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Teatri arcaici ed aree sacre in Sicilia

Il dott. Claudio Paterna, dirigente della soprintendenza BB.CC. di Palermo, ha presentato un interessante studio sui Santuari ellenistici e preesistenze sacrali nella Sicilia tra il VI e il IV sec. AC

 
APPUNTI DI LAVORO PER UNA
         RICERCA    ANTROPOLOGICA  SU:
 TEATRI  ARCAICI, SANTUARI ELLENISTICI e
  PREESISTENZE SACRALI INDIGENE
  IN SICILIA TRA IL VI sec.e il IV sec. AC

       a cura di Claudio Paterna
        Dirigente Responsabile dell'Unità Operativa VI,
      Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici
              del Centro Regionale per la Progettazione e il
              Restauro del Dipartimento Regionale Beni
              Culturali e Identità Siciliana della Regione
              Siciliana.

   SOMMARIO:

1. Premessa allo studio;
2. Archeologia e Antropologia culturale;
3. Lo spazio della pietra: per liberare le divinità Ctonie;
4. I teatri: Segesta,Hippana, Solùnto, Jato, Tyndaris, Tauromenion,
Syracusae, Heloro, Akrai, Morgantina, M.gna di Marzo, Eraklea Minoa.
5. Appendice: I teatri romani di Thermis e di Katane.

Immagine riferita a: Teatri arcaici ed aree sacre in Sicilia

  1.Premessa allo studio;
  L'indagine che presentiamo si inserisce come approfondimento, di un  lavoro precedente condotto dallo scrivente su "Persistenze e ritualità arcaiche nell'entroterra" , oggetto di una pubblicazione specifica del 2010, derivante dalla tesi di laurea(1977) , a carattere antropologico, condotta a supporto dell'argomento più ampio de "le feste popolari,i riti e le sopravvivenze": La tesi è stata a sua volta perfezionata con l'ammissione al Dottorato di Ricerca in Discipline Etnoantropologiche a Cosenza nel 1984 , e il successivo lavoro "sul campo" in provincia di Enna quale dirigente del settore Beni SS.AA.EA della Soprintendenza BBCCAA , nonchè quale Cultore della Materia presso l'Università Kore(2007).
  Le motivazioni di questa ulteriore indagine antropologica che nasce nel solco di una estensione della disciplina ai fenomeni del sincretismo, nello specifico, le preesistenze sacrali indigene e le fondazioni successive dei santuari e dei teatri greci in Sicilia, si è concretizzata con una serie di incontri preliminari avuti con il direttore del Centro regionale per il Restauro, Dott.ssa A. Mormino,con il dirigente dell'Unità Operativa beni archeologici del Centro, Arch. M. Alfano, e la dott.ssa M.G. Agosta studiosa di tematiche archeologiche presso il Centro medesimo. L'indagine è stata proposta per la pubblicazione negli atti del progetto ARTEA -Teatri Antichi dell'area del Mediterraneo.  
Questo  lavoro -che gode del beneficio di andare oltre i canoni della disciplina archeologica e di quella antropologica strutturata , fondandosi su una ricerca autonoma sul Campo,- nello specifico verrà presentato al pubblico incentrando l'intervento  sulla ricerca , vista nel dualismo tra "teatri arcaici" e santuari-ellenistici/ aree sacre indigene, ponendo in correlazione , e non in antitesi, il rapporto tra "colonizzazione" e "religiosità indigena".

 Nell'ambito di questa premessa  mi pare necessario configurare alcuni limiti
della ricerca stessa, che ribadiamo, osserva il fenomeno antropologico dell'edificazione dei teatri come "Luoghi della Rappresentazione", e di culto, talvolta espressione di un carattere esoterico.
Questo anche secondo l'indirizzo metodologico espresso da A. Pickard-Cambridge, ma anche secondo indirizzi di studio che vedono nel teatro arcaico un luogo di conoscenze simboliche, un "Teatro della memoria" così' come intravisto nel Rinascimento da Giulio Camillo :" Si tratta di cogliere le origini della drammatizzazione, a partire da Atene in poi....ma anche il teatro greco come rito, e in particolare espressione di miti dionisiaci"( si veda: S.Nicosia,in Miti mediterranei, 2007, Fondazione Buttitta).
 In effetti  "accanto all'aspetto religioso, intimamente connesso alle rappresentazioni teatrali, va sottolineato il nesso specifico che si instaura tra  teatro ed edifici o aree di culto vicine"(Ved. M.G.Agosta-M.E.Alfano: Introduzione storica alle architetture teatrali antiche, tipologia e glossario tecnico,pag..25, sta in "Architetture teatrali siciliane di età antica -fase della conoscenza".Pa,2008.)
 Questa  premessa  metodologica serve a porre in rilievo che essendo l'isola interessata al  fenomeno della colonizzazione greco-egea, il patronato della divinità dionisaca o apollinea che fosse, non è uniforme nelle attività   rappresentative , ma presenta varietà di culti, soprattutto nelle differenziazioni dei culti ctonii(ben nove) o in quelle di tipo demetreo(divinità assimilabile a una  Dea Mater mediterranea).
 E' già stato detto altrove che Eraclea, Taormina, Tindari, Siracusa, Akrai, presentano a monte della cavea teatrale edifici di culto dedicati a divinità diverse che Dyonisos o Apollo, e nella disamina specifica delle località segnaleremo quali.
 Tuttavia a queste considerazioni di carattere generale va aggiunto che la tematica in questione si è arricchita recentemente del contributo di studiosi che hanno interpretato i teatri del periodo ellenistico come "Teatri-Santuari", argomento che si avvicina al nostro studio, ma non lo
 comprende interamente.  
                                                                                                       
 In effetti sulla base di una tecnica edilizia e in considerazione di una serie di caratteristiche architettoniche- a metà strada tra i teatri ellenistici della Sicilia e dell'Asia Minore, e i teatri di età tardo repubblicana nella penisola italiana,- un gruppo di studiosi ha elaborato un modello interpretativo degli spazi teatrali quali parte di aree  santuariali  complesse, su cui organizzare i livelli di conoscenze finquì acquisiti dagli studi.
 Di questi studi resta fondamentale J.A.Hanson-"Roman Theater-Temples",Princeton,1959;  G.Tosi-"Gli edifici per spettacoli nell'Italia romana",pp.709-750, Roma,2003; C.Albanesi-"Architettura ellenistica a Solunto; un caso singolare di teatro-tempio", in Sicilia Ellenistica,2006,pp.177-192; J.Bonetto-"Persistenze e innovazioni nelle architeetture della Sardegna ellenistica", in Sicilia Ellenistica,2006,pp.257-270;
 Per quanto riguarda gli antecedenti ellenistici del complesso teatro-santuario, soprattutto a Siracusa, si veda G. Voza-"Teatro greco di Siracusa:Stato delle conoscenze",in Teatri Antichi,2007,pp.72-80; Sulla diffusione e significato in area peninsulare dei teatri-santuari, si veda G.Tagliamonte-"Considerazioni sull'architettura santuariale di età tardo repubblicana tra Campania e Sannio", in L.Qulici-S.Quilici Gigli "Architettura pubblica e privata nell'Italia antica",Roma, pp.53-68. E degli stessi autori -"Santuari e luoghi di culto nell'Italia antica",Roma,2003.
Sul teatro di Tindari si veda pure F.G. La Torre-"Urbanistica e architettura ellenistica a Tindari, Eraclea Minoa e Finziade", In Sicilia Ellenistica,2002,pp.83-95.
Per i rapporti tra aree santuariali e tecniche costruttive ellenistiche nella Sicilia occidentale si consultino tra l'altro gli Atti delle terze giornate internazionali di studi sull'area Elima, Gibellina(Tp)
23-26 ottobre 1997. Sull'area tirrenica si veda "Magna Grecia e Sicilia"-Incontro di studi, Messina, 2-4 dicembre 1996
    Archeologia e Antropologia Culturale:
   La ricerca antropologica(fieldworks) cui indirizziamo i nostri sforzi ,pur prendendo atto dei risultati provenienti dagli studi archeologici, non può che riferirsi alla trasmissione di "modelli culturali" piuttosto diffusi al passaggio tra mondo indigeno e mondo greco, "modelli" di ritualità e sacralità perduranti fino  al medioevo, talvolta fino alle soglie dell'epoca moderna, gelosamente conservati dal folklore e dalle tradizioni popolari, soprattutto orali. 
 Mi sia concesso  motivare la persistenza di "modelli" culturali arcaici con la grande varietà
di cicli rappresentativi delle feste popolari,  ancor oggi molto diffusi, che rendono la Sicilia un unicum nel panorama dei "luoghi della rappresentazione", laddove la festa religiosa sopravvive oggi con i canoni presi in prestito dal lontano passato mediterraneo, canoni sincretistici il più delle volte, che sono stati resi attuali da una liturgia complessa e allo stesso tempo duttile, derivante dal Cattolicesimo secolarizzato.
Si è detto molto delle origini del teatro come proiezione drammatica della rappresentazione mitico-rituale, e pur accettando le più recenti teorie a riguardo non possiamo fare a meno di ricollegarci a quanto lo sguardo antropologico sul mondo attuale ci offre.
 Ci riferiamo allo spettacolo festivo tout-court, ovvero a quella rappresentazione mitico-rituale oggi ben definita dalle analisi morfologico-strutturali come 'interazione' tra tempo ciclico(mitico) e tempo cronologico(rituale).
Ed appunto , per confermare quanto detto sopra,  sosteniamo che una delle più complete esperienze rappresentative mitico-rituali nel mondo odierno sia  la 'Settimana santa' cristiana , nella sua Variante siculo-mediterranea, a lungo studiata da Antonino Buttitta e dalla sua Scuola, e proposta nel volume  ' Pasqua in Sicilia'(1978) di cui riportiamo alcuni passi  significativi dell’edizione del 1990, passi scelti in rapporto al significato gestuale-teatrale del fenomeno sacro.
"E riflettendo sul valore del tempo sacro e del tempo profano" - scrive-'I fatti storici si possono celebrare, non ripetere. Quelli sacri non si celebrano:si ripetono.La ripetizione dell’evento è la condizione sacrale del rituale religioso'(pag.8).

Più avanti descrivendo I LUOGHI delle feste, sostiene Buttitta:' Ogni celebrazione rituale in quanto TEMPUS è esemplare: quel tempo,ha bisogno di Un LOCUS particolare: quel luogo. Non è così per la Pasqua. In quanto non è una Festa, ma LA FESTA, il rito che assicura la rigenerazione annuale della natura  e dell’umanità….il dramma della morte e Resurrezione del Cristo richiede la partecipazione più totale.."(pag.20).
Attraverso la descrizione corale dei riti della Settimana Santa, ricorrendo all’evidenza dei SIMBOLI, dei CIBI RITUALI, delle PAROLE, dei SUONI, delle MASCHERE, delle IMMAGINI sacre, Buttitta giunge alla definizione dei GESTI :'le statue, i misteri, sono rappresentazioni
 figurate della memoria, quella memoria che abolisce il flusso del tempo fra il presente e il passato. Da sole però esse non sono sufficienti a ristabilire ciò  che è accaduto nell’ILLO TEMPORE del mito.
Più avanti parafrasando Mircea Eliade ' E’ necessario il Gesto, l’Atto, cioè l’azione drammatica…L’Atto, il rito  indispensabile..i Misteri antichi…non avrebbero potuto organizzarsi  come religioni iniziatiche  se non avessero avuto dietro di sé  un lungo periodo, preistorico di mistica agraria,  vale a dire se lo spettacolo della rigenerazione  periodica della vegetazione
 non avesse rivelato, molti millenni  prima la solidarietà tra l’uomo e il seme  e la speranza  di una rigenerazione ottenuta  dopo la morte e attraverso la morte'.
 E a conclusione del lungo excursus:' Questo è il senso profondo della Pasqua ed è la logica che presiede al complesso dei suoi riti, quali si sono conservati o dissolti nella varietà delle FORME TEATRALI  DERIVATE....
I due fenomeni , fatti spesso dagli stessi gesti, parole, ATTORI, nello stesso SPAZIO SCENICO, non sono tuttavia da confondersi: Il RITO tende a sostituire e a sovrapporre al tempo profano il tempo mitico(…….); Il TEATRO tende a simulare ritmi temporali e dimensioni spaziali
diversi da quelli della realtà, tende cioè a trasformare il tempo profano in tempo mitico: In questo senso il RITO STORIFICA, il TEATRO DESTORIFICA: al primo tempo appartengono tutte le azioni drammatiche descritte, in esse il dramma sacro è sentito come un fatto reale, che accade in un QUI' e in un ORA.'(pag.72).
Infine, nel capitolo 'La società e il tempo ritrovato'conclude la sua riflessione:'L’assorbimento di una dimensione teatrale o ludica, che ha accompagnato la progressiva perdita del loro(le feste) primitivo carattere magico-religioso ,sembra averli caricati di un diverso significato rituale
Ciò grazie ai nuovi modi di partecipazione e fruizione sociale  cui sono andati incontro(…..) Tutti gli appartenenti alla comunità pur nella diversità dei Ruoli ,sono ATTORI di un fatto tetrale  nel quale il momento della partecipazione collettiva finiscono  con l’essere il dato più significativo(pag.76). 
A questa pregnanza di significati che si aggiunge a una lunga tradizione di studi e analisi, dal Pitrè al Cocchiara, dal Durkheim  al Mauss, dal Tylor al Marett, dal Van Der Leew al Van Gennep, vorremmo aggiungere degli spunti metodologici che scaturiscono dalla lezione etno.antropologica
del Cirese, soprattutto nel capitolo del suo libro fondamentale(Cultura egemonica e Culture Subalterne)  riguardanti 'il Trattamento dei dati raccolti ', ciò attraverso  analisi comparative e di tipo storico-geografiche, tendenti a individuare "un tessuto di relazioni" in grado di evidenziare un modello di trasmissione culturale( frutto,tuttavia, di  analisi morfologico-strutturali),  evidenziando  a loro volta la gestualità rituale delle rappresentazioni sacre, elaborate come forme proto- teatrali, tuttora esistenti. Si veda a questo proposito il mio studio su 'Le Addolorate del Venerdì Santo', in Atti del VII congresso di studi antropologici(Palermo 11-13 dicembre 1986) pp. 247-55 pubblicati nei Quaderni del Circolo Semiologico Siciliano nn.32-33, giugno 1989.
 La figura complessa e piuttosto diffusa in ambito rituale-rappresentativo del Dio Dyonisos ,culmine di un rapporto complesso di credenze legate al cilo vita-morte-rinascita, si ricollega infatti al quel corpo di "misteri"-che, come scrivono le stesse Agosta e Alfano-" soddisfano l'ansia religiosa di Catarsi/Salvezza dopo la morte, così come viene promesso agli iniziati ".
  L'autonomia del teatro dal Rito è una conquista progressiva; in origine, l'attore e il sacerdote si confondevano. La maschera sacra ,che inizialmente è rappresentazione del Dio, diventa poi lo strumento del gioco narrativo(K. Kerenj).
Le nuove forme di ritualità parateatrale assumono il carattere nuovo di affermazione dell'identità di gruppo, e di condivisione di valori comuni. E' un fenomeno unico che differenzia il teatro da tutte le altre forme rappresentative e mass-mediatiche.
  Punto comune di partenza dell'indagine rimane il contatto diretto tra Topoi,ovvero gli usi religiosi arcaici del luogo, e i Logoi, la diffusione dei rituali politeistici fondativi dell'esperienza rappresentativa.
  La ricerca di questo tipo di tracce e contatti, non viene condotta esclusivamente sulla base dei reperti ritrovati o su quelli di cui si ha ducumentazione d'archivio, ma anche sulla memoria tradizionale delle frequentazioni antropiche, sulla ritualità consolidata a carattere cultuale-funerario, sulle stratificazioni agrario-produttive che caratterizzano il territorio in esame.

    Lo spazio della pietra .....per liberare le divinità ctonie.
   La religiosità del paesaggio.
Il dibattito più recente tra archeologi e antropologi, ha indicato che i dati della cultura materiale non sono altro che parte di un complesso sistema  di comportamenti privati e pubblici, codificati in pratiche rituali. Le pratiche funerarie restano uno degli aspetti in cui ogni comunità, alle soglie della Storia e ai prodromi della Civiltà, esprime  meglio "la costante rinegoziazione dei ruoli e delle regole all'interno della propria organizzazione sociale e definisce i codici attraverso cui si identifica"(A-Procelli,56).
Non dissimile il discorso per la Sicilia tra il XII e l'VIII sec. AC , indubbiamente il periodo di passaggio tra l'ethnos indigeno e quello dei colonizzatori-come sostiene FRANCESCO RENDA ne la "Storia della Sicilia"(vopl.I)- e a sua volta, questo periodo a tratti misteriosi(ricordiamo che tra  la fine della civiltà micenea in Grecia e l'arrivo della nuova stirpe dorica vi è lo spazio di quattro secoli, periodo che corrisponde ad altri eventi ancora non del tutto documentabili, come la diaspora della distruzione di Troja, le invasioni dei popoli del mare,le città-stato della Fenicia, ecc.), e tuttavia questo periodo fornisce altri dati per questa ricerca, anche in prospettiva di rendere comprensibile  l'assimilabilità dei riti religiosi autoctoni con quelli dei colonizzatori , nelle comuni espressioni degli spazi sacri, poi resi spazi teatrali o semplicente spazi rituali.
 I dati di questa Ricerca sono pur sempre "frammentari"considerato il periodo preso in esame, e uno studio delle pratiche funerarie come sistema strutturato, necessita di informazioni globali sulle necropoli, di cui abbiamo tuttavia, relativa e non abbondante documentazione; Si tratta di tracce comunque "polisemiche", che vanno lette in senso metaforico(B. D'Agostino):"Le pratiche funerarie sono un sistema di comunicazione, a condizione che esse rappresentino, più che il reale ruolo del defunto, le strategie mediante le quali il suo "gruppo" di appartenenza costruisce selettivamente  la propria identità.."
"Una sepoltura non è che parte di un funerale , come rileva I. Morris , è l'unico segno percepibile dallo studioso-escavatore  per capire una sequenza più vasta di comportamenti, successivi alle esequie".
 Va da sè che l'architettura della tomba riproduca -, in questo periodo preso in esame(XII-VIII sec. AC) , -generalmente quella domestica, e le tombe unicellulari-assai diffuse- corridspondano a parte di un complesso "pulricellulare" retto da legami parentali-familiari.
 Ma quali sistemi ideologici sottendono a queste pratiche funerarie riscontrate nelle necropoli indigene, i cui corredi riconducono ai più simili  delle Gens italiche o peninsulari?
 Se dovessimo attenerci ai dati dell'epoca coloniale potremmo dire che gran parte delle tombe  "pluricellullari"a inumazione, dunque, si riferiscono a una sorta di ideologia del "banchetto", in diretta connessione col mondo dell'oltretomba orfico e dionisiaco.
Ma queste connessioni apparentemente riconducibili al mondo Egeo,sono realmente di natura "coloniale", sebbene arcaica, o sono soltanto segni metaforici di rituali funerari assai diffusi nell' intera area Mediterranea?
Certo l'orfismo è praticato fin dall'epoca micenea(XII sec. AC), ma il mito di Orfeo è cosa ben più recente rispetto alla figura del Dio  Dioniso che ,i più recenti studi  assimilano a un dio sincretistico orientale, più prossimo alla tradizione indomediterranea che indoeuropea.
Altri Indizi comunque rivelano pratiche "patriarcali" (indoeuropee) assai complesse, e pratiche
"matriarcali" di provenienza eterogenea(legame madre.-figlio nella tomba, posizione fetale, scongiuri, ecc.).
 Se l'dea del "banchetto" funebre accoglierebbe pure istanze provenienti dal mondo egizio-orientale,
-considerate le più recenti scoperte che avvicinano molto i rituali egizi a quelli Greci intorno al X° sec. ac- la pratica della tomba "modello di abitazione", insieme all'uso di inumare in posizione fetale(Djmbutas), potrebbe essere più di derivazione orientale, addirittura asiatica:
L'ideologia funeraria di ricondurre il corpo esamine nel ventre della dea Madre per una nuova rigenerazione, è sicuramente parte delle concezioni elementari della vita religiosa(Durkheim). E gli esempi non mancano nel mondo anatolico, più prossimo alla realtà presa ora in esame.
Vi è poi una terza "ideologia" che comprende le precedenti: la vita terrena è subordinata agli umori
delle divinità infere. Le manifestazioni dell'oltretomba, dai terremoti alle acque calde, erano maniufestazioni delle divinità, e dove esse si manifestavano bisognava erigere altari e cimiteri propiziatori. Troviamo queste tracce a Segesta, a Morgantina come ad Agrigento .
 Le tombe a "grotticella" di derivazione matriarcale , le tombe "pluricellulari" a schema votivo orfico, le tombe individuali presso le "mintine"(sifoni d'acque calde   o presso i terreni vulcanici) potrebbero essere poste in connessione con la nascita di aree sacre dove in seguito verranno edificate le "aree di rappresentazione" santuariali o semplicemente  forme arcaiche di teatro, tutto questo è da verificare; E' pur vero che laddove le  pratiche funerarie divenivano scenografia collettiva, laddove tutto il villaggio partecipava a rituali comuni, con lo scopo di rinsaldare i legami dell'identità comune, e' ipotizzabile che le aree sacre indigene possano aver costituito i prodromi delle future fondazioni santuariali , assimilando tuttavia i rituali funerari testè accennati a forme grossolane di "culto della sopravvivenza dopo la morte".
D'altra parte come considerare il contesto ambientale in cui si svolgevano i rituali indigeni di tipo
ordalico?
Si pensi all'area dei vulcanelli di fango al confine tra Palagonia e Mineo, dove si svolgeva il rituale
apotropaico dei "Palìci";
Si pensi alle aree delle "mofete" di Aragona, di Paternò, di Caltanissetta dove sono attestate tracce della cultura materiale indigena e di presunti rituali per cogliere il favore delle divinità infere;
Si pensi ai più antichi luoghi termali della Sicilia, a iniziare la Xiphonia-Acireale, proseguendo col Kronion di Sciacca, le terme selinuntine(Montevago), le terme segestiane, le acque calde di Thermis, di Sclafani Bagni, di Castroreale, di Alì messinese, di Lipari, di Vulcano, di Pantelleria, e di altri luoghi similari  un tempo frequentati, di cui il ritrovamento di vari corredi funerari, cui si aggiungano le località con fonti solfuree scomparse (L'Acquasanta a Palermo, la Valle del Torcicoda a Enna, contrada Galàti a Barrafranca, Montalbano Elicona, Cefalà Diana, Comiso, Pergusa.....).
Tragicità della morte e riti di fertilità , assicurati dal "mondo" dell'oltretomba, potrebbero essere per la Sicilia  alla base delle primitive "scenografie" nelle aree sacre -come sembrerebbero mostrare i documenti di scavo e le deduzioni "letterarie" riportate dalle più antiche iscrizioni funerarie invocative in lingua siculea, Fenicia e Micenea), come del resto  dalle  leggende più antiche trascritte dagli storici greci..........           

    SANTUARI ELLENISTICI, TEATRI ARCAICI e  PREESISTENZE RITUALI INDIGENE

  1-Il teatro di Segesta(Calatafimi):
 Il teatro sorge sul versante nord-orientale del monte Barbaro, località frequentata fin dall'età del Bronzo. Fu costruito intorno la metà del II° sec. AC, con la cavea insolitamente rivolta a nord, scelta dettata  dal magnifico scenario naturale verso il mare.
 Dal periodo ellenistico in poi la struttura del teatro "A conchiglia" fu modificata in epoca romana, e medievale.Ma vediamo intanto le notizie sintetiche sul teatro:
 L'edificio scenico è lungo mt. 27,40 e largo mt.9,60. Il frontescena era delimitato da due corpi  avanzati(Paraskenia)decorati con statue, e un profondo e alto palcoscenico(Proskenion). Agli angoli interni dei paraskenia, nella parte inferiore, erano posti telamoni raffiguranti il dio Pan, protettore delle arti e del paesaggio agreste.
 La cavea è stata interamente costruita a differenza degli altri teatri greci(Dm.63,60)ed è costituita da un sistema di terrazzamenti artificiali, formati da setti radiali e lastre di pietra sui quali venivano costruiti i sedili,era delimitata da alti muri di contenimento(Analemma).
 La cavea si presenta suddivisa orizzontalmente da un ambulacro(Diazoma),in Ima -Cavea e
Summa-Cavea. La parte inferiore che dispone di venti file di gradini, di cui l'ultima con gradini a schienale, è suddivisa da sei scale di servizio in stte cunei(Kerkides).
All'Orchestra, separata dalla scena, si accedeva dalle "Paradoi"(accessi laterali).
 Questi sono i dati generali sul teatro ma cerchiamo altre caratteristiche locali:
 L'origine èlimo-trojana della città sarebbe attestata in primo luogo dal mito di èlimo. 
Un mito che caratterizza la vallata tra Calatafimi e Segesta,  quello antichissimo del toro-paredro  Crimiso e della ninfa del corso d' acqua , Egesta, è un mito che segna il confine dell'antico abitato, come del moderno. C'E' una lunga frattura geologica lungo le pendici del monte Barbaro che dispiega la sua forza fino all'ampia valle dove si incontrano il fiume caldo(Khalathamet e le terme segestiane) e il fiume freddo o di San Bartolomeo. Tutti toponimi importanti anche per la loro valenza sacrale:le calde sorgenti solfuree delle divinità ctonie(fiume caldo)e il fiume dell'emporio segestiano(Castellammare)che si identifica nelle acque benedette dal santo, protettore dai terremoti
e dalle presenze malefiche nei campi.
              Il segno lasciato dal mito attraverso la letteratura greca prima, i miti del mondo romano poi,   esaltano il ruolo di Segesta nella politica di amicizia tra la Sicilia e Roma,(I.Chirassi-Colombo: La Sicilia e l'immaginario romano, pag.218):
Oltre la leggenda di Enea, dobbiamo aggiungere in questo "percorso"anche gli altri eroi della leggenda troiana: Elimo ed Egesto, capi locali che si erano recati alla guerra di Troia. La troiana Egesta che il padre Ippote aveva mandato in Sicilia per sottrarla alle ire degli dei; La stessa ninfa che con Crimiso genera l'eroe Egesto:E i fiumi vicino Segesta che si dissero Scamandro e Simoneta come quelli di Troia(Ciaceri, pag.176) .
 La letteratura popolare delle leggende agiografiche, dei tesori ritrovati, delle feste popolari  esalta la natura dei luoghi e dei prodotti agricoli, e tutto questo contribuisce a dare della documentazione archeologica una valenza sacrale, come quella evidenziata da S. Tusa fin dalle tracce del bronzo, e quella evidenziata dell'Albanese-Procelli all'alba della civilizzazione greca o filoegea di quei luoghi.
Una breve traccia semiotica del testo mitologico ci spinge a rilevare le figure essenziali in movimento che rientrano nella grande saga mitico-sacrale all'origine dei ludi scenografici: Enea(soggetto)la città di Segesta(oggetto)Afrodìte(aiutante magico)la stirpe dei troadi(destinatari dei benefici)gli abitanti Elimi(aiutanti l'eroe)Greci e Punici(gli antagonisti).
Queste " figure in movimento" ,ed altre minori, sono protagoniste nelle "prove" che l'eroe dovrà affrontare per giungere al successo: Anchise(è rivelatore di segreti), Didone punica(è colei che attrae nell'inganno), il naufragio(è il danneggiamento subito dall'eroe)e..... infine, "l'approdo sicuro" , il successo e la punizione dell'avversario.
Approccio scolastico si dirà agli effetti letterari, eppure senza i grandi temi del mito è opera  improba interpretare le tracce frammentarie dei rituali preesistenti agli eventi scenografici e teatrali del luogo in esame.                                
Veniano ora  alle due maggiori feste religiose indiziarie, attualmente in uso a Calatafimi, la Madonna del Giubino(agosto) e il Crocifisso(maggio) , ricorrenze che potrebbero richiamare, a loro volta, se opportunamente analizzate,  miti e  riti agrari oggi scomparsi:
 La prima è dedicata a un culto femminile locale, frutto della devozione stratificata nel tempo che pure aggiunge richiami al mondo mediterraneo. Il valore della femminilità rituale è rafforzato dall'accostamento con la figura di santa Caterina d'Alessandria, simbolo della sapienza femminile cristiana,al cui santuario  viene portato il quadro miracoloso la 4a domenica di settembre.  Un tempo  il carro infiorato col quadro della Madonna partecipava alla sacra processione del SS. Crocifisso in maggio. Soprattutto la festa del Crocifisso con la "cavalcata" tradizionale(che si svolge ogni 7 anni)va letta in una visione mistica e patriarcale.
Il santuario del Crocifisso si trova presso una antica cappella dove la leggenda racconta esser nata dalla cura di due vecchierelli devoti e a cui accadde un miracolo.
Nella descrizione  di un secolo fa il Pitrè-che a sua volta cita documenti di un cinquantennio precedente- erano protagonisti dei festeggiamenti patronali i fanciulli, i quali il primo giorno delle cerimonie recavano su vassoi i segni del martirio: i chiodi, la spugna, un calice, una patèna, un velo, la cintura . Seguiva la processione dei vari "ceti"con i prodotti agricoli.
Il secondo giorno i devoti offrivano al Crocifisso grandi torce, ognuna delle quali accompagnata dal suono dei musicisti della banda musicale intervenuta per l'evento.La processione "reale" , la più sontuosa, avveniva nel primo pomeriggio, e durante il suo svolgimento accadeva la curiosa pantomima con "l'armeggio di diavoli e altri spiriti maligni, tra cui la Morte stessa"- che già dalla festa di Prizzi conosciamo come "Ballo dei diavoli".
La cavalcata del terzo giorno si apriva con i grandi ceri di ogni "ceto", cui seguiva un carro ricoperto di alloro , da spighe, trainato da buoi infiorati e infettucciati; da questo carro venivano gettate forme di pane e biscotti per tutti i devoti( Lo stesso che accade ancora oggi per la festa di San Calogero ad Agrigento).
Sono evidenti elementi sincretistici della ritualità cristiana e dionisiaca(l'alloro, i rami portati in processione,il carro infiorato, I tre simulacri di Maria).Al giorno d'oggi le processioni sono meno sontuose che nel passato, anche se rimangono le linee fondamentali della "sacra rappresentazione" che un tempo si svolgeva con la partecipazione di tutta la popolazione devota.
In ogni caso la prevalenza dei culti mariani in questa parte della Sicilia, si lascia interpretare da
Jole Lima come una diffusione di culti femminili con centro di emanazione l'asse Trapani-Erice, per la devozione secolare che quì si svolgeva alla divinità femminile per eccellenza(pag. 334).
Un riscontro si trova nella cultura materiale dell'antichità, frutto dello scavo archeologico , e  ci porta a scoprire elementi frammentari del "corredo rituale-funerario" diffuso nella zona.
Ci riferiamo anzitutto all'ansa di ciotola antropo-zoomorfa , collocabile nell'intera area indigeno-elima(Tusa, pag.199)  o all'ansa plastica che realizza la stereotopia del volto umano.
 Numerosi  i  ritrovamenti di  ceramica dipinta non comuni nell'area Sikana, tipici nell'area segestiana, anche se sono elementi poco riscontrabili nella Grecia continentale del tempo, più diffusi nell' area egeo-anatolica-cipriota(Tusa,201). Tutto ciò contribuisce alla  connotazione di un ethos già diverso da quello più antico ( XII sec. ac.), anche se meno evidente come nei siti vicini di Verderame, Finestrelle(ceramica a zig-zag orizzontale rilevato su campo exciso, come anse a piastra cornuta,ecc..
 Che dire poi della fibula a quattro spirali(VIII sec.) e delle precedenti testimonianze dal IX  sec.che vedono rappresentare lo  sviluppo di un artigianato ceramico evoluto(decorazioni a svastica,tipi di losanghe, con inluenze dalla penisola(Tusa,204). Tutto ciò va ascritto alla fase pienamente èlima, "dei luoghi alti e fortificati", come monte Barbaro, a differenza dei luoghi più bassi della costa  trapanese, caratterizzati da una fase protoelima.
  Per le testimonianze iconico-letterarie su tutte emerge la leggenda trojana, e i pochi grafemi (cfr.Agostiniani)ceramici , che collegano la cultura locale con i dialetti peninsulari.
            
Questi elementi appena accennati,verranno in seguito rafforzati dalla tradizione che lega l'elemento indigeno-elimo-trojano a quello latino-trojano della penisola, e in ogni caso l'ellenizzazione dei luoghi ,derivante dagli approdi marittimi a sud e a nord di Segesta  , tenendo presenti le  fasi anzidette, la prima tra il XII e il IX sec. con il probabile veicolo fenicio-egeo e la seconda, tra il IX e il VII con il probabile veicolo greco-attico.
Quello di Segesta rimane tutt'oggi l'unico esempio di teatro classico in area èlima, nè Erice, nè Entella, nè Halycie  presentano tracce di aree dedicate alle rappresentazioni). Quello di Jato è più ascrivibile all'area interna di confine tra mondo punico ed ellenistico, cosi' come quello di Monte Hippana, di cui ci occuperemo più avanti per le affinità.
Il documento segestiano , (ovvero le fondazioni del teatro greco sommitale),è importantissimo: dimostra  che a partire dalle fondazioni certe del vi sec. ac.(anche se il teatrocome è evidente risalirebbe al III sec. ac) ,viene testimoniata la presenza di un'area sacra (si veda la necropoli e la chiesetta medievale di.san Leone papa(XV sec.).....con i richiami sincretistici al culto di templare di San Giovanni evangelista), area sacrale non più antica del x* sec.ac dove l'accostamento con le modalità della "Rappresentazione "sacre appare come conseguenza naturale  nella ricerca delle proprie radici mitico-cultuali.

  2. Il teatro di Montagna dei Cavalli-Hippana(Prizzi):                              "                                "
  Ricercare evidenze mitologiche in questa parte della Sicilia interna è piuttosto arduo
per la scarsa presenza di tracce arcaiche, tutt'alpiù ellenistiche , romane, o bizantine.
  Le tracce fondative del teatro d'Hippana non precedono il IV sec. Ac e sono da ascrivere all'universo ellenistico che ebbe nell'entroterra momenti di fulgore per la presenza di eserciti stranieri(mercenari)o presenze mercantili nell'area di passaggio tra il nord e il sud della Sicilia(l'asse dei fiumi Torto-Sosio , con baricentro intermedio nella città scomparsa di colle Madore).
                       Dai reperti archeologici emergono non poche testimonianze del culto di Dioniso, divinità agreste del mondo mediterraneo , quasi un paredro riconosciuto dai popoli -allevatori(furono trovate tracce iconografiche  tauromorfe nella chiesa Madre e altrove.)
         Che poi la presenza dei dio-toro si confonda con quella delle divinità ctonie locali, rappresentate oltremodo nelle caratteristiche infere, demoniache, è tutto da verificare con più testimonianze.
Non esistono leggende di eroi fondatori del Centro abitato antico cui è possibile assimilare miti e leggende.
 Risultano, invece, molto diffusi in tutto il territorio,già in epoca cristiana il culto di San Giorgio e della Vergine.
Il luogo di monte dei Cavalli non sembra occupare parte o porzioni di un pellegrinaggio,seppure  esistono edicole votive lungo la strada verso Palazzo , (da dove provenivano i pellegrini verso la Quisquina per la prima domenica di luglio -ved. Jole Lima); Piuttosto in basso,ma verso l'abitato di Prizzi, il luogo di una fiera dell'allevamento nei mesi di aprile, giugno e settembre.. I santuari cristiani più vicini riguardano quello della Madonna della Scala, a 9 km. In direzione di Lercara, Quello della Madonna della Màrgana a 5 km. dall'abitato di Prizzi, attraversato per la processione verso il santuario della Madonna di Piedigrotta a Castronovo.
Nell'abitato è diffuso  il culto molto antico della Madonna del Carmelo officiato da una confraternita femminile, mentre sulla montagna dei Cavalli è attestato un piccolo santuario dedicato a San Lorenzo, da cui il toponimo locale " Montagna di San Lorenzo". Ancora pochi anni fa per il 10 agosto si usava fare la scampagnata al piccolo santuario, memoria di un pellegrinaggio alla divinità , identificata spesso con le sofferenze procurate dal fuoco, e come direbbe il Pitrè,con  una divinità "plutonica".
Prizzi è luogo per eccellenza di sacre rappresentazioni della Settimana Santa.
E' indubbio che le tracce del "culto" taurino, trovano interessanti e superstiziosi contatti con la più nota delle feste prizzesi, il "ballo dei diavoli", la domenica di Pasqua. E quì ritorna il discorso su Dyonisos anche se l'apparizione di demoni e creature malefiche fa parte integrante della tradizione pasquale profana(Adrano, Caltabellotta, Mistretta ,Calatafimi ,ecc.).
    
Sorprendenti le particolarità rituali della Settimana santa ancor oggi in uso:La Veglia notturna in chiesa presso il simulacro dell'Addolorata, con l'esclusiva della presenza di gruppi femminili in preghiera;
Durante la processione le madri recano in braccio i fanciulli portando in mano un ramoscello che servirà a cacciare le malattie dai fanciulli;
Un tempo era abitudine delle pie donne effettuare fino a trentatrè "viaggi" al monte Calvario, e recitare un orazione per ogni scalino che porta alla Croce.Ancora oggi gruppi di donne recitano le "Lamintanze".
 La più importante rappresentazione sacra dell'anno vede le donne prizzesi protagoniste, -e in ciò non sono molto differenti dalle loro lontane antenate che durante le  Tesmophorie demetree e dionisiache offrivano la loro completa devozione alle divinità che esprimevano dolore-(si veda a pag. 4 della mia relazione sulle "Addolorate del venerdì Santo" ).
Dalle campagne di scavo sul monte Hippana è emerso un lungo muro di contenimento identificabile come muro di Analemma di un teatro, ma questo "luogo di rappresentazione" sembra realizzato al di fuori delle mura perimetrali della città antica, indizio di un periodo felice per il centro abitato, lontano da assedi o saccheggi(probabilmente il II-I sec. ac).
Il teatro appare quasi come un piccolo cono vulcanico dal fronte settentrionale dal basso verso l'alto, e sfrutta abbondantemente l'andamento orografico del pendio, con la cavea, del diametro di circa mt.52, rivolta verso nord-ovest.
Una più recente campagna di scavi ha messo in luce gli ordini della cavea e circa il 70% dell'area dell'orchestra.
 L'area della polis e del teatro è tutta disseminata da tombe individuali,talune sontuose che rimangono attestate al IV-V sec. ac. quasi a individuare nella montagna di Hippana(la montagna dei Cavalli)una intera necropoli precedente l'abitato,un grande cimitero che riunisse periodicamente gli indigeni -allevatori dei luoghi circostanti.
 Il teatro d'Hippana rimane come il precedente segestiano degli Elimi, unica traccia di   luogo di rappresentazione in un area -questa volta-a prevalente presenza indigena "sicana".
  Dalle tracce rilevate nel centro di Colle Madore, insistente nell'area orografica  di Hippana, ricorre la presenza di un vaso a Kernoj, a forma aperta, tipico  per le offerte;
  L'archeologo Vassallo ha documentato la presenza nell'area sacra  di lamine con dediche di guerrieri e volti umani(R.M. Albanese-Procelli,48).
Così come il motivo degli occhinella sfera magico-religiosa. Tutti comuni all'area centro-occidentale.(Così i modelli fittili di capanne rituali(pag.60)o antefisse a protome femminile presso sorgenti.)
  La traccia semiotica del "racconto mitologico" più diffuso nella zona,  si unisce in questo caso ai tratti iconografici(monete,ceramiche, reperti funerari, placchette in oro, iscrizioni) , potrebbe essere la seguente:
Dyoniso(soggetto,eroe fondatore)Hyppanesi /devoti di Dyoniso(oggetto);Afrodìte(donatore magico); i Sicani indigeni(destinatari dei benefici degli dei); I soldati(aiutanti); I Greci o loro alleati(gli antagonisti).
 Le "prove" cui sono indotti i devoti di Dyoniso, gli Hyppanesi, comprendono nel breve racconto: 1)La difesa della inaccessibilità dei luoghi; 2)Il tradimento di un gruppo di abitanti che svela la via d'accesso ai luoghi;3)La conquista temporanea del recinto sacro da parte dei nemici;4)La riconquista della città e la punizione dei colpevoli del tradimento.
 Anche la traccia semiotica, tratta dai racconti storici posteriori, carica di significato la posizione assolutamente strategica del luogo scelto per la "rappresentazione"teatrale. Ma su Hippana e il suo teatro restano numerose incognite a differenza dei luoghi similari di Jato, Solùnto e Segesta.
          
3-Il teatro di Solùnto(Bagheria-Santa Flavia):
c.
I mitici fondatori di Solùnto sarebbero i semiti di Cartagine, e l'Ercole del mito, sarebbe il ras-Melkart che si scontra col brigante indigeno Solus, come in altre vicende analoghe che riguardano tuttavia la Sicilia orientale degli " eroi sicani"- secondo una felice espressione di Emanuele Ciaceri.
Il mito che ricorre alle origini della fondazione sul monte Catalfamo è quello di Ercole contro il brigante indigeno "Solejs", al pari del mito che ricorre ad Erice.
Anche in questo caso è l'elemento colonizzatore che vuole imporsi su quello indigeno, come nel caso dei Fenici in questa parte della Sicilia(Movers), e dei Greci nella parte orientale(dove nasce il mito della gigantomachia)
A Solunto si vedano soprattutto le monete che testimoniano il culto di Ras-Melqart(Poole,Holm,Hill-Ciaceri, pag.59)ma anche di Aristajo, portatore dei doni dell'agricoltura.
Altro elemento mitologico mette in relazione l'antico santuario lungo la valle dell'Eleuterio, il monte Cannita, con la fondazione successiva di Solànto, prima sulla costa, poi sul monte: il rito della " prostituzione sacra" di area cipriota, si sposta verso la Sicilia attraverso il mito di Astarte, la Venere fenicia che funge da collegamento tra i vari culti mediterranei della Grande Madre( i sepolcri si trovano oggi al Museo Salinas di Palermo).
Culti agresti-marinari(Bagheria, Santa Flavia, Porticello) sono il probabile prolungamento della devozione astartea-venerina, testimoniata dai rituali del Capodanno del mare a capo Zafferano- come ha giustamente sottolineato Folco Quilici, riprendendo l'itinerario devozionale delle barche verso il piccolo santuario della Madonna del Lume, la prima e la seconda domenica di ottobre.
La devozione all'icona col bacio dei fedeli, come il ballonzolamento della stessa(annacata), la N'tinna a mare , sono tutti aspetti comuni alle altre feste mariane, anche se oggi divenute molto rare.
tuttavia il rito del pellegrinaggio per via di mare è limitato a soli pochi casi(Vergine Maria a Palermo,.San Pancrazio a Giardini,San Giuseppe a Levanzo,ecc.......).
La festa della patrona Santa Flavia alla basilica soluntina ha pochi aspetti di contatto con culti precedenti, almeno da quello finora ritrovato. Diverso il discorso per le edicolette votive presenti quasi ovunque alla base del monte Catalfamo e nel territorio di santa Flavia.
La festa dell'Addolorata nella frazione di sant'Elia unisce aspetti di culti latini e bizantini.
A Bagheria si festeggia San Giuseppe, divinità teopompo , con scarsi collegamenti nella ritualità a quanto emerso da Monte Catalfamo se si eccettua le edicolette religiose poste a segnare il territorio "sacro" bagherese.
 Ma veniamo alle tracce archeologiche:Il piccolo teatro di Solùnto di epoca tardo ellenistica ha origini antiche nell'area sacrale che esso occupava precedentemente. Lo scenario paesaggistico completa le motivazioni alla scenografia sacra: Esso risale al più profondo intervento del II sec. ac. nella struttura della città ancora risalente al III-IV sec. AC nella parte pubblica che riguarda l'Agorà-
"Sacrificando considerevoli parti di isolati abitativi-scrive Armin Wiegand nella ricerca condotta con C. Greco, D.Mertens, V. Tardo, A. Termini, M.Wolf-" si creò una lunga terrazza sopraelevata rispetto al piano dell'Agorà, per costruirvi due importanti monumenti pubblici, quali il Bouleuterion e il teatro".
E più avanti scrive:"Le più strette analogie col teatro di Solùnto si evidenziano nei teatri degli altri importanti centri della Sicilia settentrionale, come Jetas, Segesta e Tindari, soprattutto per quanto riguarda la concezione dell'edificio scenico, la Skene. Il modello sarà sviluppato a Siracusa, ma le stratificazioni del più volte riistrutturato teatro siracusano non permettono un sicuro confronto(pag.21-Solunto-Antiquarium).
 Secondo l'interpretazione dell'Albanesi-Procelli, l'area arcaica di Solùnto appare più come villaggio artigiano(Kfr) che  polis a futuro impianto greco-ellenistico.
 Lo scavo ha rilevato la presenza di fornaci e botteghe della ceramica proprio vicino alle abitazioni(pag.187)e le stesse necropoli presentano corredi attribuibili a famiglie artigiane. Lo stesso teatro appare più inserito in area sacra che in area abitativa, in una visione di culti familiari sovrapposti.            
Si pensi ad esempio al ruolo esercitato dalla famiglia degli Ornichas che emerge dalle iscrizioni soluntine della fine del II sec. ac. O a quello svolto dai "Poplios" (e dai vari "Anfipoli"di sacerdoti del culto).
 La pianta ippodamea inserisce il teatro in una posizione coerente con le preesistenti aree sacre,e in particolare con l'identificata "Area con altare a tre betìli" e "L'edificio sacro a due navate".Questi luoghi sono assolutamente distinti dalle testimonianze ellenistiche. A nord ,segue un ambiente con un sedile a forma di Pgreco, a due livelli, che veniva utilizzato durante le cerimonie di culto.Nella nicchia meridionale di una costruzione a due navate, è stata rinvenuta la grande statua di Zeus-Baal
Hammon. Più a nord, in rapporto con l'asse del teatro, è stato ritrovato un edificio con vari frammenti relativi a una grande statua di Afrodite/Astarte.
Tutti questi elementi riconducono- come sostengono gli studi- al villaggio fenicio-punico delle origini, con tracce tuttavia collegabili alle popolazioni indigene dell'entroterra(M.te Porcara, P.Cannita, la montagnola di Marineo, monte Falcone di Baucina, Cozzo Sannita, Cozzo tondo e Santa Zita, tutti nell'area del fiume Eleuterio)
 A questo punto della nostra ricognizione,vogliamo leggere  Il "testo mitologico", fondativo della nascita del centro abitato:
Ercole o ras-Melqart(soggetto o eroe fondatore); I soluntini(oggetto); Astarte o Afrodìte(donatrice magica); I punici(destinatari dei benefici divini) : Gli eraclidi, compagni dell'eroe(aiutanti). I Greci d'occidente ,i  pirati o i banditi locali(gli antagonisti).
 Nel racconto emerge una trama fitta di ostacoli da affrontare per il raggiungimento della vittoria finale:1)L'incursione dei nemici nei territori circostanti; 2)Il rafforzamento del recinto dell'acropoli;3) Il patto familiare segreto di un gruppo di soluntini con gli assalitori;4)L'assedio della città;5)L'aiuto determinante di Ercole nella sconfitta dei banditi e la punizione  di questi ultimi.
C'è qualcosa in questa leggenda delle origini che in qualche modo capovolge la "beffa" compiuta dai greci di Himera nei confronti dei cavalieri soluntini accorsi in aiuto dei cartaginesi nel 480 AC,
ma questa è un'altra storia....
                               "
  .4-Il teatro di Jato antica(San Giuseppe Jato/San Cipirrello): "                "                      "
 Dei teatri finora noti nella Sicilia occidentale e nella fascia tirrenica, quello di monte Jato databile nella sua prima fase, alla fine IV-inizio III ac.,risulta il più antico.
 I teatri di Tindari e Segesta, pressocchè contemporanei a quello di Solunto, si inquadrano, come già detto nel II sec. AC.
 D'altra parte nell'area centroccidentale della Sicilia,  le politiche delle Poleys coloniali incidono profondamente sulla costruzione di nuove aree sacre in ambiente indigeno nel corso del VI sec. AC, con conseguenze notevoli sull'edificazione più tarda delle aree di "rappresentazione"(I teatri).
 Quello di monte Jato risale agli aultimi anni del IV sec. AC e gli scavi più recenti hanno avuto lo scopo di chiarire il tracciato del perimetro orientale della cavea e della struttura dell'Analemma est.
 A quest'ultima venne ad aggiungersi  un muro minore(forse una rampa di scale) che la prolunga ad est. La tecnica di costruzione complessiva del teatro è oltremodo curata , e ciò viene avvalorato dalla presenza del costruttore, Antallos, presenza unica e prestigiosa allo stesso tempo, che risulterebbe da un frammento dell iscrizione di dedica ritrovato(IV sec. AC).
 La cavea misura mt.68 e poggia parzialmente sul pendio naturale. Poteva contenere fino a 4400 spettatori, capienza di poco superiore al teatro postumo di Segesta, e a quelli di Solunto e Heraclea, ma inferiore a quello di Tyndaris. Ci sono trentacinque gradinate divise da otto scalette in sette settori(cunei).
 All'Orchestra si accedeva da due corridoi(parodoi) attraverso una porta  monumentale. L'edifiico scenico, a sua volta, risulta più volte rimaneggiato, per adattarvi scene diverse .Esistevano nel decoro quattro cariatidi(due satiri e due menadi),e altri personaggi del corteo di Dioniso adornavano la scena. Conserva nel complesso le strutture originarie.
 Il tetto dell'edificio scenico doveva essere decorato con antefisse in terracotta a forma di maschera di teatro(Alcune di queste maschere sono conservate nell'atiquarium di San Cipirrello).
 Il teatro e l'Agorà, a un certo punto della storia antica di Jetae, furono ricostruiti insieme,ma più sorprendenti appaiono le tracce di continuità tra l'area orioginaria di fondazione del teatro e i resti del tempio di Afrodìte(VI sec. AC):"A Monte Jato-Scrive A.-Procelli a pag. 216- un oikos di tipo greco ,coperto da tegole recanti la scritta "Ierai", viene edificato intorno alla metà del VI sec. Ac e sembra lasciare intendere che sia stato costruito sulla base di un progetto greco, ma restano grandi dubbi sull'identità dei committenti e degli officianti il culto".   
 Va detto che la cima di monte Jato risulta abitata fin dagli inizi del primo millennio, come sembrerebbero dimostrare i frammenti di ceramica indigena, realizzata senza l'uso del tornio, con la caratteristica decorazione a "piume".(Periodo di Cassibile).
Lo stesso Bernabò Brea ha trovato tracce di fibule con "arco ad occhio" e a gomito, in questa area che condivide la cultura materiale con Erice, Mozia,Paceco.
 L'elemento più caratteristico di questa ceramica dipinta  con motivi geometrici rimane tuttavia costituito dalle anse a forma di muso stilizzato, non riscontrabili nell'area sicano-agrigentina.
Questi particolari inducono ancora una volta a riflettere sul predominio della cultura elimo-segestiana in questa area rispetto alla apparentemente " predominante" greco-imerense-tirrenica. Le forme sacrali ctonie sembrano ricollegarsi al culto femminile della mater Astarte.
 Il culto di Afrodìte documentato comunque , per la presenza di un tempio a lei dedicato, può essere coerente con la presenza élima nel territorio. Ma non escluderei la devozione ai culti di Esculapio e ai Dioscuri vista la postuma presenza nei dintorni del santuario cristiano dedicato ai ss. Cosma e Damiano. Il Culto dell'Ostensorio, il Corpus Domini, a giugno, andrebbe più studiato per i riflessi simbolici nelle aree di San Cosmano e san Giuseppe di li Mortelli.
 La diffusa presenza di toponimi sacri mariani(le feste patronali dei due centri, le feste rionali)inducono tuttavia a credere che la celebrazione di riti in onore a divinità femminili protettrici dell'abbondanza e della fertilità, abbiano lasciato tracce anche in epoca medievale e moderna.(Mad. Provvidenza, Madonna dei Dammusi, patrona di San Cipirrello,processione notturna dell'Immacolata ecc.).
Tra i pellegrinaggi del territorio quello alla Madonna di Romitello(Borgetto), e alla Madonna del Ponte(Balestrate).
 Il mito tuttavia che ricorre nelle tracce classiche, è quello di Partenia ,di cui indizi di culto più evidenti nella vicina Parthenicum d'epoca romana e soprattutto presso l'Hyccara del mito ateniese(Carini)
L'influenza greca determinata dall'alleanza tra Atene e la colonia Segesta, si allarga fino a questa zona, dove il culto della dea parthenia, Giunone, diviene tutt'uno col culto delle vergini, future spose. Ma quì torniamo ai legami tra divinità femminili e tracce folkloriche del territorio.
 Ora proviamo a leggere il mito da un punto di vista semiotico:
Partenia(soggetto, eroe fondatore); Gli Jetini(l'oggetto dei benefici);Afrodite(donatore magico): Gli élimi-filoateniesi(aiutanti) Gli imeresi e i  punici(gli antagonisti).
Come per Monte Hippana la prova più impegnativa per i locali è la difesa della inaccessibilità dei luoghi. Poi accade l'occupazione fraudolenta della rocca difesa strenuamente, e infine la riconquista del luogo con la punizione esemplare dei traditori.
: Su Jato antica come prima per Prizzi esistono poche tracce di rilievo sia sull'area sacra sommitale scavata da Isler che sul culto prevalente, anche se l'unicità della presenza del teatro in questa parte interna della Sicilia, spinge a ritenere che appartenga a un'area di confine tra il mondo Punico e il mondo Elimo, quest'ultimo caratterizzato da un'alternanza di alleanze con gli eserciti punici, vista la vicinanza con l'emporio segestiano e le influenze ellenistiche.  

 5-il teatro di Tyndaris(Patti): "               "                    "                         
 I miti fondatori del centro urbano antico  si ricollegano al mondo siracusano-corinzio, ma emerge su tutti la figura di Achadyrmos/Agatyrnos , figlio di Eolo, ricorrente in questa parte del tirreno meridionale .
 Collocato in area a prevalenza ausona-tirrenica, ma a forte colonizzazione greca dopo l'VIII sec.il teatro di Tyndaris presenta tutte le caratteristiche di una preesistenza del culto dei Dioscuri Tindaridi, come del culto lustrale-matriarcale delle acque, considerata la mancanza di sorgenti nella collina.          
 Il mito che ricorre è quello degli Eolidi che colonizzarono da Alesa e Calacte, anche se un'altra versione parla dei sicoli duceziei.
 Le tracce materiali precedenti il VI sec. Ac  rivelano piccole "oinochoai" a fibule a quattro spirali analoghe a quelle di Rodì e Pozzo di Gotto, diverse dal milazzese,così come di ceramica dipinta di stile geometrico più simile a quella ritrovata  nelle necropoli calabresi(Sec. X Ac).
 Più documentata la ricerca dei tipo monetari-iconografici: il Poole segnala il culto dei Tindaridi a cavallo e a piedi.Figura anche la divinità femminile, Elena, sorella di Castore e Polluce;
non dimentichiamo che alla fondazione della città parteciparono nel 396 i peloponnesi della messenia,dove i tindaridi erano eroi nazionali(Ciaceri,167).
 A monte della cavea, come nel caso dei teatri di Eraclea, Taormina e Siracusa vi era un santuario dedicato a una divinità tutelare locale,  del VI sec. l' Afrodìte del mare, anch'essa una dea Mater piuttosto celebrata dalle popolazioni locali.
 Del teatro abbiamo già detto che può essere assimilato costruttivamente a quelli della Sicilia occidentale e tirrenica, soprattutto con quello di Solunto(III-IIsec.ac), anche se la preesistenza di un area sacra all'edificazione del teatro(culti ctonii e matriarcali) lascia molti interrogativi sull'arcaicità del luogo della rappresentazione.
Il teatro, prototipo del tipo "a ferro di cavallo", venne costruito  in forme greche alla fine del IV sec. AC e in seguito rimaneggiato pesantemente in epoca romana. Dalla naturale conformazione del terreno venne tirata fuori la Cavea con le gradinate(0,40 di altezza, 0,70 di profondità) con undici Cunei,di cui i due esterni più stretti.da dieci scale di servizio. Poteva contenere fino a 3000 spettatori ma in epoca romana l'ampliamento portò fino a 4500 persone. Della Scena(III sec. AC) rimangono oggi solo poche fondazioni.I muri di Analemma frontali alla scena furono in parte costruiti obliqui per consentire l'accesso al teatro attraverso due passaggi larghi(Parodoi).
 L'interpretazione semiotica del racconto mitologico delle origini attribuirebbe il ruolo di eroe-fondatore alla stirpe dei siracusani divinizzati. Tindari è l'oggetto dei benefici e i tindaridi sono gli aiutanti magici:Cartaginesi e indigeni sono in questo caso gli antagonisti.
 Le prove eroiche che i difensori devono affrontare sono legate alle opere di "trinceramento" del centro abitato, al disvelamento di segnalazioni ingannevoli dai fuochi della costa, alla fuga degli antagonisti verso il mare(le Eolie)e l'entroterra.
 Non va dimenticato che sull'area insistono ancora oggi culti cristiani molto antichi, come quello della Madonna Nera, il cui simulacro proverrebbe dal vicino oriente al tempo delle lotte iconoclaste.
 Il santuario fu rinnovato nel XVI sec. e i  pellegrini tutt'oggi  arrivano dalla Calabria, Il culto cristiano, avviato dai benedettini, sembra aver preso il posto di un tempio pagano dedicato a Cerere e a Dèmetra(edificazione di un cenobio basiliano sul tempio di Cerere)  , ma coesistono anche culti superstiziosi come quello di "Donna Villa" , la maga dei naviganti, che ha similitudini con il culto dell'Artemide Facelite, l'Artemide dei fuochi dei naviganti, diffuso in tutta la zona in epoca romana.
Piuttosto documenate appaiono le fonti orali e quelle offerte dalla tradizione popolare:Il santuario di Tindari, nella diocesi di Patti, porta ogni anno migliaia di fedeli da tutta la Sicilia e oltre: vengono allestite grandi tavole per i pellegrini e durante i quattro giorni della festa, ai primi di settembre,è un via vai di offerte floreali e in denaro alla Vergine.      
Al culto di una Vergine è legata la festa patronale di Patti. Santa Febronia di Minòri il 5 luglio divide il suo patronato tra Patti e Palagonia, ma con le stesse caratteristiche di nume tutelare delle malattie collegate all'apparato renale.
In effetti sebbene la vicenda del martirio in epoca romana non si discosti da altri consimili, le pratiche votive alla santa da parte dei fedeli lasciano trasparire pratiche magico-religiose assai singolari: dopo una lunga processione tra sentieri collinari, talvolta disseminati da burroni e grotte, il simulacro, ricolmo di ex voto, dopo la processione giunge al santuario, all'Acquasanta, dove è una fonte di acqua dalle qualità terapeutiche, e una lapide che ricorda il martirio e il fortunoso ritrovamento delle reliquie. Quì come a Palagonia-ricorda il Pitrè nelle feste patronali, pag.248,- i fedeli "iniziano a fregarsi le spalle" o parti del corpo malate, pronunciando la frase:"Santa Febronia, 'nvurzatimi(rinforzatemi)li rini", poi  sputano entro dei fori posti alla base della lapide, dicendo:"Vatinni a lu 'fernu, brutta bestia!"(alludendo ai dèmoni che procurano i malanni). Infine baciano il CROCIFISSO. E' evidente-come dice lo stesso Pitrè che sia una pratica pagana camuffata. In effetti è lo "sputo"-ovvero l'acqua sorseggiata alla fonte- ad avere effetti salvifici, come già dimostrato dai rituali consimili di Galatina e delle Puglie per i tarantolati. Ma per nascondere questa pratica si trasforma lo "Sputo" e l'acqua sorseggiata in segno di disprezzo verso i diavoli.Così i fedeli sono costretti a invocare i santi nell'atto di dispregio dei diavoli.
Tindari è per i pattesi quello che è la grotta di Santa Febronia per i palagonesi: entrambi i luoghi erano dominati dai diavoli(gli dei pagani), e in entrambi i luoghi le preghiere dei fedeli sono indirizzate a fugare la loro presenza.....in nome di una divinità femminile.
Sulle origini del teatro-santuario di Tindari si vedano gli atti(1996) dell'incontro di studi su "Magna grecia e Sicilia", Messina.

  6- Il teatro di Tauromenion(Taormina): "      
  Quale mito unisce indigeni e coloni? Certamente quello degli Ecisti, re fondatori di città, ma in più quello di Apollo e dei sacerdoti Galeoti che diffondono il suo culto in tutta l'isola.
Che dalla fondazione siracusana discendano i miti che caratterizzano la storia più antica di Tauromenio, è fatto scontato; lo è un pò meno il nome del vero fondatore, il padre dello storico Timeo, anch'egli siracusano della stirpe di Dionigi.      "              "                   "
La scelta del luogo e della scena teatrale è certamente derivante dalla particolarità di Naxos prima colonia greco-calcidese in Sicilia. Ci riferiamo ovviamente ai culti più diffusi, in particolare a quello di Apollo(cit. Poole, Kaibel,ecc.) , del toro-minotauro e di Afrodite, e di Eolo.
Sappiamo che Apollo arcagete era il protettore dei nuovi insediamenti coloniali, come nel caso di Naxos, e che si onorava quì ancora ai tempi di Tucidide.Il culto era stato importato dalla Calcide ma anche a Tauromenio risulta questo culto(Poole)dove è effigiata la sua testa.
Il teatro di cui stiamo trattando le origini remote, si presenta oggi nella forma di semi-anfiteatro-così come lo descrive Frank Sear(pag.38-I teatri antichi nell'area del Mediterr.). In effetti delle fondazioni ellenistico-siracusane(IV-III sec. ac)ben poco rimane, se si eccettua la divisione della cavea in nove cunei, estensione molto più ridotta alle origini di quanto si veda oggi, la skene,e una serie di sedili che presentano iscrizioni il cui stile paleografico può essere ricondotto al III sec.AC.
Per il resto trattiamo di un luogo di rappresentazioni e arena di  giochi, costruito come teatro greco ma ricostruito interamente come teatro romano(II sec. AC)e riadattato definitivamente nel III sec. DC ad anfiteatro per spettacoli di gladiatori. Da questo riadattamento in poi non fu più possibile accedere dall'orchestra ai posti a sedere, perchè i sedili più bassi della cavea furono rimossi per creare un' arena(Sear).
Va aggiunto che dagli scavi di Libertini(1933) è emerso che sotto l'ambulacro della cavea esisteva un tempio ellenistico probabilmente dedicato ad Apollo.
Il culto cristiano di san Pancrazio calza perfettamente con quello di Apollo, entrambi sono i precursori di una religione, ed entrambi "approdatori" a Naxos, dove distruggono le vestigia dei santuari religiosi precedenti il loro culto.
           
Come gli antichi sacerdoti del tempio di Apollo, i Galeotay-che quì avevano i loro cenobi e da dove si dipartivano per la predicazione all'interno dell'isola- similmente san Pancrazio aveva i diffusori del suo culto tra i basiliani che fino al IX sec.,  data dell'arrivo dei Mussulmani, lo tenevano nella massima considerazione(patronati a S. Piero Patti, Valdina e Canicattì). 
Il Santo ha la sua chiesa a Taormina dove è il patrono, e dove era l'antico tempio di Apollo. A Naxos è patrono del mare(processione con le barche come a Porticello).
I taorminesi celebrano pure il culto della Madonna della Rocca , sul Monte Tauro,il 15 agosto per l'Assunta e il 20 settembre , in coicidenza con la IIIa Dom. di settembre, ma i devoti si recano in massa a Giardini l'8 settembre per la festa di Maria SS. della Raccomadata, che è una versione locale del culto messinese della Madonna della Lettera(di ascendenza bizantina).
La località di "Cocolonazzo" nel fianco della salita alla città, rapresenta la continuità tra l'età del bronzo(indigena) e la successiva dei coloni.
Reperti di anse cilindriche di tipo appenninico sono stati quì ritrovati come del resto altri reperti dell'Ausonioi I di Lipari(B. Brea,170).Altri reperti possono ricondursi al "ripostiglio"di Malvagna(Me) come asce piatte, e ad occhio.Un kotyle d'epoca più tarda colonica(133).
Ceramica indigena rinvenuta anche nell'abitato di Taormina, a P. Vitt. Emanuele,(Ved.Albanese-Procelli,140).
 Il teatro di Taormina alle sue origini, come quello di Tyndari, Eraclea, Akrai, Syracusae, raccoglie nelle sue vestigia più a monte elementi di edifici di culto dedicati a divinità matriarcali quali Iside e Serapide diverse comunque dalla rappresentazione iconografica tradizionale , il che potrebbe avvicinarle come nel caso di Akrai a divinità matriarcali ctonie(pag. 25, Agosta-Alfano) .
 
7- Il teatro di Syracusae(Siracusa): "                      "                "               "
 Più studiosi hanno sottolineato che l'area del teatro greco di Siracusa insistesse su un terreno sacro al dio Apollo temenìte.
Questa divinità appare spesso nei miti del popolo fondatore(i corinzi -peloponnesiaci), ma è sicuramente Artemide-Atena che quì a Siracusa ha più largo seguito di leggende, e non solo per via del grande tempio a Ortigia o dei riti del mare a lei dedicati,  soprattutto, per una serie di eventi legati ai rituali officiati  a piccole divinità locali(Aretusa, Ciane, Alfeo,Crisippo,i titani, le ninfe,la Tyche-sors fortuna, la Nike, la Nemesis-Automatia, Agathodaimon) che ruotano tutte attorno la presenza della grande dea peloponnesiaca, a sua volta collegata al culto di Poseidon(Polemone)Ciaceri,92,139
Dunque pur analizzando questi racconti si evince la presenza di Atena, una grande madre mediterranea(Bernàl)che viene "assimilata" nelle tante plus-valenze dalla popolazioni indigene.
 Sono costrette a rifugiarsi nell'entroterra queste bellicose popolazioni sicule, che tuttavia hanno un pantheon di divinità femminili di tutto rispetto.( Si veda una esemplificazione di questo concetto nella storia del  tesoro di Cammarana)
Come nel caso del teatro di Taormina, quello di Siracusa si presenta come uno dei più grandi teatri della Sicilia che poteva contenere fino a 15 mila persone. Del teatro originario del tempo di Dionigi rimane ovviamente la conca naturale sul monte Temenìte con la cavea rivolta a sud verso il mare dove si svolgevano le antiche  feste marinare di devozione ad Athena-che tuttavia le quinte d'alberi hanno provveduto a nascondere al tempo d'oggi.
Le fonti antiche riportano notizie di un teatro a Siracusa già nel V sec.AC- quello che interessa per la nostra ricerca- e quì avevano luogo oltre le rappresentazioni teatrali,anche le assemblee popolari.
Il costruttore viene identificato nell'architetto Damokopos,chiamato "Myrilla" per l'uso di gettare unguenti detti "myroi" per l'inaugurazione degli edifici da lui progettati, ma è innegabile che questo fosse un uso ereditato dalle numerose confraternite pitagoriche che in taluni casi fungevano da "scuola" per i novelli architetti o fondatori di edifici.
E' stato posto il dubbio se il teatro greco originario fosse nello stesso luogo dell'attuale: non aveva forma di semicerchio ed era costituito da sole tre gradinate disposte a trapezio. Se così fosse la nostra ricerca sulle preesistenze sacrali indigene sul monte Temenìte non troverebbero alcuna giustificazione; in ogni caso ci limiteremo a delle osservazioni di carattere generale su quanto la cultura materiale e lo studio dei miti può condurre alle preesistenze.
In questo antico teatro, che per taluni- tra cui il mimografo Sofrone- potrebbe risalire al VI sec. AC, hanno esercitato la loro arte rappresentativa Epicarmo, Eschilo, insieme a Formide e Deinoloco, e alla fine del V sec. Sarebbero state rappresentate le opre di Dionisio I e del tragediografo Antifonte.
Cosa rimane dunque dell'antico teatro che già nel III°secolo fu modificato da Ierone II, per poi esser trasformato in epoca romana(II-I sec. AC)e definitivamente in epoca tardo imperiale con l'Orchestra totalmente modificata per adattarla agli spettacoli acquatici(Kolymbetra)e ai giochi dei gladiatori ?.
Soltanto dall'epoca di Ierone II in poi abbiamo la conferma che il teatro fosse nella configurazione attuale, e tra gli indizi di arcaicismo scenico vanno aggiunti certamente settori della cavea inferiore
ricavata nella bianca roccia, con il cavo di fondazione del muro di analemma; All'epoca di Ierone II oltre la presenza di edifici templari nella parte  della grande terrazza sovrastante  il teatro-scoperti recentemente dagli scavi di G. Voza- vi era l'area dell'Orchestra a forma di ferro di cavallo delimitata da un canale di scolo(euripos). Questi elementi peraltro confermati dai resti sparsi nella grotta naturale chiamata "orecchio di Dyoniso", rafforzano la convizione che alla "scena" del teatro fossero associati in origine elementi del rituale orfico delle apparizioni dall'oltretomba.
 Della diffusione dei culti femminili ne troviamo tracce anche nella cultura tradizionale: Il santuario della Natività di M.V.., la Madonna delle. Lacrime, Nostra Signora dei miracoli, il Santuario di Santa Lucia,e le numerose cappelle e i santuari mariani verso sud Avola-Noto, e verso ovest Palazzolo.
La festa patronale , ma invernale, del 13 dicembre, non genera nei fedeli le manifestazioni devozionali come quella dei "pajoli" di Barrafranca, Valguarnera o Realmonte, o quelle dei digiuni di altre comunità. La santa della " vista" e dell'aurora è ogni anno occasione di incontro con altre comunità di devoti, che in taluni casi vengono perfino dalla Svezia.recando offerte devozionali.
Sono numerose le tradizioni popolari legate al culto, come la "tridicina" che i contadini da tempo immemorabile utilizzano come meteorologia agraria, e così le leggende, tra cui quella di "Cammarana" incentrata sul culto delle acque dolci di un fiume, di una statua miracolosa e di una
campana altrettanto foriera di presagi.
Più caratteristici alcuni aspetti della festa, come la "vestizione" del simulacro presso la piccola nicchia del santuario, nella stessa piazza della chiesa Madre che fu prima il tempio di Athena.
I fedeli formano la "Catina" un simbolico abbraccio con cui i devoti legati mani e piedi si stringono avanti alla banda musicale, seguiti da insoliti schiamazzi e grida di altri fedeli che lasciano intendere più il residuo di un Baccanale, non estraneo alle festività minervine, che a una solennità religiosa cristiana(Pitrè, pag.275).
Un tempo era significativo per la ricorrenza primaverile della santa(a maggio)che al Borgo Santa Lucia si liberassero volatili di tutte le specie a significare l'abbondanza della selvaggina profusa dalla santa nei giorni di carestia.
 Anche  nella cultura materiale si  riflette la diffusione dei culti feminili:
:I pendagli-amuleto di fattura indigena, come quello ritrovato al
Plemmyron (bronzo medio)di importazione egea(A_Procelli,53,Ethnè).
Il porto della città indigena esisteva fin dal tardo bronzo.Un villaggio indigeno esisteva sicuramente in ortigia:tomba in viale Orsi con 5 inumazioni, con vasi a decorazione piumata e geometrica, fibule con arco serpeggiante a gomito e a occhio(bronzo finale),prima della cacciata degli indigeni da parte dei corinzi.
Sono state pure ritrovate Tombe a grotticella in ctr Fusco(quartiere Tarantello e staz. FS)A-Procelli,63.Una Tomba a grotticella è stata pure ritrovata  a sud ara ieroneII, così come vasellame facies Thapsos,e il sigillo cilindrico ritrovato che permette di capire il luogo d'origine del proprietario del sepolcro(ORIENTALE).
Una Grande Anfora metallica di tipo cicladico del bronzo medio è stata rinvenuta dall'orsi al Fusco:
.Fibule,pendagli e accettine con valore apotropaico,spilloni. Un Cratere di tipo argivo della tomba 500 al Fusco.(allevatori di cavalli-aristocratici).Siculi=kylliroi?
Anche in Siracusa come in numerosi centri indigeni,c'è la presenza di botteghe per la produzione di "bacini bronzei a braccio perlato"A-Procelli,209

8- Il teatro di Heloro(Noto)
Fondazione corinzia .Gli archeologi hanno più volte insistito sulla presenza di un santuario di Dèmetra nei dintorni dell'attuale cavea , il che dàrebbe un senso all'intera struttura teatrale.E' ovvio che parlando di una colonia di Siracusa, risalente al VII sec. Ac poche tracce sono state scoperte  di un villaggio siculo preesistente,ma il territorio offre tantissimi spunti di presenza indigena a partire dalle considerazioni di S. Tusa  sull'insediamento vicino della Calcarella X sec. AcIl fiume Eloro, come l'Anapo e le altre decine di fiumi sicliani era visto dai greci come figura maschile(Ciaceri,143), mentre il panorama indigeno individuava nelle protettrici delle sorgenti(le ninfe) queste divinità fertili. Solo col concetto di dea mater queste due concezioni trovano unificazione.

L'Heloro-Tellaro aveva onori divini, prendendo nome dal re-eroe  che aveva civilizzato quei luoghi.
 E i culti delle divinità delle acque erano indigeni e rispondevano alle condizioni climatiche dell'isola, calde o fredde fossero queste acque,salate o dolci, viscose o fluide, sifoniche o piovose.
 Empedocle dà un saggio dell'idea di liquidità sacra nella sua fondamentale teoria coeva alla fondazione di Heloro.La presenza di queste necropoli nel territorio di Noto e l'insistenza di figure sincretistiche , come quella di san Corrado, assimilato  a Ercole,dio della forza per la sua capacità di aprire a spallate la grotta del suo eremitaggio,o al protettore di acque salutari per il corpo come Hermes o Apollo lasciano uno spazio interpretativo da condividere con i miti e i riti di ascendenza pregreca . Non va dimenticato,in questo senso,  che per la singolare festa invernale di San Corrado, c'è l'usanza di esporre su un albero gli indumenti usati per i neonati nei primi giorni di vita. La festa, d'altra parte come la descrive più di un secolo fa il Pitrè lasciava molto spazio ai riti propiziatori per la salute dei bimbi.  Al santuario di San Corrado confluivano devoti da tutta la Sicilia che avevano i loro bimbi con ernie da curare.
 Il prodigio avveniva tuttavia nella piazza della chiesa del Crocifisso, laddove i bimbi infermi venivano innalzati verso il simulacro del santo eremita e liberati dai fastidiosi"rigonfiamenti"(pag.303).Ancora oggi in processione , a Noto come Avola, vengono poretati i "Cilii" dei grandi ceri infiorati dai devoti, che come in altre feste siciliane rappresentano il tributo di virilità dei giovani verso le loro famiglie devote al santo.
Un altro aspetto singolare della devozione, è la curiosa processione della Vara del santo attraverso le chiese della cittadina: i devoti traggono auspici dalla lucidatura dell'argento della Vara.
Ad Avola, si festeggia pure San Corrado, ma la processione della "Vara" assume aspetti diversi da Noto per alcune vicende storiche. In effetti un gruppo di giovani devoti al santo mima, poco prima dell'inizio della processione, uno scontro in armi per simulare una vera battaglia avvenuta contro i pirati che volevano sottrarre l'urna argentea. Più avanti, ricordando le rivalità con la vicina Noto,
 i portatori sono costretti a fermarsi davanti a ogni chiesa dove i fedeli del luogo si accalcano e si spingono fino a nenare le mani nel tentativo di toccare la bara "miracolosa" del santo.
Ognuno vorrebbe trattenere per sè quel simulacro, considerato che il santuario si trova in territorio di Noto, ma i tempi della festa richiedono passaggi alquanto rapidi che generano calche e tensioni tra i devoti avolesi.
Altre tradizioni come quella della Grotta di Calafarina si incentrano sulle qualità magiche dei pesci della zona e sui tesori(archeologici)ritrovati nella grotta.Tra i culti mariani quello del pellegrinaggio alla Madonna Marina(1 km. Da Noto)e altri come l'eremo di Noto antica, quello di san sebastiano a 4 km, da Avola, quello di San paolo nel territorio di Palazzolo che hanno indotto gli studiosi a considerare la zona tra Avola e Noto quale  esempio di "sacralizzazione" del territorio e della periferia urbana, con cappelle, edicole votive, chiesette rurali(si veda,Lima,pag.189) anche per la singolarità delle edicolette votive che ripropongono ognuna un mistero del Rosario o una stazione della via Crucis più l'uso locale di pietra intagliata.
Singolare il culto della Madonna della Scala a 10km a nord di Noto:La deviazione dalla strada per Palazzolo Acreide, conduce per 12oo metri al santuario con la presenza di edicolette votive ogni 2-300 metri.Il santuario fu ricostruito dopo il terremoto del 1693, ma la genesei del culto si ricollega a una prodigiosa immagine della Madonna dipinta sulla parete calcarea di un vallone. I devoti durante l'epoca araba costruirono un gigantesco muro per occultare il dipinto. Nel XV sec. Avvengono numerosi miracoli. Il 3 agosto di ogni anno avviene la processione lungo il percorso delle edicole votive fino a villa Vela. I pellegrini provengono oltrechè da Noto, anche da Canicattini, Palazzolo, Rosolini.
Il territorio è ricchissimo di tradizioni relative ai tesori magici:Tra queste la fiaba di "Re Falari"che ha per sfondo le strette vallate a monte e il ruolo salvifico dei cani. Così il racconto di "Funtani Bianchi"che si svolge nei pressi di una tonnara, o la fiaba di "U'cuozzu u scavu", allegoria di un luogo magico dove uno schiavo avrebbe nascosto un tesoro.
La storia "Ntalluortu di li rumani",che si svolge nei pressi della foce del Tellaro con 12 gatti che svolgono il ruolo di numi tutelari di quelle rovine,"Darrieri San giuvanni" altra allegoria con un cane e un topo che fanno da aiutanti magici a una ragazza in cerca di un tesoro. Tutti questi tesori evidenziano la presenza di "pietre antiche"che nascondono favolosi tesori ,così come un tempo si pensava fossero nascosti sotto le rovine archeologiche.
.I resti del teatro, databile al IV-III sec.AC, sono visibili sul declivio meridionale della collinetta con 15 gradini di un "cuneo" della piccola cavea, vicino la foce del Tellaro (che già abbiamo definito luogo di culti lustrali).Il Cuneo rimanente consta di diciotto gradini deturpati e delimitati da due scalinate. Secondo P. Orsi che scoprì il piccolo teatro greco nel 1927  due ali in fabbrica, l'orchestra e la scena, completavano  la cavea.

Negli scavi del 1959 emersero gradini della cavea che lasciarono supporre trattarsi di venti anzichè quindici: La cavea del diametro di 43 metri doveva essere ricavata direttamente dalla roccia  mentre le due estremità poggiavano su un terrapieno.La cavea ,appunto, doveva essere composta da cinque cunei e da sei scale di servizio,delle quali due si trovavano lungo i muri frontali di sostegno(Analemmata) .
Il territorio è ricco di testimonianze della vita materiale arcaica, dall'alto bronzo con il villaggio di Cozzo delle Giummarre(periodo castellucciano con larghe influenze nell'alto netino)ai villaggi del X-XII sec. di Rivettazzo, Cassibile, Noto vecchio e Finocchito(B. Brea,136). Ciascuno meriterebbe una trattazione specifica, ma le tracce rituali individuate sono comunque assai scarse e assimilabili ai culti femminili più diffusi quali quelli indigeni delle Lamie, e quelli più evoluti di Dèmetra.                      "                           E' evidente una crescita dell'artiginato metallurgico, con tecniche provenienti dalla penisola, alle soglie dell'età del ferro(fibule e ornamenti). I rituali di cui parliamo in tutta questa ricerca attengono soprattutto a quelli relativi all'inumazione, alle pratiche e alle credenze.Alla soglia dell'epoca delle grandi colonizzazioni è impossibile parlare di pratiche funerarie dell'età del rame e dell'alto bronzo, di grandi sepolture collettive . Predominano come altrove sepolture "pluricellulalri" all'interno delle quali si distinguono gruppi familiari ristretti, rimarcando il sistema delle"gens" così diffuso anche in Sicilia.

9-IL TEATRO DI AKRAI(Palazzolo Acreide)
 Con la presenza siracusana all'atto delle fondazioni teatrali, il discorso sulle aree sacre indigene, indubbiamente appare come un retaggio assai lontano nel tempo, anche perchè all'epoca della fondazione del teatro di Akrai la commedia aveva una sua fisionomia e un suo copione. Le fonti e le testimonianze attestano comunque che la piccola colonia giaceva proprio come avamposto in pieno territorio Siculo,sentinella dei confini meridionali del territorio siracusano, come già Tyndaris per la fascia tirrenica.           Dobbiamo se mai pensare che la scelta del luogo possa trovare  ricchezza di richiami mitici o comunque "funerari"..........
Anapos era il dio-fiumne e Ciane-la dea-sorgente. Akrai rientrava nel bacino dell'Anapo e la sua storia non si poteva sottrarre a quella delle divinità più antiche. Tra queste anche i cosiddetti "Santoni" identificabili nei  miti scultorei di Cibele e Attis, sopravvissuti nel tempo e sincretizzati nel mondo cristiano.
 Vanno pure interpretati i culti di San Paolo(Santuario) e di San Sebastiano, fortemente autoctoni almeno nei cerimoniali festivi,e il loro culto ricondotto a quello delle divinità precristiane diffuse in tutta la fascia costiera e l'entroterra siracusano.
Pitrè ricorda che qualche settimana prima del 29 giugno "I Cirauli" , i predestinati della notte del 25 gennaio, si recavano nelle campagne vicine con gli zufoli o rudimentali fischietti, a prendere bisce e serpenti. Poi per la festa li portavano in processione e alla fine li depositavano ai piedi del simulacro del santo. Quella dei Cirauli era una confraternita che regolava le sue "iniziazioni" nella notte di Natale d'ogni anno, dove gli adepti venivano "ammaestrati" con scongiuri e tecniche per prendere i rettili senza farsi mordere. Il segno di riconoscimento era il tatuaggio di un "ragno" sotto la lingua.
Al giorno d'oggi sono sparite le rivalità tra i devoti di San Paolo(Sampaolari) e quelli di San Sebastiano(Sambastianari), ma tutt'oggi permane la raccolta dei doni per l'Apostolo e la processione notturna a piedi scalzi.Un tempo i Cirauli mettevano all'asta delle forme di pane che tenevano sulla testa(le Cuddure), i devoti le acquistavano perchè le ritenevano di buon auspicio.
A Solarino, poco distante da Palazzolo, la prima domenica d'agosto si svolge la festa patronale della "Conversione" di San Paolo, avvenimento che come già detto il 25 gennaio d'ogni anno dava luogo
alla predestinazione dei "Cirauli". Oggi i devoti si recano al "pozzo" di San Paolo, perchè quì si ritiene si sia fermato il Santo mentre da Siracusa si dirigeva a Roma, pozzo ritenuto benefico e oggetto di scavo archeologico della Soprintendenza. Dallo scavo ,infatti, sono emersi avanzi di edifici sacri, forse paleocristiani o sinagogali, ma è evidente che il culto di San Paolo affonda le sue radici in una profonda religiosità popolare, attestata d'altra parte nelle scene drammatiche della Settimana Santa, (che è-come già detto- una trasposizione popolare di una antica drammaturgia del sacrificio).
Dalla necropoli di Bibinello non provengono solo  reperti paleocristiani, ma anche tracce di una religiosità mediterranea matriarcale indecifrabile sotto certi aspetti poichè assimila divinità infere(le cosiddette Lamie, le streghe).
   L'intero territorio dell'antica Akrai " parla" di queste Lamie, streghe volubili, divinità matriarcali  ,ma anche personaggi della "tregenda".

Particolare non secondario è l'esistenza di un piccolo santuario dell'Immacolata che fu distrutto col terremoto del 1693, poi ricostruito nella parte bassa del paese. I Palazzolesi sono molto devoti al culto mariano che traspare dalle numerose vie crucis sparse nel territorio,( di cui abbiamo parlato nel contiguo territorio notigiano-avolese-siracusano). Alcuni interessanti racconti di ritrovamenti di tesori rafforzano quanto detto sopra. Così vale per la fiaba "'Nna Truvatura" o "La Madonna da Nunziata".
  Le notizie danno l'epoca della  fondazione del teatro di Akrai al periodo di Gerone II, a metà  del III sec. Ac ma questa datazione non coinciderebbe con la colonizzazione siracusana dei luoghi.
Il teatro è adagiato su un pendio naturale  , opportunamente preparato con pietrame a secco, su cui poggiano sovrapponendosi, i blocchi delle gradinate. Queste secondo il canone, guardano a settentrione verso la Grecia. La zona su cui insistevano il teatro e il bolouteiron, doveva essere la parte centrale dell'acropoli fortemente urbanizzata.
Il Koilon è composto da nove cunei , separati da otto scalette: Sono stati "ricostruiti" dallo Judica dodici fila di sedili, ma è probabile che nella parte centrale della cavea i gradini potessero essere più numerosi.
Ogni gradino è alto 27 cm. E largo 74 , di cui 34 cm. Destinati al sedile, e 40 cm. Alla pedana.
Il teatro fu costruito contemporaneamente al Boulouteiron come sembrerebbe dimostrare il corridoio di passaggio al settimo cuneo. L'Orchestra è di forma circolare, così che la Scena anzichè sorgere al limite dell'area circolare, è molto più avanzata, con la fronte proprio sul diametro dell'orchestra.
Il teatro fu in parte ricostruito in epoca romano-imperiale.
Le aree cultuali indigene di Akrai rientrano nel'area culturale sicula di Cassibile-per dirla con P. Orsi, si pensi soprattutto al ritrovamento dell'ascia "a ferro da stiro" con foro cilindrico, II millennio, molto regolare ,  e la prossimità con le grandi vestigia indigene di Pantalica.
.Il fatto stesso che Siracusa abbia deciso di edificare la città entro il confine più prossimo all'area sicula(come nel caso di Tyndaris) dimostra i rapporti non necessariamente conflittuali che dovevano esistere tra colonizzatori e colonizzati tra il VI e IV sec. AC. E in ogni caso a monte della cavea sono presenti edifici di culto non ricollegabili al patronato di Dyonisos.

L'area è disseminata di cave di pietra(latomie) che presentano antichi rilievi ricollegabili in taluni casi al culto di Cibele,una dea mater di origine anatolica, a differenza di Siracusa, dove questi rilievi nelle latomie ricordano il culto dei defunti "eroizzati".
 Rispetto al  teatro di Tyndaris l'area sacra dedicata ad Afrodite non è nelle dirette adiacenze del teatro, bensì sul piano soprastante la latomia dell'Intagliata, il che tuttavia non esclude che il primitivo teatro non fosse in questa zona.
 Dell'Aphrodision(VI sec. AC) rimangono solo i blocchi squadrati del basamento e le tracce di sei colonne sulla fronte e e tredici sui lati, per una estensione di 18 mt per trentanove.
 Uno studio di M.Mertens Horn(1991) "Una nuova antefissa a testa femminile da Akrai", ha ripreso recentemente alcune ipotesi formulate da M: Guarducci sulla presenza di culti indigeni dedicati alle Ninfe, o al corteggio d'esse a una divinità femminile superiore, una magna Mater. I dintorni di Palazzolo, soprattutto Buscemi, disvelano queste presenze assai diffuse nel reticolo di tradizioni popolari e folkloriche.(vedi "Persistenze...).
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  10- Il teatro di Morgantina(Aidone)
La presenza di una divinità matriarcali quale Dèmetra, è palpabile attraverso tutte le testimonianze rilevate nell' area sacra che precede il teatro(III sec. AC).
Non a caso l'area sacra, in parte definita come santuario delle divinità ctonie, ha una valenza pressocchè analoga a quella identificata ad Agrigento, senza alcuna presenza teatrale, in questo caso, a differenza di Morgantina.
  Ma Morgantina è anche uno dei pochi casi in Sicilia di sicura dedicazione del teatro a una divinità, in questo caso a Dyoniso, e non perchè negli altri casi non sia possibile identificare delle aree sacre circostanti, ma perchè Morgantina si identifica nell'urbe autoctona per autonomasia, e gli autoctoni sottolineavano in ogni loro costruzione la derivazione sacrale.
 Il mito italico dei Morgeti, predomina nelle origini della città posta su un affluente del Dittaino , ma è un mito che vuol solo essere la metafora di una autoctonia che si differenzia dai siti sicelioti dei coloni, in contrapposizione agli indigeni e ai loro culti.

 La cavea semicircolare è costituita da quindici gradini, ed è suddivisa in sei settori(5 mila posti a sedere. L'epoca di costruzione parrebbe quella del tiranno Agatocle nel III° sec. AC  ma sulla base dei dati numismatici la datazione può essere spostata qualche anno indietro, all'epoca di IeroneII. Dato importante risultato dagli scavi più recenti è l'identificazione del finanziatore dell'opera, ovvero quell'Archelas, figlio di Eukleidas, appartenente a una ricca famiglia che dedica a Dyonisos il teatro, come nella norma dedicatoria. Tutto ciò è riscontrabile da una iscrizione posta nell'alzata del decimo sedile del terzo settore della cavea.
E' opinione diffusa che la cavea attuale sia stata costruita su un precedente ma modesto edificio teatrale. Il teatro attuale faceva parte di un progetto unitario che prevedeva l'abbellimento complessivo dell'Agorà di Morgantina.           
La cavea si presenta appunto, in opera quadrata con blocchi di calcare locale ed ha il diametro massimo di mt.57,70, suddiviso orizzontalmente in due sezioni:l'Ima cavea(sedici ordini di sedili)e la Summa cavea(in terra battuta ) che non presentava posti a sedere, se non quattro file rettilinee dietro il settore quattro.
L'Ima cavea è a sua volta suddivisa in sei Kerkides(settori).La cavea poggia per un quarto su uno spiazzo in leggera pendenza del dorsale roccioso.
Gli analemmata sono entrambi costituiti  da un tratto perfettamente ortogonale all'asse del teatro e da un altro inclinato, come un trapezio rovescio.
 Da Morgantina provengono numerosi corredi funerari appartenenti a gens autoctone, come del resto  quelli appartenenti a gens elleniche.
 Iniziamo con l'attestare la presenza di una foggia di spada "a lingua da presa" del tipo Contigliano, simile ad esemplari attestati nel sud della penisola(A.Procelli,34).
 Sembrerebbe che la successiva età del ferro sia attestata nella località attuale della "cittadella" come rivelerebbe un survey di S. Thompson. Si tratta di un centro abitato costituito da capanne allungate a piante ovali o rettangolari ,long-houses per famiglie "allargate"(pag.52)
 I depositi vascolari proverebbero una differenza di questa popolazione, più simile a quelle ausone-tirreniche, rispetto alla contemporanea facies  del "Mulino della Badia".

 Dello stesso periodo parrebbe la pratica rituale di inumare gli infanti in età perinatale , come attestato da un sepolcro ad Enchytrismos ritrovato in loco.Lo scavo della capanna della trincea 31 di Morgantina ,ha portato tra l'altro a individuare una sorta di  luogo di immagazzinamento delle derrate alimentari(A.-Procelli,pag.78).
Un pettine ricavato da osso animale documenta altresì la fase di "cardatura" della lana nel sito, come pure è attestata la lavorazione del tornio già nell'XI sec. Ac e l'uso di forni per la produzione in serie delle ceramiche e degli stampi primordiali(pag.87).
 Le capanne delle trincee 29 e 31 sembrerebbero coinvolte nella produzione metallurgica complessa, se al ciclo di fusione aggiungiamo la produzione di pesi da telaio, fuseruole , contenitori in metallo e stampi(pag,98). Nel caso di Pantalica questo edificio era destinato al soggiorno del capo-villaggio. Ulteriore attestazione della presenza di un chiefdom è dato dalla presenza di vasi multipli con probabili funzioni rituali, o riunioni comunitarie.E tra la metà del Vi -V sec. Ac si manifesta l'esigenza di trincee difensive che prima non erano attestate, ma potrebbero essere sorte dai coloni greci in difesa dagli attacchi degli indigeni.
 L'influenza greca si coglie anche nelle sepolture più complesse che rivelano la presenza di rituali orfici o matrimoni misti., e il racconto letterario delle origini ad opera di coloni italici.
Le tracce della cultura materiale, soprattutto funerarie, dimostrano la presenza di aree sacre dedicate a divinità autoctone ellenizzate , tracce che insistono nell'area dell'agorà e della cavea.
 Nella vicina Aidone prevalgono oggi i culti a prevalenza maschile di San Filippo apostolo(festa in maggio)e di san Lorenzo(10 agosto). Tra le devozioni mariane quella dell'Assunta(agosto) da identificare nella Madonna delle Grazie, il  cui simulacro veniva tuttavia portato in processione al termine dei festeggiamenti di San Lorenzo.
Pitrè si è soffermato abbastanza sulle due feste ai patroni di Aidone, in particolare quella di San Lorenzo veniva descritta con una sontuosa cavalcata dei notabili e una rappresentazione finale,
chiamata "Il Battimento" che come in altre località della Sicilia, richiamava i duelli tra i normanni e i Saraceni: Ai tempi di Pitrè la rappresentazione popolare si effettuava ogni dieci anni,oggi è consuetudine farla ogni anno come segno distintivo della comunità.
Ancora più particolare la festa di san Filippo Apostolo, che ora si fa coincidere con la scampagnata del 1° maggio, diverso dal San Filippo nero di Agira, ma con le stesse qualità di guarire gli ossessi e i malati di mente.
Pitrè e Ciaceri sottolineano queste qualità di guaritore, ma accostano il santo a una divinità plutonica, quasi infera per il colore scuro del simulacro.
Oggi i raduni dei malati non si fanno più, ma nella tradizione popolare è rimasta traccia di questo segno benefico del Santo, che accoglieva nella sua chiesetta gli infermi penitenti provenienti da mezza Sicilia.    Vi era un tempo l'uso di far sfilare in processione i dodici apostoli insieme al santo patrono, ma questa usanza è stata sostituita da una analoga che si svolge per la Settimana Santa aidonese. Quì lo spettacolo è assicurato, e non perchè gli aidonesi hanno una lunga tradizione di
spettacolarizzazione, quanto per la partecipazione corale ai riti, dai cori delle lamintanze, alla cura delle statue degli Apostoli in processione, dalle "macchine" gestuali per l'incontro pasquale(la Junta), ai riti e alle composizioni floreali che animano tutta la settimana , un vero teatro itinerante con figuranti e attori di strada.
 
  11- Il teatro di M.gna Di Marzo(Piazza Armerina/Barrafranca)
Importante centro indigeno ellenizzato, identificabile con l'antica Herbessus(C.Bonanno), il teatro è ubicato nella cosiddetta cittadella, la parte sommitale del rilievo, dove si conservano i resti più significativi dell'antico insediamento munito di una possente cinta fortificata.
Del teatro è stata messa interamente in luce la "Cavea", risultata da un enorme terrapieno  artificiale che ha occultato precedenti edifici greci databili al VI sec. ac.
 Dalla cavea sono venuti alla luce sei fila di sedili, la gradinata è costruita con grossi conci  irregolari di calcare locale. Per quanto riguarda la "scena" è stato individuato un singolare edificio a ELLE ,delinato a ovest da un portico colonnato, visibile solo a livello di fondazioni.
 All'estremità nord è stato messo in luce un altare  di forma parallelepipeda.
 Pure significativa la presenza di una cisterna all'interno della Konistra.
Gli Analemma sono caratterizzati da un evidente paramento murario coperto da intonaci, in cui sono stati rinvenuti vari frammenti ed epigrafi.Sono stati recuperati pure pezzi della decorazione scultorea e mascherine fittili di tipo teatrale.
Sono state ritrovate singolari oggetti fittili, assimilabili a tessere identificative, di personaggi civici deducibili da iscrizioni,(IV-III sec. AC) riportanti nomi, patronimici e numerali riferibili a gruppi di appartenenza(pag.225).
 L'area di M.gna di Marzo in territorio tra Barrafranca e Piazza Armerina, non offre legami diretti con la tradizione religiosa cristiana, se si eccettuano i toponimi e le leggende, comprese le truvature, e i naturali passaggi di popolazioni nelle zone circonvicine, quali Casali e Feudi, poi centri abitati.
 Sicuramente d'un certo interesse per gli scopi della nostra ricerca sono le tradizioni e rituali della Settimana Santa a Piazza Armerina, che culminano con la discesa del fercolo di Cristo dall'altare maggiore della chiesa Madre , con una scala umana vera e propria. Forse più ancora carica di significati la processione del 3 maggio alla Patrona, diversa da quella che si celebra il 15 agosto.
A Barrafranca come già detto per  Aidone, vengono portate in processione la domenica di Pasqua(la Giunta) le statue gigantesche degli Apostoli, ma è importante soprattutto il carro col Salvator Mundi il Venerdì santo che i barresi chiamano "U' Trunu". Questa processione che per le sue caratteristiche è stata inserita nel REI, vede tutta la popolazione partecipare, a differenza della vicina Pietraperzia che in occasione del "Signuri di li Fasci" coinvolge solo gruppi ristretti di popolazione.
U' Trunu, ricoperto da bianchi veli e coloratissimi fiocchi   ha un significato di Axis Mundi come ben rilevato da E.A. Buttitta. Ma proprio per questa caratteristica vede tutto il popolo fare da "portatore" in una calca indescrivibile che qualcuno ha tuttavia accostato a un baccanale, anzichè alle composte processioni del Venerdì Santo.
Questa caratteristica di teatralità dei barresi è ancora più evidente nella giornata del venerdì santo, allorchè la Via Crucis, detta "Vasacra" viene allestita sotto forma di teatro itinerante, così come le classiche "Casazze" di un tempo(Si veda il mio "Scenografie sacre come codici di comunicazione, in La casazza di Nicosia,2006, Assoro)
 Altre feste a Barrafranca che riflettono ascendenze arcaiche ,sono quella patronale di Sant'Alessandro(giugno)che coincide con il raccolto ed è esplicito il riferimento al santo mietitore , sostituita tuttavia  in magnificenza  da quella di santa Maria della Stella(8 settembre)che coincide con altre feste mariane in tutto il territorio siciliano(Maria Bambina o Natività di Maria).     
 Dal punto di vista della cultura materiale arcaica le ricerche dell'Albanese Procelli ,hanno riguardato i corredi funerari: Ed appare esemplare, per una dimostrazione dei limiti inerenti alla definizione etnica di una comunità solo su basi archeologiche, il ritrovamento di numerosi codici linguistici di tipo anellenico(come del resto nella vicina Morgantina) che hanno svelato un corpo di invocazioni e pratiche rituali recentemente interpretati dal Caltagirone.
 E' noto tra l'altro,  che prima del rinvenimento di iscrizioni in lingua "anellenica" , ascrivibili alle ethnie sicule, questo centro sia stato  tradizionalmente considerato gravitante nell'area Sicana(oltre l'orizzonte di Barrafranca e Mazzarino)pag. 24
                "                         "
  12-. Il teatro di Eraklea Minoa(Cattolica Eraclea):"   
Ricorre il mito di Dedalo e Minosse alle origini della città, ma non va sottovalutato il mito dei diorei spartani della famiglia deglli eraclidi, e di Eurileonte che fonda la città nel VI sec. AC
Per tutto il v sec. La città cade sotto l'egemonia di Akragas, ed è lo stesso tiranno Terone che restituisce la memoria di Minosse con il presunto ritrovamento della sua tomba e le esequie rituali.(Diod.IV,79,4). Poi il centro decadde sotto l'occupazione di mercenari assoldati dai siracusani.
Poco prima della caduta di Akragas nel 406 fu presa dai cartaginesi.
 L'impianto teatrale non va oltre gli inizi del IV sec. AC. E' costituito da conci di marna per un numero di dieci ordini di sedili preceduti da seggi di proedria con spalliera e braccioli.
Dalla roccia sono ricavati la "Praecinctio"e l'ambulacro antistante.
Tra la "Praecinctio" e il decimo gradino ,mancando ogni traccia di blocchi, è possibile esistesse una sistemazione a prato.
La cavea è divisa in nove settori (Kerkides)da otto scalette(limakes). Non vi sono tuttavia tracce di edificio scenico in pietra,pertanto è lecito pensare a una costruzione lignea di tipo "fliacico".
 Ospitava comunque fino a 3000 spettatori.
 Gli storici sostengono che il teatro ricordi quelli greci del IV e III sec. AC, soprattutto quelli di Atene e Priene.
  Dunque  fondazione Dorica, ma l'area su cui insiste il teatro era certamente dedicata alla divinità ctonie, da come sembrerebbe indurre la continuità degli edifici sacri(santuario ellenistico) posti sulla collina  sovrastante il teatro, con le due necropoli, la più antica risalente al VI sec. Ac e dove tutt'ora  si intravede la presenza di sepolture indigene. Si veda a questo proposito il citato lavoro di F.G. La Torre-"Urbanistica e architettura ellenistica a Tindari, Eraclea Minoa e Finziade. Nuovi dati e prospettive di ricerca".In Sicilia Ellenistica(2006), pp.83-95.
                        Lungo il corso del Platani, che quì sbocca a mare, si ripetono le leggende dell'entroterra   divinità ctonio.fluviali(l'Hypsas) su cui ha ampiamente scritto C. Montagna "Tholos, struttura di culto, potere e salvezza nell'architettura protostorica siciliana" in atti del convegno di san Giuseppe Jato:"Santi, Santuari e pellegrinaggi"(2011).
 Nel vicino centro di Cattolica , come in quello di Ribera, le feste popolari propongono singolari figure quali u' diavulazzo, durante i riti della Settimana Santa.
 A Ribera è la festa primaverile di san Giuseppe a riportare in auge i rituali arcaici dell'alloro con le sue qualità silvane e apollinee, e soprattutto la partecipazione accorata della popolazione, in uno scenario da cerimoniale complesso.
A Cattolica.sono invece i riti della Settimana santa a caratterizzarsi come unici e ripetitivi così come descritti dallo stesso A. Buttitta
Si inizia la Domenica delle Palme col rito della benedizione delle Palme intrecciate. Quì come in pochi altri paesi, Gangi ad esempio,la processione si svolge nelle ore del mattino, e ogni gruppo di confrati si reca presso ogni chiesa dove le palme vengono benedette dopo l'attesa davanti la porta del santuario. Le palme e gli ulivi benedetti dell'anno precedente non vengono buttati , ma bruciati.
Il giovedì santo, gruppi di donne vestite di nero, partecipano alla Cerca, arcaico rituale che assimila le donne come nelle Tesmophorie greche, alla ricerca del Figlio/ figlia rapita.
Quì il venerdì Santo si chiama       "Scinnenza".
Dolci rituali della Settimana Santa, contraddistinta tuttavia da digiuniu, sono i "Cannilera", a forma di colombina con al centro l'uovo, che si usa consumare la sera, come del resto il tradizionale dolce "Aceddu cu l'ova" in tutta la Sicilia. Per Pasqua si consumano Li viscotta d'ovu cu lu zuccaru e "L'affucaparrini", Mentre a Ribera la "Frocia" di Pasqua.
Per l'Incontro spettacolare della domenica di Pasqua  le pie donne, genuflettendosi per  tre volte, recitano frasi evocative, "O gran Vergine Maria, mi rallegru assai ccu tia..".
Sono tutti aspetti di una ritualità sacrale-rappresentativa certamente diffusa ma frammentata, in tutta la Sicilia, che tuttavia a Cattolica Eraclea viene condensata, con un retroterra mitologico da cui trarre indizi certamente interessanti ma non esaustivi della problematica.

    APPENDICE
i. Il teatro romano di Termini Imerese (in appendice)
     La città di Himera viene fondata da coloni calcidesi e dorici,popolazioni peloponnesiache che creeranno una ethnè come a Rhegium. Apollo e Artemide  anche in questo caso, sono tra le divinità più ricorrenti nel mito delle origini di Thermis.
      Miti più antichi parlano dei figli di Eolo ,come Feremone e Androclo che occupano questo litorale fino a Lilibeo(Aluntium,Calacte, Halesa,e più in là Hyccara,Partenicum,Segesta
 In parte vale quanto detto per Solànto rispetto al mito degli Eraclidi, ma quì il mito del guerriero è affine con quello delle ninfe delle acque solfuree, mettendo in risalto le tracce col mondo indigeno:.La ninfa Himera appare nelle monete della città, ma anche nel culto a lei tributato(Cicerone,Verrine II)e soprattutto nel mito di  Ercole.
            Altre analogie con il mondo indigeno si hanno anche in questo caso col vicino centro di colle Madore, dove nell'area sacra è stato individuato un sacello a pianta rettangolare decorato con antefisse a palmetta pendula di produzione imerense. All'interno del sacello si è rinvenuta una edicola di pietra, raffigurante un uomo in atto di attingere acqua a una fontana,un motivo frequente che lo collega all'Ercole di Himera o al mito dei Silèni.
 Altri siti indigeni sono quello individuato a pizzo Sannita, Cozzo Pipitone, e lungo la valle del Torto, Vicari e Liste Margana.
 In epoca romana la città di Terme assorbe  tutte le valenze mitico-simboliche testè descritte, rientrando in questo modo nell'orbita del mito campano-mamertino-Italico.   
 D'altra parte se vogliamo cogliere aspetti di continuità antropologica-rappresentativa tra la preponderanza di figure femminili nella iconografia monetaria termitana o in quella imerense, basta riflettere sui numerosi culti femminili cristiani ancora diffusi(pari solo alla città di Marsala), e in particolare  quello dell'Immacolata con la lunga fiaccolata dell'8 dicembre sera.
 I reperti più arcaici ritrovati del circondario di Himera  e Termini, non attestano molti legami col mondo indigeno( a ciò aggiungasi che Sicani e Siculi secondo la storiografia diodorea  erano alleati dei punici durante la battaglia del 480ac, dunque le loro tracce non erano comunque gradite agli imeresi).Pur tuttavia dalla necropoli di Pestavecchia emergerebbero dei Pythoi a decorazione dipinta piumata o geometrica,usate per alcune sepolture infantili che potrebbero rientrare nell'universo indigeno(A.-Procelli, 144). Più certe le tracce indigene nelle costruzioni di massicciate in pietra della città bassa di Himera, che sono affini a quelle individuate con le stesse tecniche a Colle Madore.  Altre affinità col mondo indigeno potrebbero riscontrarsi nel raffronto tra i vari contenitori in ceramica ritrovati, molti dei quali affini al mondo "tirrenico" e "italico", ma quì il discorso andrebbe oltre il ruolo delle popolazioni autoctone.

 l teatro di Katane(Catania)
"  Come nel caso di Tauromenio e Tyndari,anche l'antica Catane cade nell'orbita dei siracusi-fondatori,e in particolare dei calcidesi(Evarco). Tuttavia se i miti più arcaici(Apollo,Artemide,Eolo)   
 si rifanno a quei popoli non sono da sottovalutare i miti indigeni(Vulcano,le ninfe,i giganti)che presiedettero la fondazione di etna-Katane.              "                            "
La centralità urbana di questo teatro lo rendono soggetto a varie tradizioni mitiche rituali, che già in epoca greca si indentificano con quelle dell'antica Aitna.
Demètra e le faci in cerca di Kore;Il dio Vulcano-adranon.Il mito dei ciclopi(encelado), la ninfa Aitna e il dio Efesto,Ducezio e Aitna,e la continuità di riti legati al fuoco del vulcano(il velo di Iside, i fratelli Pii)e i pellegrinaggi notturni(bosco di Aci) sono soltanto alcuni esempi.
Dal punto di vista della cultura materiale predomina la facies ceramica orientale fin dal primo bronzo(Gela-Catania-Siracusa) e il tipo di tomba castellucciana(B. Brea,107) come quelle di Catania grotte della Barriera, fino al medio bronzo, con lo stile Thapsos pure nelle ceramiche e nei vasetti scoperti a Nizeti.Coppe del periodo di Thapsos scoperte al castello Ursino neell'alveo dell'Amenano(132). Pendagli a scopo magico-religioso scoperti presso i Benedettini(Procelli,119)
In generale una gradualità e un rispetto reciproco tra le due culture verificabile soprattutto dai reperti di Valverde .Intessanti le numerose Oinochoai parzialmente dipinte, provenienti dalla stipe di San francesco a Catania, con gusto tipicamente indigeno(186).


   BIBLIOGRAFIA  GENERALE
-AA.VV: Miti Mediterranei, Fondazione Buttitta, Palermo,2007
-AA.VV.   : Architetture teatrali siciliane di età antica-fase della conoscenza, Palermo,2008
-AA.VV. :Teatri antichi nell'area del Mediterraneo- Vol.II, Palermo,2006
-AA.VV.:Semiotica della rappresentazione, Palermo,1978
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-BALASCO,A.:-"Il teatro-Santuario di Teano"in Il teatro di Teano Sidicinum(a cura di F.Sirano) alle pp.71-86, ( descrivendo i sei "Kerkides" del Koilon e dell'Orchestra, l'autore fa derivare la loro posizione simmetrica, -tra l'altro,  intorno a una scaletta radiale,-da modelli sicelioti in particolare da quello di Morgantina. Lo stesso Balasco trattando dell'edificio scenico di Teano non esclude che la Skene  fosse affiancata da una paraskenia, come nei teatri tardo ellenistici di  Sicilia e Campania, citando le particolarità del teatro di Tindari).
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-MORRIS, I.: Death-ritual and social structure in classical antiquity,Cambridge,1992.
-PATERNA,C: Persistenze e ritualità arcaiche nell'entroterra, Assoro,2010(il citato lavoro al cui interno ne figurano altri , tra cui quello sulle Addolorate del venerdì santo,è stato condotto come fieldworks-ricerca sul campo, adottando gli strumenti più opportuni del questionario, della scheda, dell'intervista per la rilevazione delle fonti orali).
-PETTAZZONI,R.:La religione nella Grecia antica, Bologna,1971.
-PICKARD-CAMBRIDGE,A.:Le feste drammatiche di Atene, Firenze,1996
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-TOSCHI,P.: Arte popolare italiana, ROMA,196o
-VAN DER LEW,G.: Fenomenologia della religione. Torino,1975

 

 

Autore Prof-Greco

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Inserito il 08 Febbraio 2012 nella categoria Relazioni svolte