sull’arte di conserva¬zione per più anni delle derrate alimentari.
1810 – Peter Durand prende in Inghilterra il brevetto per la conservazione degli alimenti in recipienti chiusi di latta.
1852 – Chevalier Appert (pronipote di Nicolas) adotta per la sterilizzazione una pentola ermetica con manometro. Le basi scientifiche del processo attingono agli studi dell’italiano Lazzaro Spallanzani. Soltanto nel 1863 Pasteur confermò definitivamente le teorie dello Spallanzani. Il metodo Appert, per intenderci, consiste nella lessatura in acqua (o a vapore) degli alimenti da conservare (prepuliti), al loro stivaggio in scatole di banda stagnata (o vetro), ricolma-tura con liquido di governo (soluzione salina, olio, salsa di pomodoro, etc.) e chiusura dei recipienti (possibilmente in preriscaldamento per diminuire l’eventuale camera d’aria). Indi, i recipienti vengono immessi in autoclave (spesso a pressione e contropressione) per raggiungere le temperatu¬re di sterilizzazione.
A questo punto, il metodo Appert si diffonde, si perfeziona nelle grandi fabbriche di conservazione del pesce in "California" e la proprietà dei Baglio fortificato è costretta a demoli¬re bastioni e muraglioni per installare 12 caldaie di cottura, in batteria di due sezioni, ad approntare un padiglione per il raffreddamento del tonno cotto e per il relativo stivaggio in scatole (Sharpante), un locale tecnico per l’oleazione, chiu¬sura e sterilizzazione delle scatole (California), locali ausiliari per la pulitura, imballaggio e deposito dello scatolame desti¬nato alla vendita.
Il baglio è stato adattato a conservificio
A seguito dell’abbondante pescato dell’anno 1937 (1638 tonni), l’amministrazione della Fenicia spa attuò ulteriori la¬vori di ampliamento dei conservificio.
Venne abolita una caldaia di cottura per fare spazio ad un al¬to fumaiolo in muratura; venne installata una terza batteria di cottura con 4 caldaie di dimensioni doppie rispetto alle preisistenti; vennero munite di bucine ( specie di scolatoci) le caldaie piccole ed installata una gru mobile su binari per la loro movimentazione; venne costruito un nuovo "Sharpan¬te" di m. 20 di larghezza per 24 m. di profondità con unica campata di tipo "Bresciano"; venne costruita ex novo una nuova camperia per la lavorazione delle interiora.
Di ciò che esisteva al 1960 è rimasta integra la parte angola¬re del vecchio baglio che, partendo dalla torre, arriva alla torre più piccola adiacente all’ingresso, i muraglioni che danno sulla piazza dello scalo.
E’ giusto e necessario il progresso ! Ma la conservazione di un’opera d’arte quale era quello "Sharpante" di 20 x 24, a mio avviso, avrebbe rappresentato la testimonianza di una tappa temporale intermedia tra il baglio fortificato bastionato e l’odierna destinazione turistico-alberghiera.

Michele Strazzera

Autore Prof-Greco

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Inserito il 25 Maggio 2011 nella categoria Relazioni svolte