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Un contributo inviato dal dott. Giuseppe Abbita

'Saffo l'immortale: divagazioni, congetture, divagazioni sul tema'

Relatore: Dott. Giuseppe Abbita

Immagine riferita a: Un contributo inviato dal dott. Giuseppe AbbitaCari amici, desidero oggi condividere con voi alcune mie elucubrazioni elaborate durante questo periodo di confinamento domiciliare. Riprendo un tema da sempre a me caro: i lirici greci dell’età arcaica. Vi parlerò quindi di Saffo, la più famosa poetessa della storia. E vi dirò alcune cose che non troverete sui comuni testi di storia della letteratura greca.Ho voluto dare a queste mie note il titolo: 'Saffo l’immortale: divagazioni, congetture, divagazioni sul tema'. Questa chiacchierata mi porterà spesso a divagare e di ciò mi perdonerete.Mi avventurerò  intorno ad argomenti in apparenza svincolati dal tema principalee  apparentemente slegati tra di loro. Ma si tratta pur sempre di fatti riconducibili alla vita di questa straordinaria poetessa. Alla fine spero di essere riuscitoa trasmettervi un ritratto  un po’ diverso da quello che conoscevate ma, a mio parere, più vero, più vivo e, senza dubbio, più intrigante.

Alcune delle mie esternazioni non possono essere altro che congetture.

Ma è bene precisare che le congetture contribuiscono, quando non sono arbitrarie, a delineare un quadro talvolta non molto lontano da quello reale.

Lo storico Edward Carr diceva, d’altra parte, che: ' la storia consiste in un duro nòcciolo di interpretazioni circondato da una polpa di fatti più o meno discutibili '.

Ed io penso che anche la letteratura, e l’arte in generale, sia in fin di conti un nòcciolo duro costituito da fatti più o meno veri circondato da una polpa sostanziosa di interpretazioni.

Inizierò pertanto questa mia chiacchierata in maniera inconsueta, partendo da lontano.Non ci troviamo sull’isola di Lesbo ma in Sicilia. Vi porrò una domanda.

Vi siete mai chiesti perché le donne ericine sono le più belle della Sicilia? E tra le donne  più belle del mondo?

Almeno così le definiva il viaggiatore e geografo arabo Al Idrisi descrivendo la città di Erice: 'Si dice che le donne di questo paese siano le più belle dell’isola: che Dio le faccia diventare schiave dei musulmani!'

A dire il vero qualcun altro traduce, in maniera più esplicita: che Dio le faccia  ingravidare dai musulmani!

La donna ericina doveva certo rappresentare al meglio i canoni della bellezza femminile! Le donne ericine erano famose per la loro proverbiale bellezza.

Giovan Giorgio Trissino, umanista e poeta rinascimentale,descrive, nel dialogo Ritratti, i caratteri delle donne più belle d’Italia e si sofferma in particolare sulladonna più bella di Vicenza,tale Ericina,il cui nome, però, tradisce le sue vere origini siciliane.

E ne definisce i caratteri:'…la testa , il lineamento delle ciglia,  gli occhi con dentro mescolata una certa venerabile maestà….'

Fino alla metà del secolo scorso, quando sul monte  Erice viveva ancora un numero apprezzabile di abitanti, non era raro incontrare nelle sue viuzze ragazze di una rara e semplice bellezza e donne mature avvolte nel tipico 'manto', indossato con compiaciuta eleganza,  di una bellezza austera e solenne, quasi sacerdotale.

E allora sapreste dirmi perché le donne ericine sono le più belle della Sicilia? Ho cercato di darmi una risposta. Mi sono chiesto: esiste una circostanza storica in grado di spiegarcelo? Probabilmente si. La mia è soltanto una congettura e tale è destinata a rimanere  fino ad una conferma papiracea o epigrafica.

Esiste un fil rouge tra Erice e l’immortale Saffo, tra Erice e il suo esilio in Sicilia,  tra Erice e i 'Καλλιστεῖα', i concorsi di bellezza che avevano luogo annualmente sull’isola di Lesbo.?

Cercherò di darvi e di darmi una risposta più tardi, alla fine di queste mie note.

Entriamo ora nel vivo dell’argomento.

Noi conosciamo  Saffo soprattutto per le sue composizioni amorose, cariche di eros, che essa rivolge alle sue amate. Saffo è colei che, per prima, descrisse la malattia d’amore rendendola attraverso una descrizione fisica dettagliata e concreta.

In uno dei suoi carmi, forse il più famoso, pazza di gelosia, così si rivolge alla sua amata:

Mi pare simile a un dio

l’uomo che ti siede davanti

e ti ascolta così da vicino, mentre parli

con lieve sussurro e ridi amabile:

questo mi stringe il cuore nel petto!

Basta che ti getti uno sguardo

e subito la voce mi manca

la lingua si spezza, subito

un fuoco sottile mi scivola

sotto la pelle,

 lo sguardo s’offusca, rombano le orecchie,

un freddo sudore mi cola, tutta

mi scuote un tremito,

e più verde dell’erba divento

e poco manca che muoia.

 E’ la descrizione puntuale di una vera e propria tempesta neurovegetativa, in cui prevale ora il sistema parasimpatico, ora quello simpatico: vasodilatazione con vampate di calore cui fanno seguito vasocostrizione con sudorazione fredda, palpitazioni, difficoltà nell’eloquio, offuscamento della visione, tremori, senso di mancamento: è la malattia d’amore descritta dettagliatamente in tutte le sue manifestazioni corporee.

  L’'ode della gelosia' ebbe un particolare successo nell’antichità e Catullo la riprese  e la trasferì nella lingua latina,  usando, per la sua Lesbia, lo stesso metro e la stessa strofe saffica.

 Saffo è la poetessa dell’amore, consacrata e conosciuta universalmente per i suoi versi carichi di erotismo.

Ecco un altro frammento:

Eros che  scioglie  le  membra  mi  scuote  nuovamente : 

dolce  amara  invincibile  belva

La descrizione della malattia d’amore diverrà un topos della successiva poesia amorosa ma non dobbiamo dimenticare che Archiloco, un altro grande lirico dell’età arcaica, l’aveva cantata ancor prima di Saffo.

Tale voglia d’amore, abbarbicandosi

al disotto del cuore, mi versò

fitta nebbia negli occhi e, come un ladro,

strappò dal petto l’anima indifesa.

Dopo questi bellissimi e famosissimi versi andiamo a vedere chi era Saffo?

Immagine riferita a: Un contributo inviato dal dott. Giuseppe AbbitaSaffo nacque attorno al 640/630 a.C. a Ereso nell’isola di Lesbo. L’isola di Lesbo è  situata nell’alto Mare Egeo, poco distante dalla penisola nord-occidentale dell’Asia Minore,  non lontana quindi dalla Lidia e dalle città di Sardi e di Troia.

E non lontana anche dalla città di Focea, sulla quale torneremo più avanti.

Isola di Lesbo,un tempo isola di poeti ed oggi meta di rifugiati, tra cui molti bambini.

Ma anche grande esempio di solidarietà dei suoi abitanti che ha fatto candidare l’isola per il premio Nobel per la pace.

Ma torniamo a Saffo. Aristofane di Bisanzio nel III sec. a.C. ne approntò  un’edizione per la biblioteca di Alessandria, suddividendo l’opera della poetessa in  nove libri.Di tutta la sua produzione ci rimangono oggi pochi frammenti: l’unico componimento conservatoci integro dalla tradizione è il cosiddetto Inno ad Afrodite (fr. 1 V.), con cui si apriva il primo libro dell’edizione alessandrina della poetessa.

Ma ci era veramente Saffo?

Il contemporaneo e conterraneo Alceo  riconosceva in lei una sacerdotessa di Afrodite.

"Chioma  di viole, veneranda Saffo dal riso di miele". CosìAlceo definisce la poetessa. Saffo è «veneranda» perché il suo ruolo è in primo luogo religioso e questo ruolo lo svolge all’interno del tiaso.

Il tiaso era un collegio elitario, dove confluivano le ragazze delle famiglie bene, delle famiglie aristocratiche. Famiglie che avevano in comune ideali, modi di vivere e comportamenti sociali.

Una sorta di collegio femminile esclusivo in cui le fanciulle che ne facevano parte, provenienti da località diverse, trascorrevano l’adolescenza, o parte di essa, preparandosi alla vita adulta e al  matrimonio.

Ma il tiaso che ruotava attorno a Saffo era anche una confraternita religiosa dedicata al culto di Afrodite.Questa comunità aveva quindi carattere soprattutto religioso,cultuale e iniziatico.

Il gruppo che ruotava attorno a Saffo  rappresentava la parte femminile del clan dei Cleanattidi, uno dei clan più influenti dell’isola di Lesbo. Afrodite probabilmente ne  era il nume tutelare e il gruppo avrebbe assunto una funzione istituzionale nel suo tempio.

Alle ragazze del tiaso veniva impartita una istruzione ed una formazione artistica:  imparavano la musica, il canto, e la danza.

La poetessa definisce infatti la propria cerchia casa dei servitori delle Muse, indicando con quell’espressione un’associazione di persone dedite alle arti e al culto delle Muse.

E forse, nel tiaso, si praticavano anche attività atletiche. Una delle ragazze, per esempio, era  molto brava nella corsa.

L’educazione comprendeva anche la sfera amorosa; venivano infatti ad instaurarsi tra le allieve, così come con la sacerdotessa del tiaso, legami di natura omoerotica.

Questi legami di natura omoerotica sui quali non mi soffermerò più di tanto, erano simili a quelli che intercorrevano, in campo maschile, fra un erastès, l’amante, e l’eromenos, l’amato. Eros omoerotico, socialmente accettato, in Grecia, solo quando  un giovinetto o una fanciulla non erano ancora entrati a pieno titolo nella vita adulta. Questi rapporti omoerotici avevano il compito di trasmettere al giovane il complesso di idee e conoscenze che lo avrebbero introdotto alla successiva età della vita eassolvevano inoltre al compito di favorire la trasmissione di un patrimonio di valori e di comportamenti sociali da una generazione all’altra.In altre parole il rapporto omoerotico o, se volete, pederotico, si configurava anche e soprattutto come rapporto educativo fra maestro e allievo.Saffo quindi rivolgeva i suoi versi e le sue attenzioni amorose alle fanciulle del tiaso:

Anattoria, dal seducente passo,

l’amabile Archeanassa,

Arignota dalla voce melodiosa,

Megara la mite,

Dika dalle chiome coronate di fiori,

Gongila dal raffinato mantello,

la delicata Girinno,

ed Ero che corre veloce.

Ma qualcuna la tradì.

Come la dolce Attide , o Mica, che lasciarono il tiaso di Saffo  per frequentare la scuola della sua rivale Andromeda.

Andromeda, esponente della famiglia dei Pentilidigestiva un tiaso rivale di quello di Saffo, ma la rivalità tra le dueera soprattutto in campo politico. Esisteva infatti un contrasto violento fra i due clan:  quello dei Pentilidi,allora al potere, e quello dei Cleanattidi, di cui Andromeda era una esponente di spicco.

A lei Saffo indirizza delle feroci invettive. Una volta le manda un ironico augurio; un’altra la sbeffeggia perché non sa indossarele vesti in modo aggraziato:

vestita di zotica veste….

non sa tenere sollevati i suoi straccetti sopra le caviglie   

Sono versi di  una violenta aggressività giambica, che nulla hanno da invidiare a certi versi di  Archiloco o di Ipponatte.

In un frammento, Saffo, proclama orgogliosamente: io amo la raffinatezza, e voi lo sapete.

In un altro frammento così si rivolge ad una ragazza del tiaso: una volta eri una ragazza elegante e amavi  cantare danzando. In un altro ancora: ... i piedi avvolgeva una sgargiante calzatura, bel lavoro lidio.

Ancora: ….io su morbidi cuscini voglio distendere le membra….; oppure …in eleganti vesti di lino  bene si avvolse.

Eleganza, buon gusto, raffinatezza, bellezza.

Questi sono i caratteri che contraddistinguono le fanciulle del tiaso, questi sono gli insegnamenti di Saffo alle sue allieve.

Abbiamo detto che dai canti saffici emerge l’aperta rivalità del tiaso di Saffo  con altri gruppi analoghi, schierati politicamente in campo avverso.

Saffo infatti partecipò attivamente alla vita politica della sua città pagandone, in prima persona, le conseguenze.

A Lesbo esisteva un antagonismo esasperato tra i gruppi aristocratici che sfociava spesso in lotte intestine spesso sanguinose. Di questa instabilità politica ne pagarono le conseguenze Alceo e Saffo che furono costretti, per alcuni periodi, ad andare in esilio.

Ma vediamo un pò chi erano questi aristocratici, cosa rappresentavano nel contesto sociale della città di Mitilene, quali erano i loro privilegi?

E vediamo anche quale era il quadro politico della città di Mitilene al tempo di Saffo.

Questa mia divagazione servirà a chiarirci il senso di alcune odi di Saffo sulle quali fra poco mi soffermerò.

Agli aristocratici della prima ora, ricchi proprietari terrieri, latifondisti che vantavano, o millantavano, una discendenza famosa: un dio, un eroe, il fondatore stesso della città, si erano aggiunti altri aristocratici, nuovi ricchi: imprenditori e  armatori, le cui navi commerciavano sulle rotte del mediterraneo e col vicino oriente.E’ probabile che anche il fratello di Saffo, Carasso, si dedicasse all’esportazione, nel mediterraneo, di vini prodotti nelle proprietà dei Cleanattidi.

Altra caratteristica di queste famiglie aristocratiche, di questi clan, oltre alla ricchezza, era l’attività religiosa: esse godevano infatti di privilegi religiosi e detenevano un vero e proprio monopolio delle liturgie, legate a culti antichi, e connesse in qualche modo con certe funzioni rituali o magiche. Se, però, il buon nome degli 'aristoi' sembrerebbe legato ad alcuni privilegi religiosi, la loro forza, il loro potere, era invece derivato, da qualcosa di terreno, ovvero la loro ricchezza, fondata, soprattutto, sulle loro proprietà fondiarie.

In qualche modo connessa con le altre due caratteristiche della nobiltà, la tradizione religiosa e  la ricchezza, era la terza: il lusso.

Il lusso, derivato a sua volta dalla ricchezza, aveva nelle cerimonie religiose, organizzate dai ghene, dai clan, una delle occasioni principali per essere messo in mostra: ad esempio durante sacrifici, matrimoni o funerali. Ma il lusso veniva ostentato anche nella vita di tutti i giorni: tuniche di tessuti preziosi, gioielli, calzari finemente colorati, acconciature ricercate ecc. Il motivo dell’ostentazione di questo lusso è adombrato nello stesso nome dei nobili 'àristoi', i migliori.I nobili, in ogni occasione della loro vita sociale, si preoccupavano di aristeuein, cioè di primeggiare, essere i primi, essere i migliori.

D’altra parte, nella polis, il demo, il popolo, andava prendendo sempre più coscienza di sé.La specializzazione del lavoro aveva portato ad un vero e proprio sconvolgimento sociale. Il ceto medio, la piccola e la media borghesia, vero cuore pulsante della città: artigiani, vasai, carpentieri, ma anche pittori, decoratori, orafi, scultori, geometri, architetti, medici, erano diventati indispensabili per le attività produttive  della città, avevano raggiunto una certa indipendenza economica, e  rivendicavano un ruolo attivo nella gestione della cosa pubblica.

Per porre fine alle contese sanguinose tra famiglie aristocratiche veniva spesso scelto un  mediatore, un conciliatore, un esimnete,per regolare le controversie e pacificare le parti in contesa.

Ad Atene, per esempio, per mettere ordine nella città fu scelto il nomoteta Solone. Solone, legislatore e poeta, fu undiallaktès, arbitro, riconciliatore,  che nel 594 a.C. diede un corpus di leggi alla città di Atene.

La situazione allora era drammatica:i contadini liberi coltivavano la terra dei padroni trattenendo per sé solo un sesto del raccolto.

A queste condizioni erano costretti ad indebitarsi dando in pegno se stessi e le loro famiglie,e diventavanodi fatto  schiavi del loro creditore.

Uno dei primi provvedimenti di Solone fu quello di sciogliere le catene della schiavitù, cancellando i debiti.

E di ciò andava orgogliosamente fiero:

….e feci liberi quelli che subivano qui in patria

ignobile schiavitù e tremavano

per i capricci dei padroni. Quante cose

ho compiuto, armonizzando al potere la forza

e la giustizia insieme: era la mia promessa.

Scrissi leggi allo stesso modo

per  nobili (agathoi)  e plebei (kakoi),

conciliando una retta giustizia per entrambi.

[Solone, fr. 24 Diels 13-20]

Una  situazione simile, di rivalità tra le famiglie aristocratiche e le classi emergenti, si verificò, in quel periodo, anche in altre città della Grecia arcaica e nelle sue colonie.

A Siracusa, per esempio, prima dell’avvento dei tiranni, i Killichirioi, classepopolare emergente, cacciarono i Gomoroi, discendenti dei primi coloni, e grandi proprietari terrieri. Qualcosa di simile deve essere accaduta anche a Selinunte.

E’ verosimile che la lamina plumbea rinvenuta più di un secolo fa presso il santuario della Malophoros, trafugata, e restituitaci alcuni anni fa dal Paul GettyMuseum di Malibù, abbia a che fare appunto con questo tipo di  sconvolgimenti politici. Nella lamina sono elencate pratiche e riti di purificazione che sarebbero collegati a fatti di sangue avvenuti durante una sanguinosa stasis, una vera e propria  guerra civile tra gruppi di potere in seno alla città.

Ma torniamo all’isola di Lesbo.

Quando il tiranno Mirsilo, esponente dei Cleanattidi, il clan della poetessa, fu ucciso  durante una congiura, la città di Mitilene scelse, come esimnete, come conciliatore, Pittaco, al quale furono affidati pieni poteri.

Questa decisione non fu gradita ad Alceo il quale sperava in un ritorno al potere  del degli Alceidi, clan contrapposto al clan dei Cleanattidi. Pittaco, che era stato in passato intimo di Alceo, fu da quest’ultimo tacciato di tradimento e violentemente attaccato per le sue origini non aristocratiche.

... L’uomo d’infimi natali,

Pittaco, l’hanno eletto tiranno di questa città smidollata

e infelice, accordandogli in massa i loro favori

Pittaco, annoverato tra i sette savi dell’antichità per la sua moderazione, allo scopo di  porre fine ai conflitti tra le varie famiglie lesbie e quindi al permanente stato di guerra civile, ricorse all’aiuto dei Pentilidi, altra famiglia storica di Lesbo, e si alleò al demo, cioè alla piccola e media borghesia, componenti  sulle quali contava di costruire un periodo di pace e di stabilità. Inoltre mandò in esilio le famiglie  che negli ultimi anni si erano scontrate le une le altre per il predominio: quella dei Cleanattidi di cui faceva parte Saffo e quella degli Alceidi, di cui faceva parte il poeta Alceo.

L’operato di Pittaco si inscrive nel più generale comportamento di coloro che, nomoteti od esimneti, nelle varie città della Grecia arcaica posero fine, anche con la forza,  ai conflitti che opponevano tra loro i vari gruppi aristocratici, e cercarono, per quanto era nei loro mezzi, di diminuire le laceranti sperequazioni esistenti tra le classi aristocratiche  ed i semplici cittadini.

Per limitare questa sperequazione tra nobili e le classi meno abbienti Pittaco varò, tra l’altro, le leggi suntuarie,  delle norme cioè che avevano lo scopo di limitare l’ostentazione del lusso, in particolare nella moda maschile e femminile, e  proibì l’importazione di oggetti preziosi dalla  vicina Lidia. Le ricchezze e gli oggetti provenienti dall’oriente, principalmente dalla Lidia, avevano infatti aumentato enormemente il lusso di cui si circondavano alcune famiglie di Mitilene, e tra  queste, in particolar modo, il clan della poetessa Saffo.

La conclusione che traiamo da questi dati è che Saffo, come gran parte delle classi aristocratiche, era favorevole ai commerci con la vicina Lidia e, più in generale, con il mondo microasiatico non greco, perché proprio da quelle regioni, come dall’Oriente tutto, provenivano quelle ricchezze che permettevano alle aristocrazie della Grecia arcaica di mantenere un regime di vita lussuoso. Dai mercati orientali provenivano  vestiti, calzature, profumi, unguenti, mitre ed ogni altra sorta di manufatto lussuoso.

C’è da dire però che per Saffo, questi oggetti preziosi e raffinati non rappresentavano uno sfarzo arrogante ed inutile, non una vana mollezza, ma un qualcosa, una ricercatezza,  in grado di distinguerla dalle altre e da tutto ciò che la circondava.

Sappiamo quindi che la famiglia di Saffo non fu indenne dai rivolgimenti politici che caratterizzarono la storia di Lesbo tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C. e sappiamo anche che durante l’esimnetia di Pittaco, Saffo fu costretta ad abbandonare l’isola per andare in esilio in Sicilia.

Saffo non scrisse solamente composizioni amorose caratterizzate da un acceso tono erotico, ma anche dei carmi dal sapore intimistico dedicati alla sua famiglia. Così veniamo a sapere che ebbe una figlia, Cleide, alla quale rivolge le parole affettuose di una madre:  la definisce simile a fiori d’oro, e per lei non farebbe cambio nemmeno con l’intera Lidia e le sue splendide raffinatezze -ed è quanto dire-

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].θος· ἀ γάρ με γέννα̣[τ᾿ ἔφα ποτά 1

σ]φ̣ᾶς ἐπ᾿ ἀλικίας μέγ[αν

κ]όσμον, αἴ τις ἔχη<ι> φόβα<ι>ς [

π̣ορφύρ̣ωι κατελιξαμέ[να πλόκωι, 4

ἔ̣μμεναι μα̣λα τοῦτο δ̣[ὴ 

Nei frammenti 98a e 98b si rivolge alla sua piccola Cleide,accennando alla nuova moda proveniente da Sardi elamentandosi di non poterle procurare una cuffietta lidia:

98a    

 ... perché quella che mi generò mi diceva una volta che nella sua giovinezza quello era davvero un grande ornamento se una teneva la chioma legata da un nastro  purpureo; ... ma per colei che avesse la chioma più fulva di una torcia era meglio agghindarla con corone di fiori sgargianti  ... Ma da poco la fama di mitre variopinte è giunta da Sardi  fino alle città della Ionia  ...

<_div>

σοὶ δ᾿ ἔγω Κλέϊ ποικίλαν [ 3

οὐκ ἔχω πόθεν ἔσσεται [

μιτράν<αν>· ἀλλὰ τὼι Μυτιληνάωι [

***

].[

παι.α.ειον ἔχην πο.[

αἰ κ᾿ ἔ̣χη̣<ι> ποικιλασκ...[.] [ 6

ταῦτα τὰς Κλεανακτίδα̣[ν

φύγας ̣ ἄλ̣ ̣ιθ̣ ᾿ ἔχει πόλις

μνάματ᾿· οἶδε γὰρ αἶνα διέρρυε̣[ν 9

 ...

<_div> <_div>

... Io, però,Cleide,la mitra variopinta non so dove procurartela: ma (devi prendertela) con il Mitilenese ... figlia ... avere ... se ... variopinte ... Questi ricordi dell’esilio dei Cleanattidi conserva in abbondanzaa la nostra città : quelli infatti si dispersero terribilmente.

La madre di Saffo raccontava alla poetessa che nella sua giovinezza un semplice nastro purpureo che teneva legata la chioma era ritenuto un  grande ornamento, oppure una corona di fiori sgargianti per una ragazza dalla chioma bionda. Ora non più:  i tempi sono cambiati,  da poco la moda di mitre variopinte è giunta da Sardi. 

Io, però, dice Saffo, la mitra variopinta non so dove procurartela. Di ciò devi lamentarti col Mitilenese: questa è una conseguenza dell’esilio dei Cleanattidi.

Al di là di una apparente banalità dell’argomento trattato- tu mi chiedi una cuffietta ma io non so come procurarla- quest’ode sottende il vero intento della poetessa.

E’ infatti l’occasione per criticare il momento politico della sua città e i provvedimenti varati da Pittaco, l’innominato. Chiama infatti il tiranno, in un certo senso dileggiandolo, 'il mitilenese'.

Quest’ode è da ritenersi  un vero e proprio documento storico.

Ci fornisce infatti la prova dell’esistenza di rapporti commerciali con la vicina Lidia, in particolare con Sardi, per cui una mitra poteva essere acquistata dagli abitanti di Lesbo. Poi documenta il blocco degli scambi commerciali approvato da Pittaco, il mitilenese. E infine documenta la realtà storica dell’esilio dei Cleanattidi.

Immagine riferita a: Un contributo inviato dal dott. Giuseppe AbbitaSappiamo inoltre da questa ode che Saffo aveva una madre di nome Cleide ed una figlia che portava lo stesso nome della nonna.

 

 Ma Saffo, nei suoi componimenti, ci parla anche dei suoi fratelli.

 

Saffo aveva infatti tre fratelli: Eurigio, Larico e Carasso.

Di Eurigio non sappiamo nulla. Larico, forse il più giovane, aveva l’incarico di coppiere nel Pritaneo di Mitilene,  compito  che era riservato ai ragazzi delle famiglie nobili di Lesbo. Qualcosa di più sappiamo su Carasso.

In una delle sue odi Saffo si rivolge  alle Nereidi, formulando la speranza che il fratello Carasso ritorni felicemente dall’Egitto, restauri il perduto onore della famiglia e ricambi con il male le sventure provocate dai nemici.

 Auguste Nereidi, concedetemi che mio fratello giunga qui sano e salvo, che quanto desidera nell’animo suo avvenga, quello si realizzi; che cancelli tutti gli errori commessi in passato e così ci sia gioia per i suoi cari  e motivo di pena per i suoi nemici ; a noi nessuno lo sia ; che renda alla sorella maggiori onori  e dalle dolorose angosce liberi  quelli ai quali in passato, soffrendo egli stesso, prostrava l’animo, udendo il biasimo che mordendolo sul vivo avrebbe potuto colpirlo con la riprovazione dei concittadini in modo quanto mai non bello, ma lo ha capito poco dopo

Ma quali guai aveva combinato Carasso?

Carasso aveva dilapidato, in Egitto, buona parte delle sue ricchezze a causa di una cortigiana, infangando così il buon nome della famiglia. Questa cortigiana, di nome Dorica, dovrebbe essere la stessa Rodopi di cui ci parla Erodoto nelle sue Storie.

La tradizione presenta un’alternanza fra Rodopi e Dorica, ma entrambi sono nomi parlanti: il primo significa ‘aspetto, viso,  di rosa’, il secondo sembra far riferimento ai doni che questa ricevette da Carasso.

Carasso aveva compiuto un’azione sconveniente per un nobile. Inoltre il momento politico non è certo favorevole alla famiglia di Saffo. E’ di  fondamentale importanza in questo frangente la presenza di un uomo audace e coraggioso e Saffo, nonostante tutto, si augura che il fratello ritorni sano e salvo, restauri il perduto onore della famiglia, e ricambi con il male le sventure provocate dai nemici.

Alcuni anni fa una scoperta di eccezionale importanza permise di rivelare e far conoscere al mondo letterario due poesie di Saffo fino allora sconosciute.

Un anonimo collezionista si presentò infatti ad Oxford al papirologo Dirk Obbink con dei frammenti di papiro chiedendogli di decifrarli.

Il lotto di papiri di cui facevano parte questi frammenti era stato acquistato al Cairo nel 1954, successivamente era andato disperso e quindi ceduto a diversi collezionisti.

L’eccezionalità del ritrovamento sta soprattutto nel fatto che uno dei due frammenti contiene un carme di Saffo quasi completo: una vera rarità.

Nel carme Saffo parla dei suoi fratelli Larico e Carasso.

La poesia, ormai conosciuta come Brothers Poem, il 'Carme dei fratelli, 'suscitò, fin dalla sua pubblicazione su una rivista di papirologia tedesca, un dibattito critico, con una miriade di saggi , di studi, di interpretazioni, di ipotesi: dibattito critico che dura ancora oggi.

Il testo di questo nuovo frammento inizia con una strofa di quattro righe di cui abbiamo solo poche lettere. Il vero testo completo ha inizio quindi nel verso 5.

La poesia si presenta come un propemptikon, ossia una preghiera per il felice ritorno del fratello Carasso, mercante partito per mare in cerca di guadagni e assente da casa da lungo tempo.

π[ άτρος ἄμμεων

[. . . .] Λα̣[ριχ-

[ . . . ] σέ, μᾶ[τερ. 4

ἀλλ᾿ ἄϊ θρύλησθα Χάραξον ἤλθην

νᾶϊ σὺν πλήαι, τὰ μὲν̣, οἴο̣μα̣ι, Ζεῦς

οἶδε σύμπαντές τε θέοι, σὲ δ̣᾿ οὐ χρῆ

ταῦτα νόησθαι, 8

ἀλλὰ καὶ πέμπην ἔμε καὶ κέλεσθαι

πόλλα λί̣σσεσθαι̣ βασί̣λ̣η̣αν ῎Ηραν

ἐξίκεσθαι τυίδε σάαν ἄγοντα

νᾶα Χάραξον 12

κἄμμ᾿ ἐπεύρην ἀρτ̣έ̣μεας· τὰ δ᾿ ἄλλα

πάντα δαιμόνεσσ̣ιν ἐπι̣τ̣ρόπωμεν·

εὔδιαι γ̣ὰρ̣ ἐκ μεγάλαν ἀήτα̣ν̣

αἶψα πέ̣λ̣ο̣νται. 16

τῶν κε βόλληται βασίλευς Ὀλύμπω

δαίμον᾿ ἐκ πόνων ἐπάρωγον ἤδη

περτρόπην, κῆνοι μ̣άκαρες πέλονται

καὶ πολύολβοι· 20

κ̣άμμες, αἴ κε τὰν κεφάλα̣ν ἀέρρ̣η

Λάρι̣χος καὶ δέ ποτ᾿ ἄνη̣ρ γένηται,

καὶ μάλ᾿ ἐκ πόλλαν βαρ̣υθυ̣μίαν̣ κεν

αἶψα λύθειμεν. 24

 Questa è la traduzione del carme

… ma tu sempre ripeti che Carasso arriverà

 con la nave piena: questo

lo sa Zeus – credo – e tutti gli dèi.

Bisogna che tu non pensi a questo,

e invece mandi me, e mi ordini

di chiedere molte cose a Era regina,

perché ritorni qui Carasso, e porti

la nave salva,

e noi trovi in buona salute; le altre cose

tutte affidiamole agli dèi:

anche il sereno torna all’improvviso

dopo grandi tempeste.

Quando il re dell’Olimpo stabilisca

di indirizzare un nume protettore

dopo gli affanni, quelli son beati

e colmi di ogni bene.

Così anche noi; e se Larico alza

la testa e ormai diventa uomo,

potremmo tutt’a un tratto liberarci

di molti pesi al cuore

Nel componimento compaiono i nomi dei fratelli Carasso e Larico. Ci sono inoltre un io, un tu e un noi.La prima persona è Saffo, non c’è dubbio. La persona loquens è la potessa, anche se non manca, anche in questo caso, qualche suggestiva ma improbabile ipotesi. Saffo si rivolge a un tu, una persona a lei familiare. Chi è questo tu ? Chi è questa persona? Ci si è scervellati attorno a questo personaggio  E un uomo o è una donna? Ognuno ha detto la sua.

Se si suppone che l’io parlante sia Saffo, gli scenari possibili sono tanti e tante ipotesi sono state fatte.

1.     Scamandronimo, il padre

2.     Cleide, la madre

3.     Larico, il fratello

4.     Eurigio, l’altro fratello

5.     Cleide junior, la figlia

6.     un o una conoscente

7.     un altro familiare

8.     un servo o unanutrice

9.     Dorica,l’amante di Carasso,

10.   la moglie o la promessa sposa di Carasso

11.    il gruppo della locutrice, in modo collettivo

12.   un singolo membro di tale gruppo

14.Saffo stessa, in una sortaautoindirizzamento poetico

E qualcuno ne avrò sicuramente dimenticato.

Non mi soffermerò qui ad elencare gli argomenti a favore o contro di ognuna di queste candidature, anche perchè non è lo scopo finale di questa dissertazione.

Vi dirò comunque che la candidatura più autorevole è quella di Kleis, Cleide, la madre della poetessa.

La madre di Saffo come destinataria della poesia trova conferma nelle poche lettere conservate nell’ultimo verso della prima strofa:

...] Σέ µᾶ [τερ: '... tu, madre'.

E allora: tu, madre, non fai altro che ripetere, chiaccheri, blateri,che Carasso arriverà con la nave piena. Dovresti invece mandarmi a pregare nel tempio di Era.

La poetessa, rivolgendosi alla madre usa però il termine θρύλησθα, da θρυλέω,verbo che ha quasi sempre accezione negativa e indica un ‘ripetere blaterando e borbottando'. Il  rimprovero contenuto in questo versetto e la rude confidenza con la quale viene trattato suggerisce pertanto che Saffo poteva rivolgersi  a un soggetto diverso, forse ad un servitore, un servitore speciale,  con il qualeaveva una particolare confidenza e dal quale era disposta ad accettare consigli.

Una filologa tedesca  ha avanzato l’intelligente ipotesi che Saffo non si stia rivolgendo alla madre bensì alla nutrice, figura di confidente affettuosa e protettiva. Saffo infatti utilizza un tono piuttosto stizzito, inadatto ad un colloquio con la madre.

E quindi quel µᾶ della prima strofa andrebbe integrato con ia: σέ, μa[ῖα–integrazione metricamente equipollente - tu, nutrice, balia.

La studiosa propone poi un interessante accostamento ad alcuni passi dell’Odissea come, ad esempio, il passo in cui la nutrice Euriclea invita la padrona Penelope a recarsi a pregare per la salvezza di Telemaco, partito alla ricerca di notizie sul padre.ritorno dal mare di una persona cara.

Inoltre anche nell’Odissea Penelope si rivolge  all’anziana nutrice ammonendola sull’imperscrutabilità dei piani divini.

Infine, interessante alla luce del testo odissiaco, si rivela anche la figura di Larico. Nel Carme dei fratelli Saffo si augura che Larico risollevi la testa e diventi finalmente uomo. Nel libro XIX anche Euricleasi augura che il giovane Telemaco si assuma finalmente le proprie responsabilità di adulto. Telemaco, come Larico, deve diventare uomo.

Alla luce di tutti questi paralleli più o meno probanti, si può con un certa chiarezza riconoscere l’ipotesto del Carme dei fratelli nei libri XIX e XXIII dell’Odissea. Omero è del resto un riferimento costante di Saffo, che ne riprende temi, vicende ed espressioni. Non appare pertanto strano che nel comporre il carme Saffo abbia preso a modello questi episodi omerici.

Ma, al di là di queste interessantissime ipotesi e di questi intelligenti accostamenti, a me rimane un interrogativo.Perché Saffo dedica un’intera poesia alle vicende personali della sua famiglia?

Le sue preoccupazioni per la salute del fratello e per sorti della sua famiglia sono legittime. Ma sono sufficienti a giustificare la composizione di un carme destinato a non rimanere confinato nel suo contesto più intimo, o tuttalpiù in quello strettamente familiare?

Dobbiamo  ricordarci che, ben lungi dall’essere espressione di un sentimento personale, la lirica greca ha come presupposto  una diretta interazione tra il poeta e il suo pubblico. Il poeta lirico componeva infatti per un ben determinato gruppo di ascoltatori, scandiva con la sua voce i principali momenti della vita sociale: i rituali iniziatici, i matrimoni, ma anche i funerali,le feste religiose, ele riunioni di amici convenuti al simposio per bere, festeggiare, complottare contro avversari politici.

In queste circostanze, il poeta doveva misurarsi con l’orizzonte di attese del suo uditorio.

Immaginiamo quindi il contesto a cui poteva essere destinato un componimento come il BrothersPoem: una riunione di aristocratici, una riunione conviviale se non simposiaca in senso stretto.

Se abbiamo qualche difficoltà ad immaginarci la partecipazione della poetessa al simposio, a nostro sostegno ci le testimonianze della presenza di donne libere e sposate al simposio.

D’altra parte, già in pieno VI sec. a.C. i carmi di Saffo erano conosciuti anche fuori dall’isola di Lesbo e cantati negli ambienti maschili del simposio. Si racconta che Solone, prima di morire, volle imparare a memoriaun canto di Saffo, dopo aver udito il nipote che lo aveva eseguito durante una riunione conviviale.

Mi sembra, per concludere, che ci siano buoni argomenti per annoverare il BrothersPoem fra i componimenti di Saffo che erano destinati ad occasioni conviviali affini al simposio maschile ma che prevedevano la presenza femminile, in cui il poeta, nel nostro caso la poetessa, è chiamato o si sente chiamato ad interpretare i valori della collettività che in modo formale o informale gli ha ‘commissionato’ il canto.

In una società in cui la trasmissione era ancora fondamentalmente orale, dove non il libro, ma la viva parola era alla base di ogni forma di comunicazione, oltre che di conversazione e di trasmissione della cultura, la poesia nata nelle occasioni pubbliche o conviviali era arte, storia, fonte di educazione, motivo d’intrattenimento; assolveva al compito di generare opinione pubblica, di diffondere idee, di lodare alcuni individui e biasimarne altri davanti alla collettività, di istruire la gioventù, di esortare all’azione politica.

Quel ‘noi’ dell’ultima strofa  evocherebbe pertanto una comunità unita da un medesimo sentimento.

Ipotizziamo ora che Saffo si stia esprimendo in modo volutamente enigmatico e rileggiamo da questo punto di vista il carme dei fratelli.

Saffo, dopo avere rimproverato un 'tu', la madre o la nutrice che sia, per il fatto che va ripetendo che la nave di Carasso è giunta in porto carica, dice che sarebbe stato meglio andare a pregare nel tempio di Era perché la nave giunga sana e salva. Dopo una parentesi gnomica sull’imperscrutabilità delle decisioni divine e dopo un proverbio - anche il anche il cielo torna sereno all’improvviso dopo una grande tempesta-  si augura che il giovane Larico alzi finalmente la testa, una buona volta diventi uomo e - testualmente-a un tratto potremmo liberarci da una grande  opprimente angoscia.

Il termine ναῦς, nave, viene ripetuto più di una volta nel carme. La seconda volta la poetessa si augura che possa ritornare sana e salva. Ma siamo proprio sicuri che Saffo stia parlando veramente di una nave? O sta alludendo allegoricamente a qualcosaltro?

Alceo, conterraneo e contemporaneo di Saffo così descrive la situazione politica della città di Mitilene:

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ALCEO (VI sec.).

Fr. 208a V

ἀσυννέτημμιτὼνἀνέμωνστάσιν,

τὸμὲνγὰρἔνθενκῦμα κυλίνδεται,

τὸδʼἔνθεν, ἄμμεςδʼὂντὸμέσσον

[b]νᾶϊφορήμμεθα σὺνμελαίνᾳ[/b]

χείμωνιμόχθεντεςμεγάλῳμάλα·

πὲρμὲνγὰρἄντλοςἰστοπέδαν ἔχει,

λαῖφοςδὲ πὰνζάδηλονἤδη

καὶ λάκιδεςμέγαλαι κὰτ αὖτο·

χάλαισι δ’ ἄγκυρραι,

 Non capisco

 l’azzuffarsi dei venti:

infatti, un’onda si avvolge di qua

ed una di là, e

noi nel mezzo siamo trascinati

con la nera nave, assai travagliati

per la grande tempesta:

l’acqua della sentina

supera la base dell’albero, mentre la vela

è già tutta squarciata e grandi brandelli

ne pendono: si allentano le sartie…

In questo celebre frammento sulla nave in mezzo alla tempesta, ogni elemento della rappresentazione ha il suo correlativo nella condizione politica della città, pressata dai cittadini delle varie fazioni.

La nave è lo stato, la città, assalita dalle diverse fazioni; le lotte intestine, l’azzuffarsi dei venti, la stanno facendo precipitare a fondo e i cittadini tutti, fortemente provati, stanno anch’essi per naufragare. L’allegoria della nave, come simbolo dello stato, ebbe grande fortuna nell’antichità e fu ripresa  da Dante nel VI Canto del Purgatorio:

Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave senza nocchiere in gran tempesta….

Saffo è a conoscenza dell’allegoria nave/stato di Alceo e la riutilizza nei suoi carmi.

L’allegoria nave/stato in Alceo è chiara e facilmente intelligibile, in Saffo è più sfumata e bisogna andare a cercarla.

Nel 'Brotherspoem', il carme dei fratelli, la nave che deve essere condotta sana e salva non è la nave di Carasso ma la città di Mitilene e il suo governo. Il 'noi' della strofa finale si riferisce alla comunità di cui fa parte e di cui è un autorevole esponente.

La poetessa sta parlando davanti ad una comunità di aristoi , componenti del suo clan, spronandola ad agire.

Alceo è un uomo di azione, e forse sta preparando la rivolta in armi. Saffo è pur sempre una donna, sente l’assenza di un uomo nella famiglia, e vive con disagio il momento politico sfavorevole alla sua famiglia, al suo clan. Non le è più permesso, dopo che sono state varate le leggi suntuarie da parte di Pittaco, coltivare la sua raffinatezza, il lusso, elemento di distinzione della classe aristocratica.

I Cleanattidi sono stati dispersi, molti sono andati in esilio e vivono, probabilmente, sotto strettasorveglianza.

Così si augura che la nave/stato venga condotta sana e salva, e che il fratello Larico, divenuto uomo, liberi ad un tratto la famiglia dalle tribolazioni che il momento politico sfavorevole impone loro di sopportare.

Anche Saffo quindi, esprimendosi in maniera criptica, e prendendo come pretesto il fratello Carasso e i suoi viaggi per mare, potrebbe, in questo carme recentemente riscoperto, alludere alla situazione politica nell’isola di Lesbo.

[ . . . ] σέ, μᾶ[τερ. 4

ἀλλ᾿ ἄϊθρύλησθα Χάραξον ἤλθην

νᾶϊσὺν πλήαι, τὰμὲν̣, οἴο̣μα̣ι, Ζεῦς

οἶδε σύμπαντές τε θέοι, σὲ δ̣᾿ οὐ χρῆ

 ἐξίκεσθαι τυίδε σάαν ἄγοντα

 νᾶα Χάραξον 12

  Nella quarta strofa Saffo cita il proverbio

 εὔδιαιγ̣ὰρ̣ ἐκμεγάλανἀήτα̣ν̣

αἶψαπέ̣λ̣ο̣νται. 16

'anche il cielo torna sereno all’improvviso

dopo una grande tempesta'

e nella strofa conclusiva

κ̣άμμες, αἴ κε τὰν κεφάλα̣ν ἀέρρ̣η

Λάρι̣χος καὶ δέ ποτ᾿ ἄνη̣ρ γένηται,

καὶ μάλ᾿ ἐκ πόλλαν βαρ̣υθυ̣μίαν̣ κεν

αἶψα λύθειμεν. 24

e anche noi, se Larico alza la testa  e una buona volta diventa uomo, all’improvviso potremmo liberarci da molte inquietudini.

La tempesta a cui si riferisce Saffo non è la tempesta alla quale si augura che scampi suo fratello Carasso, ma la tempesta politica che affligge la città.

[b]αἶψα, all’improvviso, che troviamo nel verso 16 della quarta strofa è in correlazione con l’altro αἶψα del verso 24 dell’ultima strofa: come il cielo torna sereno all’improvviso dopo una grande tempesta, così anche noi ci libereremo all’improvviso dalle nostre angosce se Larico, o chi per lui, avrà il coraggio di agire.[/b]

Cambiando, ad un tratto, una situazione politica tempestosa in una convivenza pacifica e serena  e restituendo così stabilità e salvezza alla nave-stato.

Il carme dei fratelli si connoterebbe pertanto, sotto le spoglie di un componimento intimistico-familiare, come un carme squisitamente politico, esortativo, che ha l’intento di spronare all’azione i componenti aristocratici della sua cerchia.

Alla luce di tutto ciò anche gli altri componimenti di carattere familiare, quali il carme della cuffietta lidia o l’altro carme che ha anch’esso per tema il ritorno del fratello Carasso, potrebbero essere inquadrati in questo contesto.

Saffo infatti, in questi carmi, dopo un cenno iniziale a circostanze legate al suo ambito familiare, nella parte conclusiva, in maniera slegata dal precedente contesto, cambia improvvisamente registro e si lascia andare, inaspettatamente, a commenti dal sapore politico.

Nel carme della cuffietta, l’occasione è buona per stigmatizzare le leggi suntuarie varate da Pittaco ed accennare all’esilio dei Cleanattidi.

Nel carme di Carasso, incentrato sul ritorno da un viaggio in mare, l’occasione è buona per augurare male e sventure ai suoi nemici politici. E infine, nel carme dei fratelli, dopo un iniziale accenno al ritorno di Carasso con una nave sana e salva, paragona la condizione del cielo che ritorna sereno, all’improvviso, dopo una tempesta, alla condizione  politica della sua comunità. Comunità che  si libererebbe, all’improvviso, di tante angosce, se solo qualcuno fosse in grado di dimostrarsi un vero uomo.

Questi carmi di argomento alquanto banale e personale acquisterebbero così ben altro rilievo, venendo ad essere nobilitati da sentimenti, da noi non condivisibili , ma condivisibili in pieno dalla comunità, dal clan di aristocratici, di cui la poetessa faceva pur parte e della quale comunità rappresentava un autorevole componente.

Potrei concludere con queste considerazioni queste mie divagazioni su Saffo.

Ma, all’inizio di questa chiaccherata, vi avevo promesso che avrei cercato di dare una risposta alla domanda: Perché le donne ericine sono le più belle della Sicilia?

Immagine riferita a: Un contributo inviato dal dott. Giuseppe AbbitaEbbene, la storia di Saffo potrebbe darcene una spiegazione.

Sappiamo dal Marmorparium, un’iscrizione greca del III secolo a.C. che riporta le date di numerosi avvenimenti della storia greca,che Saffo andò in esilio in Sicilia. Non sappiamo però  in quale città dimorò.

La tradizionecidice che fu ospitata dalla città di Siracusa, ma questa notizia  mi sembra priva difondamento.

Questa ipotesi si basa sul fatto che nel Marmorpariumviene citata  la città di Siracusa  e che Cicerone(Cic. Verr. II 4, 126-7 sgg.)afferma, nelle verrine, che nel pritaneo di Siracusa vi era una statua di Saffo(-nam Sappho quae sublata de prytanio est) con tanto di iscrizione in greco sul piedistallo.Ma il fatto che una città possa dedicare un monumento ad un personaggio famoso non significa affatto che quel personaggio abbia avuto i natali o che abbia dimorato proprio in quella città. Se alla Villa Margherita viene dedicato un busto a Dante ciò non significa che Dante abbia dimorato a Trapani.

Per mia curiosità e per la mia abitudine di andare a verificare, per quanto possibile, le fonti delle notizie, sono andato a vedere cosa dice il Marmorparium.

Esso riporta letteralmente:

36.51b          ἀφ’ οὗ ΣαπφὼἐγΜιτυλήνηςεἰςΣικελίαν ἔπλευσεφυγοῦσα

[— — — —, ἔτη ΗΗΗΔΔ—],

52a     [ἄρχο]ντοςἈθήνησινμὲνΚριτίουτοῦ προτέρου, ἐνΣυρακούσσαις δὲτῶν γαμόρων κατεχόντωντὴνἀρχὴν.

Da quando Saffo da Mitilene navigò verso la Sicilia in esilio……….., quando ad Atene era arconte il primo Crizia ed a Siracusa avevano in mano il potere i Gamoroi.

 Nel testo greco osserviamo due genitivi assoluti con valore temporale riferiti all’arconte Crizia e ai Gamoroi.

L’autore del Marmorparium, volendo inquadrare temporalmente l’esilio di Saffo in Sicilia,cidice che Saffo fu in Sicilia negli anni in cui ad Atene era arconte Crizia e a Siracusa detenevano ancora il potere i Gamoroi, discendenti dei primi coloni. Primacioè dell’avvento dei tiranni e prima della cacciata dei Gomoroi da parte dei Killichirioi, classe popolare emergente.Questo però non significa affatto che Saffo sia stata in esilio a Siracusa!

Dove sarà quindi stata Saffo negli anni, si pensa cinque, che fu in esilio in Sicilia?

Probabilmente lo stesso autore del MarmorParium non ne era a conoscenza, se no l’avrebbe  scritto.

Cerchiamo ora di metterci nei panni della poetessa. Se io fossi costretto ad andare in esilio sceglierei un paese dove si parla la mia lingua, un paese dove abitano dei miei parenti, o almeno, abitanti che condividono con me costumi, tradizioni e religione.

Identico ragionamento penso avrà fatto Saffo.

Le sarebbe stato sicuramente più agevole cercare ospitalità nella vicina Grecia, o a Creta, o in un’isola più vicina a Lesbo.

Perché si avventurò fino in Sicilia? Perché scelse proprio la Sicilia?

 Iniziamo dalla lingua.  Nell’isola di Lesbo si parlava il dialetto eolico.

Lesbo si trova a pochi kilometri in linea d’aria da Troia ed anche  la città di Focea è vicinissima all’isola di Lesbo.

E’ questa un’area dove si parlava il dialetto eolico o, tuttalpiù un dialetto mistotra ionico ed eolico.

A Siracusa si parlava invece un dialetto dorico.

Se io trapanese mi sposto a Palermo non ho alcuna difficoltà a comprenderne il dialetto. Diversamente avrei qualche difficoltà se mi spostassi in Lazio o in Campania.

Lo stesso ragionamento avrà fatto Saffo. Avrà quindi scelto una località dove si parlava, o comunque aveva un certa diffusione, il suo dialetto, il dialetto eolico.

ASiracusa, fondata da coloni di Corinto,abbiamo detto che si parlava il dialetto dorico.

E in Sicilia, dove si parlava in dialetto eolico?

Nell’estremo lembo della Sicilia occidentale era avvenuto qualcosa di particolare.

Sentiamo cosa ci racconta Tucidide.

Nel libro VI delle sue Storie, nelle premesse della spedizione di Sicilia,Tucidide dice che Ericefu fondata dagli esuli troiani che, fuggendo nel Mar Mediterraneo, avrebbero trovato qui il posto ideale per insediarvisi.

Tucidide (VI 2, 3)

ἸλίουδὲἁλισκομένουτῶνΤρώωντινὲςδιαφυγόντες Ἀχαιοὺς πλοίοιςἀφικνοῦνται πρὸςτὴνΣικελίαν, καὶ ὅμοροιτοῖςΣικανοῖς οἰκήσαντες ξύμπαντες μὲνἜλυμοιἐκλήθησαν, πόλεις δ’ αὐτῶνἜρυξτε καὶ Ἔγεστα. προσξυνῴκησαν δὲ αὐτοῖς καὶ Φωκέωντινὲςτῶν ἀπὸ Τροίας τότεχειμῶνιἐςΛιβύην πρῶτον, ἔπειτα ἐςΣικελίαν ἀπ’ (6.2.4) αὐτῆς κατενεχθέντες.

E, avvenuta la presa di Ilio, alcuni Troiani fuggendo gli Achei giunsero sulle navi alle coste della Sicilia, ed essendosi stabiliti a confine con i Sicani, tutti insieme vennero chiamati Elimi, e le loro città (sono) Erice e Segesta. Si stabilirono poi accanto a questi anche alcuni dei Focesi, trascinati dapprima dalla tempesta da Troia in Libia, e poi di qui in Sicilia.

Non mi soffermerò qui a parlarvi deli Elimi e della loro lingua, perché non ne ho la competenza e poi perché non mi interessa.

Sta di fatto che il dialetto eolico, tramite gli esuli da Troia e i marinai focesi, giunse in qualche modo ad Erice  e, in qualche modo, vi rimase: la lingua parlata da questi troiani e da questi focesi trapiantati in Sicilia doveva essere molto simile a quella parlata a Lesbo.

Ora le affinità di Lesbo con la Sicilia, e segnatamente con quell’area della Sicilia occidentale di cui ci parla Tucidide,non si limitavano semplicemente alla lingua.

Saffo era figlia di Scamandronimo, il cui nome tradisce le origini troiane.Il fratello di Saffo, Carasso, era un mercante di vini che si spingeva lontano dalla sua isola per i commerci, sulle rotte del Mediterraneo.

E’ probabile che tra l’estrema punta della Sicilia occidentale e l’isola di Lesbo, vuoi per antichi vincoli di parentela, vuoi per affinità di dialetto, si sia instaurata una rotta commerciale abbastanza trafficata: il legame con la madre patria non era stato del tutto troncato.

Tutte queste considerazioni avranno spinto pertanto Saffo a scegliere come sede del suo esilio la città di Erice.

Ma oltre a queste affinità linguistiche, di antiche  parentele, e di interessi commerciali, c’ era un altro motivo,  forse il più importante, che aveva fatto pendere la bilancia a favore della città di Erice: quello religioso.

Afrodite rivestiva una notevole importanza per i componenti dell’aristocratica famiglia di Saffo che, grazie all’esercizio del commercio marittimo, aveva stabilito rapporti con altre famiglie in diverse località del Mediterraneo, dove il culto afroditico era ampiamente praticato.

Sulla vetta del monte Erice esisteva un santuario dedicato ad Afrpodite,conosciutissimo nel mediterraneo. Saffo, come ci tramanda Alceo, era una sacerdotessa di Afrodite e le fanciulle del tiaso da essa presieduto erano coinvolte in certo qual modo nei riti e nel culto della dea.

Motivazioni di ordine linguistico, di lontane parentele, possibilità di raggiungere la Sicilia con navi commerciali, e soprattutto motivazioni di ordine religioso, avranno quindi spinto Saffo  a scegliere come sede del suo esilio la città di Erice.

Ma Saffo non andò in esilio da sola. Il suo destino fu condiviso da altri componenti del clan dei Cleanattidie di altre famiglie che condividevano la sue stesse idee politiche e gli stessi ideali, quelle stesse famiglie che avevano affidato a lei le loro figlie per essere educate.

E’ verosimile pertanto che anche queste fanciulle, dedite al culto e ai riti di  Afrodite, siano andate in esilio con la poetessa e le loro famiglie,stabilendosi nella città di Erice, e che abbiano qui continuato le loro pratiche religiose, cultuali e iniziatiche. Qui esse si accasarono, e da loro discenderebbero  le donne ericine, le più belle dell’isola.

Mi chiederete: chi ci assicura che queste fanciulle erano veramente e particolarmente belle? Nel tiaso le ragazze  venivano educate al culto dell’eleganza, del buon gusto, della raffinatezza, e anche della bellezza.

Prima ancora che nella struttura mentale di Saffo, la sensibilità verso la bellezza femminile doveva essere diffusa, quasi geneticamente  connaturata, nell’isola di Lesbo.

La bellezza delle donne di Lesbo era proverbiale ed  è attestata già nell’Iliade.Nel libro IX (128-130) Agamennone tenta di riconciliarsi con Achille e si dichiara disposto a restituire Briseidee  a fargli doni preziosi, tra i quali sette donne di Lesbo che superavano in bellezza tutte le altre.

δώσω δ’ ἑπτὰγυναῖκας ἀμύμονα ἔργα ἰδυίας

Λεσβίδας, ἃςὅτεΛέσβον ἐϋκτιμένηνἕλεν αὐτὸς

130         ἐξελόμην, αἳ κάλλειἐνίκωνφῦλα γυναικῶν.

Poi gli voglio dare sette donne, esperte in lavori impeccabili:

sono di Lesbo; le scelsi per me, quando lui conquistò

la città dalle belle costruzioni: erano superiori in bellezza a tutte le altre.

Nell’isola di Lesbo esisteva un vero e proprio culto della bellezza femminile.

Alceo, il poeta di Lesbo, contemporaneo di Saffo, ci  dà notizia di un concorso di bellezza, Kallisteìa, una sorta di Miss Italia, che aveva luogo ogni anno presso il tempio di Era, nell’isola di Lesbo. 

Immagine riferita a: Un contributo inviato dal dott. Giuseppe AbbitaAlceo, fr. 130b V

χλίδ̣α̣[ις δ᾽ ἐν] συνόδοισιν αὔταις

_οἴκημι κ[ά]κων ἔκτος ἔχων πόδας 16

ὄππᾳ Λ[εσβί]αδεςκριννόμεναι φύαν

πώλεντ’ ἐλκεσίπεπλοι, περὶ δὲ βρέμει

ἄχω θεσπεσία γυναίκων

_ἴρα[ς ὀ]λολύγας ἐνιαυσίας 20

e oziando nel bel mezzo di festive adunanze

 soggiorno tenendo i piedi lontano dai guai, 16

dove in gara di bellezzavergini di Lesbo

sfilano tenendo su la veste,e freme d’intorno

il suono divino delle donne

che levano il sacro ululo annuale 20

 L’espressione Λεσβιάδες ἐλκεσίπεπλοι con la quale sono qualificate le fanciulle, mentre sfilano durante il concorso di bellezzanell’isola di Lesbo,è di derivazione epica .

Nel VI libro dell’Iliade, Ettore, rivolgendosi ad Andromaca dice:

Il . VI 442

442 αἰδέομαιΤρῶαςκαὶΤρῳάδαςἑλκεσιπέπλους

temo, ho vergogna dei Troiani e delle Troiane dai pepli fluenti

A Lesbole fanciulle che sfilavano durante la  Kallisteìa indossavano un lungo peplo, forse tenendolo leggermente sollevato sopra le caviglie.

Era questo  un modus vestiendi che denotava raffinatezza ed eleganza.

Forse Saffo fa proprio riferimento a questo tipo di portamento quando si scaglia, con  violenta aggressività giambica, contro la sua nemica Andromedaesponente della famiglia dei Pentilidi, la qualegestiva un tiaso rivale: una zoticona che va   dimessamente vestita e non ha minimamente idea di come si indossa una veste elegante.

 Saffo  Fr. 57

 τίςδ᾿ἀγροΐωτιςθέλγεινόον...

  τίς δ᾿ ἀγροΐωτιν ἐπεμμένα στόλαν...

 οὐκ ἐπισταμένα τὰ βράκε᾿ἔλκηνἐπὶ τὼν σφύρων;

 Quale zoticona ti ammalia la mente  ...

 e chi, vestita di zotica veste  ...

non sa tenere sollevati i suoi straccetti  sopra le caviglie?

 Alla stessa Andromeda, probabilmente, sono indirizzati questi altri versi:

  Fr.55

κατθάνοισα δὲ κείσηι ͜οὐδ᾿ ἔ<τι> τις μναμοσύνα σέθεν

ἔσσετ᾿ οὐδέποτ᾿ <εἰς> ὔστερον· οὐ γὰρ πεδέχηις βρόδων

τὼν ἐκ Πιερίας· ἀλλ᾿ ἀφάνης κἀν ᾿Αΐδα δόμοις

φοιτάσηις πεδ᾿ ἀμαύρων νεκύων ἐκπεποταμένα.

 Morta giacerai, né resterà mai più alcuna  memoria di te in avvenire :

 non hai parte delle rose di Pieria, ma evanescente

anche nella dimora di Ade  ti aggirerai vagando

tra le tetre ombre di morti , quando sarai volata via da qui .

Tu non frequenti, tu non fai parte della cerchia delle muse, e  quindi nessuno si ricorderà di te.

 In un altro frammento Saffo così si esprime:

 58dθάνοισαν ἄοιδοντὸ πὰνοὐδεὶςφθ]ι̣μέναν νομίσδει.

Quando muore la poetessa nessuno la considera (completamente) defunta

E in un altro ancora:

147 μνάσεσθαί τινά φα<ι>μ᾿ καὶ ἄψερονἀμμέων

Affermo che anche più tardi qualcun altro si ricorderà di noi

Afrodite stessa  le promette fama imperitura.

Ψάπφοι, σεφίλ[εισ᾿ ἀμφ᾿ ὀχέεσσ᾿ ἤρμοσεκύ]κλ̣α σ[οίτε 24

Κύπρωι̣ β̣[α]σίλ[η᾿ ἦλθ᾿ ἰκετεύοισα Δί᾿ αἶψα σέ]μνα

κ̣αί τοιμέγα δῶ̣[ρονΚρονίδαις ϝο]ῖ κατέν̣[ευσ᾿ ὀπάσδην 26

ὄ]σσοις φαέθων̣ [Ἀέλιοςφέγγεσινἀμφιβιβ]άσκ[ει,

πάνται κλέος [ἔσλον 28

O Saffo, poiché ti ama la veneranda sovrana

di Cipro andò a supplicare Zeus e il Cronide

le accordò di concederti un grande dono:

che tutti quanti il (Sole) splendente (circonda con i suoi raggi)

... ovunque siano raggiunti dalla (tua nobile) fama

Saffo confidava orgogliosamente nella propria immortalità.

Per Saffo la memoria della sua poesia sarebbe stata capace di concederle una fama immortale.

Era consapevole che la potenza eternatrice del canto le avrebbe consentito diraggiungere la celebrità, cioè l’unica forma di immortalità consentita agli esseri umani.

Oggi, la poesia di Saffo e i suoi versi carichi di eros si sono rivelati davvero immortali.

Alludeva alla situazione  politica di Mitilene, la potessa, accennando alla nave,  nel carme dei fratelli? Fu veramente in esilio nella nostra Erice?

Gli interrogativi rimangono senza risposta, come tanti altri sulla nostra poetessa e sugli altri lirici dell’età arcaica.

Di essi ci sono pervenuti soltanto dei frammenti, talora dei frantumi, che hanno stimolato la nostra fantasia e la nostra immaginazione e ci hanno fatto formulare tante  ipotesi, da quelle più verosimili a quelle più assurde.

Di tanto in tanto  le sabbie del deserto ci restituiscono nuovi frammenti più o meno  estesi.

Si riaccendono in tali occasioni le discussioni, le diatribe,  le ricostruzioni, che lungi dal porre la parola fine alle questioni da tempo irrisolte, alimentano gli studi su questi straordinari poeti e su questa loro meravigliosa lingua.---------

[b]PS  Questo lavoro non contiene note e non riporta rimandi bibliografici essendo nato quasi come un divertissement, qualcosa di leggero e nello stesso stimolante, da condividere con gli amici come me appassionati della lingua greca; qualcosa , in altre parole, su cui discutere, su cui chiacchierare, come nei simposi, sorseggiando un buon bicchiere di marsala e, perché no, scherzandoci un po’ sopra e prendendoci poi, non tanto sul serio. [/b]

Arrivederci alla prossima puntata.- Giuseppe Abbita

Autore Legre

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Inserito il 30 Maggio 2020 nella categoria Relazioni svolte